Gli avvenimenti autorizzano l’ipotesi che i socialisti – una genia che va ben oltre i confini dei partiti che fanno riferimento esplicito o implicito al socialismo -, mentre lo Stato assistenziale crolla e, ad abundantiam, lo Stato imprenditore non è più assolutamente proponibile, stiano servendosi dello strumento fiscale per tentar di coprire a breve entrambi i fallimenti, scaricando sull’inadeguato gettito fiscale il proprio insuccesso gestionale, quindi – sul lungo periodo – per trasformare ulteriormente, anche in campo economico, il “popolo” in “massa”
di Giovanni Cantoni
1. I problemi legati alla pressione fiscale sono certamente molteplici e – fra essi – vengono consuetamente esaminati o, almeno, messi in evidenza, quelli congiunturali, raramente quelli strutturali. Infatti, l’approccio congiunturale al problema consente l’uso “metodico” di “due pesi e due misure”, cioè permette di parlare univocamente di necessità nel caso dell’impositore e di evasione in quello del tassato; e, quando il discorso tocca la morale, si fa per lo più del moralismo, cioè si “giustappongono” precetti al reale, piuttosto che “astrarre” precetti da esso (1); e si trascura il fatto che questi precetti, nell’ottica cattolica, sono a loro volta da verificare, cioè da “render veri” attraverso il confronto e l’integrazione con gli elementi “ricordati” dalla Rivelazione attraverso l’anamnesi, la memoria, di cui si fa carico il Magistero della Chiesa (2).
2. Questa riflessione mi si è imposta quando, il 26 ottobre 1992, sono confluiti a Roma quindicimila commercianti, e il 30 dello stesso mese quarantamila artigiani, e “i rappresentanti della categoria unanimemente hanno convenuto che “gli artigiani sono stati stritolati dall’accordo tra sindacati e Confindustria”” (3): infatti, in entrambi i casi i luoghi comuni si sono sprecati e si è saputo solamente ricordare che il dovere contributivo è di tutti.
a. Come insegna Papa Pio XII, “non esiste dubbio sul dovere di ogni cittadino di sopportare una parte delle spese pubbliche”; ma la lezione non finisce qui e meritano di essere riportate e meditate anche le osservazioni immediatamente seguenti, non meno rilevanti.
b. “[…] da parte sua – prosegue infatti il Sommo Pontefice –, lo Stato, in quanto incaricato di proteggere e di promuovere il bene comune dei cittadini, ha l’obbligo di ripartire fra essi soltanto carichi necessari e proporzionati alle loro risorse”;
c. soprattutto, “quindi l’imposta non può mai diventare per i pubblici poteri un mezzo comodo per colmare il deficit provocato da un’amministrazione improvvida, per favorire un’industria oppure una branca di commercio a spese di un’altra ugualmente utile”;
d. inoltre, “lo Stato si vieterà ogni sperpero del denaro pubblico; preverrà gli abusi e le ingiustizie da parte dei suoi funzionari, così come l’evasione di quanti sono legittimamente colpiti”.
e. “Oggi gli Stati moderni tendono a moltiplicare i loro interventi e ad assicurare un numero crescente di servizi; esercitano un controllo più stretto sull’economia; intervengono preventivamente nella protezione sociale di numerose categorie di lavoratori; anche i loro bisogni di denaro crescono nella misura in cui le loro amministrazioni si gonfiano. Spesso le imposizioni troppo pesanti opprimono l’iniziativa privata, frenano lo sviluppo dell’industria e del commercio, scoraggiano le buone volontà” (4).
3. Ma, di nuovo, non è ancora tutto. Sempre Papa Pio XII nota che “[…] molti – troppi – guidati dall’interesse, dallo spirito di partito, oppure da considerazioni più sentimentali che razionali, affrontano e trattano, economisti e politici improvvisati, i problemi finanziari e fiscali con tanto maggior ardore e foga, come pure con tanta maggior sicurezza e disinvoltura, quanto maggiore è la loro incompetenza. Talora, non sembra che sospettino neppure la necessità, per risolverli, di studi attenti, di molteplici indagini e osservazioni, di esperienze comparate. “I bisogni finanziari di ogni nazione, grande o piccola, sono enormemente cresciuti. La colpa non va attribuita solamente alle complicazioni o tensioni internazionali; ma anche, e forse più ancora, all’estensione smisurata dell’attività dello Stato, attività che, dettata troppo spesso da ideologie false o malsane, fa della politica finanziaria, e in modo particolare della politica fiscale, uno strumento al servizio di preoccupazioni di un ordine assolutamente diverso” (5).
Non diversamente valuta il problema Papa Giovanni Paolo II parlando dello “Stato del benessere” o “Stato assistenziale”, quando osserva che, “intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese” (6).
4. Il diverso “ordine di preoccupazioni” di cui parla Papa Pio XII è descritto da padre Eberhard Welty O.P., per cui “oggi esiste la forte tendenza sia verso la democrazia economica che verso lo Stato assistenziale. Ambedue queste tendenze favoriscono la socializzazione fredda. Democrazia economica significa per i più che tutta la proprietà produttiva è amministrata, o almeno controllata, collettivamente. Più si attende la “sicurezza sociale” dallo Stato, più questo deve disporre di mezzi. “[…] La socializzazione “fredda” deve essere contenuta, o meglio repressa, se non si vuole che la proprietà e l’economia diventino sempre più anonime e collettive a scapito del bene comune dei cittadini” (7).
Se “per socializzazione s’intende il passaggio della proprietà privata in proprietà pubblica”, “la socializzazione fredda è la socializzazione in forma larvata: non è operata attraverso l’espropriazione formale, ma mediante lo svuotamento e la privazione dei diritti” (8); e “questo “scalzamento” della proprietà privata conosce molte forme e vie”, fra cui si possono rubricare la partecipazione del potere pubblico al capitale azionario delle società anonime e di altre imprese, il risparmio forzato – cioè la collezione di capitali in assicurazioni sociali e private, in enti, in base ai contributi -, e l’accumulo di eccedenze di cassa, attraverso tasse e altre contribuzioni (9).
5. Non si può certamente negare che, “dal tempo in cui la raccolta delle imposte era affidata alla libertà dei pubblicani – che avevano in proposito un buon margine d’iniziativa – fino all’epoca attuale, è stato percorso un lungo cammino. Oggi vi sono disposizioni giuridiche e istanze amministrative che svolgono questo ruolo, con un volto forse più rigoroso e più anonimo” (10).
Ma le mutate modalità impositive non bastano a render ragione della situazione attuale, che rimanda piuttosto a un’osservazione di Papa Pio XI, secondo cui “[…] l’ordinamento capitalistico dell’economia, col dilatarsi dell’industrialismo per tutto il mondo, […] si è venuto esso pure allargando per ogni dove, a segno tale da invadere e penetrare anche nelle condizioni economiche e sociali di quelli che si trovano fuori dalla sua cerchia” (11), senza però diventare “il solo ordinamento economico vigente in ogni luogo” (12).
Quindi, mi pare che gli avvenimenti autorizzino l’ipotesi che i socialisti – una genia che va ben oltre i confini dei partiti che fanno riferimento esplicito o implicito al socialismo -, mentre lo Stato assistenziale crolla e, ad abundantiam, lo Stato imprenditore non è più assolutamente proponibile, stiano servendosi dello strumento fiscale per tentar di coprire a breve entrambi i fallimenti, scaricando sull’inadeguato gettito fiscale il proprio insuccesso gestionale, quindi – sul lungo periodo – per trasformare ulteriormente, anche in campo economico, il “popolo” in “massa” (13), per lasciare alle proprie spalle una sorta di “terra bruciata”, cioè un mondo economico in cui, accanto alla grande imprenditoria, non esistano più quella media e quella piccola, presupposto per rendere ancor più ardua ogni autentica restaurazione economica, come provano le difficoltà che, in proposito e insieme ad altre, si incontrano nei paesi uscenti dal regime socialcomunista.
Note
(1) Sul moralismo come estrinsecismo, cfr. card. Joseph Ratzinger, Prolusione al convegno sul tema Chiesa e mondo economico 1985: corresponsabilità per il futuro dell’economia mondiale, organizzato presso la Pontificia Università Urbaniana, il 23-11-1985, trad. it., in il regno-documenti, anno XXX, n. 544, 1-2-1986, p. 101.