La Croce quotidiano – 5 dicembre 2015
L’ex terrorista rosso ripercorre le tappe di un cammino verso la redenzione ancora da terminare
di Giuseppe Brienza
Questo articolo è dedicato a chi non vuole limitarsi per conoscere la nostra storia e le vicende che hanno dato vita all’identità collettiva italiana facendo ricorso solo ai libri, ai film, agli amarcord, alle canzoni, insomma a tutto quell’armamentario retorico ed irresponsabilmente idealistico che disancora totalmente dalla realtà. «Le parole sono parole, ma solo i fatti ci parlano chiaro. Non bisogna rimanere nell’astratto quando descriviamo anni tragici della nostra storia».
A dire questa frase è davanti a me Enrico Fenzi, un signore distinto di 76 anni, nativo di un piccolo comune, Bardolino, in provincia di Verona che, di professione docente di filologia e storico della letteratura (in particolare di Dante Alighieri e Francesco Petrarca), è stato anche un terrorista di primo piano nelle fila delle Brigate rosse. Ieri pomeriggio c’è stata a Roma, al Palazzo dei Congressi all’Eur, nell’ambito della fiera della piccola e media editoria “Più libri più liberi”, la presentazione del suo libro/memoir Armi e bagagli. Un diario dalle Brigate rosse, appena ripubblicato da una nuova piccola casa editrice sarda, la “Egg” di San Gavino Monreale.
Alla conferenza, davanti ad una cinquantina di persone, sono intervenuti oltre a Fenzi il critico letterario e scrittore Emanuele Trevi, già direttore creativo della Fazi editore e collaboratore della Radio 3, il quale aveva curato la prefazione della prima edizione del libro (cfr. Armi e bagagli. Un diario dalle Brigate rosse, Costa & Nolan, Genova 1987) ed il giornalista Rai Paolo Piras.
Il volume si presenta come una testimonianza resa dall’interno sulla stagione del terrorismo, utile a rileggere a distanza di tempo quegli avvenimenti da parte di chi li ha vissuti, ma di particolare interesse anche per quanti ne hanno solo sentito parlare o straparlare. Quando iniziò la sua “militanza rivoluzionaria” Enrico Fenzi? Da quando, docente di Letteratura italiana presso l’Università di Genova, a motivo della sua credenza comunista finì nel 1979 per aderire all’allora fiorente struttura delle Brigate Rosse di Genova. Prese quindi parte con un ruolo di copertura, insieme ad altri tre brigatisti, al ferimento del dirigente dell’Ansaldo e membro del PCI Carlo Castellano.
Arrestato una prima volta a Genova il 17 maggio 1979, fu assolto nel 1980 per insufficienza di prove. Fu nuovamente arrestato a Milano il 4 aprile 1981, assieme ad altri brigatisti fra cui Mario Moretti, uno dei fondatori delle BR, organizzatore delle colonne brigatiste di Genova e di Roma. Parliamo di un uomo che non ha mai collaborato alle indagini, non si è mai pentito né dissociato, del quale Fenzi ci testimonia che, anche per lui, quello cui avevano dato luogo, in particolare dopo l’assassinio di Guido Rossa (1934-1979), sindacalista e operaio all’Italsider prima gambizzato e poi brutalmente ucciso dalle Brigate rosse, «era uno schifo».
Non più politici, magistrati, dirigenti, giornalisti e forze dell’ordine, il 24 gennaio 1979 segna il passaggio alla violenza indiscriminata nella storia delle BR: sotto il fuoco dei terroristi cade un operaio metalmeccanico, militante comunista e delegato sindacale, accusato di aver denunciato Francesco Berardi, un fiancheggiatore delle BR all’interno dell’Italsider. Lo stesso Berardi che, il 24 ottobre 1979, in una cella nel carcere di Cuneo vicina a quella di Fenzi, cedette all’angoscia del buio e del rimorso impiccandosi con le lenzuola tagliate.
La descrizione della prima azione vera e propria -una distribuzione di volantini- cui Fenzi è stato destinato dopo una serie di prese di contatto occupa molte pagine del libro. Fenzi descrive poi i sostanziali mutamenti della sua militanza avvenuti con l’autunno del 1977, in mezzo a persone «segnate dal destino che si erano scelto: un destino orribile, pieno di colpe – questo l’ho avvertito, sempre – ma un destino scritto con lettere di fuoco nella storia della loro classe».
Nel novembre del 1977 Enrico Fenzi prese parte all’azione con cui fu ferito alle gambe un dirigente della Ansaldo; in Armi e bagagli la vicenda è narrata a partire dai suoi esiti, dalla sua natura di passo definitivo e corruttore seguito da una diluizione di ogni contatto con gli altri terroristi che in capo a qualche mese, nonostante la colonna genovese delle Brigate Rosse fosse più che mai attiva, riportò Fenzi ad una vita sociale e lavorativa pressoché normale.
Le vendette, i linciaggi e le esecuzioni sommarie di delatori o di presunti tali -sono citati per esteso i casi di Giorgio Soldati e di Roberto Peci- erano divenuti frequenti, distruggendo la solidarietà tra prigionieri. «Il gruppo esisteva solo come minaccia, attraverso chi emergeva in esso per la sua capacità di uccidere e di far uccidere». Il 21 luglio 1981 anche Fenzi, assieme a Mario Moretti, fu vittima di un tentativo di omicidio da parte di un detenuto comune. Un altro capitolo descrive infine le circostanze in cui Fenzi decide di dissociarsi e le precauzioni messe in atto per ridurre al minimo i rischi che questa scelta comportava.
L’ultimo capitolo del libro è intitolato Vent’anni dopo: Fenzi chiude citando alcune surreali vicende capitategli durante la detenzione e prendendone spunto per tornare sul tema -ricorrente in molte pagine- della storia dell’estrema sinistra nella penisola italiana e dei continui tentativi di scriverla espellendone delle “formazioni combattenti”, delineando in essa l’esistenza di una componente buona e quella di una componente cattiva colpevole di tutto. La sua opinione è che questa operazione è sempre servita, essenzialmente, a «trovare una soluzione di comodo intorno alla quale ci possa essere un largo accordo, in nome di una rilettura parziale e consolatoria del passato».
Durante la sua prima detenzione Fenzi ebbe modo di entrare in contatto con i più importanti esponenti del così detto “nucleo storico” delle Brigate Rosse, ed in particolar modo con Renato Curcio e Alberto Franceschini.
Armi e bagagli – Un diario dalle Brigate Rosse è considerato, per il valore della scrittura, la biografia sull’argomento di maggior valore letterario. Enrico Fenzi è stato spesso indicato come l’unico intellettuale passato alle Brigate Rosse, insieme al cognato Giovanni Senzani. Nel 1995 ha partecipato al documentario di Marco Bellocchio “Sogni infranti”. Dissociatosi dalla lotta armata già nel 1982, è stato in libertà provvisoria dal 1985 fino al 1994.
Il suo libro non ha alcuna pretesa di testo specialistico ed è fitto di aneddoti, di considerazioni personali, di debolezze umanissime risultando, così, accessibile anche a chi non possiede alcuna nozione sull’argomento della violenza politica rossa in Italia.
Dopo le prime pagine che descrivono il viaggio in treno di un Enrico Fenzi armato e circospetto, il testo si immerge prima in un primo flashback nella Genova degli anni Settanta descrivendo i primi contatti dell’autore con le Brigate Rosse, avvenuti tramite un “amico” genovese e, poi, tramite un altro nella Milano del 1981.
La descrizione accurata di questo scenario è occasione per alcune riflessioni sul perché dell’adesione alle Brigate Rosse: di tutti i motivi che possono portare qualcuno ad unirsi ad una formazione terroristica Fenzi indica il principale nell’attrazione che un’esperienza di vita concreta può esercitare su un altro percorso esistenziale.
Il racconto torna al 1976: l’autore narra dell’uccisione del magistrato Francesco Coco (1908-1976) avvenuta l’otto giugno di quell’anno a poche decine di metri dalla facoltà universitaria in cui Fenzi lavorava e del genere di considerazioni che essa suscitò. Secondo la testimonianza diretta del “docente rivoluzionario” quell’azione delle Brigate Rosse non suscitò universale sdegno in un contesto sociale che preparava evidentemente l’attuale era del “post-umano”, nella quale non c’è né vita né morte, né padre né madre, né maschio né femmina, né amore né solidarietà, ma solo desiderio, piacere individualistico e nichilismo. Si tratta di una disintegrazione dell’umano che, assieme a tutte le altre utopie anti-cristiane, è stata preparata anche dalla stessa violenza comunista degli anni Settanta.
Fenzi è un uomo che, davanti allo “schifo” della morte, si è dissociato dalle BR già nel 1982, ma ci fa un paragone fra la violenza rivoluzionaria di allora e quella di oggi (ad es. quella dei “No Tav” o “No Expo”) che gela il sangue nelle vene. «A differenza di quella di ieri, questa di oggi è una violenza senza speranza». Ci pare, così, il suo, ancora oggi un cammino solo dimezzato verso la redenzione.