Il Corriere del Sud n.4-16 maggio 2014
di Omar Ebrahime
Si è svolta a Roma, presso l’Aula Magna dell’università LUMSA, la presentazione del libro-intervista curato dal giornalista polacco Wlodzimierz Redzioch Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici e i collaboratori raccontano (Edizioni Ares, Pagine 256, Euro 15,90) che per la prima volta raccoglie in un solo volume le testimonianze del principali collaboratori del Pontefice che sarà canonizzato prossimamente, dal segretario personale – oggi Cardinale – Stanislaw Dziwisz, agli ultimi due Segretari di Stato della Santa Sede (Angelo Sodano e Tarcisio Bertone) fino all’ex Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Cardinale Camillo Ruini.
E, in più, come se non bastasse, nelle ultime settimane Redzioch è riuscito persino a intervistare Benedetto XVI che ha impreziosito così la raccolta con una testimonianza inedita di prima mano, tutta da leggere. A introdurre la serata è stato il rettore dell’ateneo, professor Giuseppe Dalla Torre, che ha ricordato lo speciale legame tra il Papa e la LUMSA (Giovanni Paolo II la visitò due volte) e presentato il parterre dei relatori.
Il primo a prendere la parola è stato quindi Cesare Cavalleri, direttore delle edizioni Ares che ha definito il libro “un atto di amore al Papa” e rievocato i primissimi contatti con l’allora arcivescovo di Cracovia, negli anni Settanta, in occasione della pubblicazione di tre suoi saggi su Studi Cattolici, il mensile tuttora diretto dallo stesso Cavalleri, e successivamente per La fede della Chiesa, il saggio inedito che uscì l’anno stesso dell’elezione al pontificato, nel 1978, sempre per Ares.
A seguire è stata poi la volta del Cardinale Camillo Ruini, pluridecennale collaboratore di Giovanni Paolo II, che lo chiamò alla presidenza della CEI nel lontano marzo del 1991. Ruini ha ricordato in particolare “le sfide dottrinarie affrontate dal Papa e dal Cardinale Ratzinger, a partire dalla teologia della liberazione”, contrastata frontalmente nel periodo di massima espansione.
Con vari pronunciamenti fin dall’inizio del suo pontificato e in particolare con le due istruzioni della Congregazione per la Dottrina della Fede (la Libertatis Nuntius del 1984 e la Libertatis Conscientia del 1986) fu infatti proprio il Papa polacco a smascherare la falsa idea di liberazione che allora si andava diffondendo anche dentro la compagine ecclesiale e metteva in discussione il primato del Vangelo nella lettura delle realtà temporali per privilegiare le ideologie del momento.
Quindi il Cardinale ha ricordato la sfida dell’ecumenismo, affrontato con passione ma senza mai far passare in secondo piano la verità (vedi la pubblicazione della Dominus Iesus, nel 2000, o, ancora prima, l’enciclica Veritatis Splendor del 1993) a testimonianza del fatto che “il coraggio della verità è un criterio di prim’ordine della santità”, per citare parole che nel libro Benedetto XVI riferisce al Papa prossimamente Santo.
Ha preso poi la parola l’ex portavoce della Sala Stampa vaticana, lo spagnolo Joaquin Navarro Vals, che ha invece messo in rilievo la straordinaria capacità di Papa Giovanni Paolo II di interpretare la crisi della modernità, rinvenibile, a suo avviso, soprattutto nel fatto che il Pontefice “ha fermato la tendenza ‘supposta’ irreversibile del secolarismo aggressivo della modernità” rilanciando coraggiosamente la proposta missionaria della Chiesa in tutto il mondo proprio nel momento in cui questa tendeva invece a rinchiudersi in se stessa e a darsi per vinta. Giovanni Paolo II ha dato insomma ai cristiani nuovamente il coraggio di professarsi tali in pubblico senza complessi d’inferiorità e, al tempo stesso, viaggiando come nessuno mai prima di lui aveva fatto, ha avvicinato le periferie del mondo al Cristianesimo suscitando ovunque entusiasmo e attenzione.
Qual’era il suo segreto? Navarro Vals ha proposto tre chiavi: anzitutto la preghiera, la cosa per lui più importante in assoluto e davanti a cui tutto il resto (fossero anche le visite dei capi di Stato e di Governo) passava in secondo piano. Riguardo alla Santa Messa, ad esempio, soleva dire: “E’ il bisogno più profondo della mia anima”. Chi vuol capire allora chi è stato Giovanni Paolo II deve vedere non tanto le foto più celebri con le folle al seguito ma quelle più superficialmente anonime nella sua cappellina personale o lontano dagli occhi indiscreti in cui il Papa si abbandonava al dialogo con il divino fino a perdere la cognizione del tempo e dello spazio.
Poi, senz’altro il lavoro, per cui il Papa aveva un amore grande e appassionato. Aveva lavorato tutta una vita e lavorò fino all’ultimo senza risparmiarsi mai, continuando a scrivere, a studiare, a governare. Infine, il sorriso: citando ancora Ratzinger, Navarro Valls ha sottolineato che “anche negli incontri più fitti di studio e di lavoro, c’era sempre posto per il buonumore [….] era un uomo allegro” e chi lo aveva a fianco se ne accorgeva subito. Se tutto questo è vero, allora siamo di fronte a una figura di assoluta santità, ed è questo il messaggio finale dell’ex portavoce: “il libro non è un’opera di biografia intellettuale ma ci avvicina a conoscere meglio un Santo” e a riportare quindi il lettore di oggi alla chiamata universale alla santità che è poi il compendio ultimo dei suoi ventisette anni di pontificato.
A chiudere l’incontro è stato poi monsignor Zygmunt Zimowski – presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, connazionale di Wojtyla – che ha ricordato soprattutto la visita del Papa nella sua amata Polonia nel 1999 e “il grande esempio di sofferenza nella fede” offerto visibilmente negli ultimi anni: una testimonianza di coraggio e ancora di santità che – mostrando il Papa debole nel corpo – alla lunga ne ha invece fatto risplendere l’esercizio delle virtù eroiche e di quel radicamento assoluto nel mistero della Croce che davvero solo i Santi possiedono.
Concludono il libro, tutto da leggere, le testimonianze di Wanda Poltawska, la psichiatra reduce dai campi di concentramento che diventerà poi un riferimento per Giovanni Paolo II soprattutto nel confronto culturale sui temi della famiglia e dell’amore umano, e quindi quelle due miracolate che hanno reso possibile la canonizzazione: suor Marie Simon Pierre Normand – religiosa francese delle Piccole Suore della Maternità Cattolica – guarita dal morbo di Parkinson e Floribeth Mora Diaz – donna costarichense madre di quattro figli – ripresasi in maniera scientificamente inspiegabile dopo un’emorragia cerebrale che avrebbe dovuto portarla in breve alla morte.