Italia Oggi 19 Luglio 2018
di Tino Oldani
È ormai noto che ogni migrante africano paga da tremila a cinquemila euro ai trafficanti per tentare di arrivare in Italia o in Spagna. Una somma ingente per dei disperati. Da dove arrivano quei soldi? Una risposta documentata e degna di attenzione viene dalla blogger Ilaria Bifarini, che si autodefinisce «bocconiana redenta» e da tempo studia cause ed effetti dei flussi migratori in varie parti del mondo, Africa in testa (vedi ItaliaOggi di ieri).
In pratica, secondo la sua ricostruzione, avviene questo: prima di arrivare sulle navi delle Ong che operano nel Mediterraneo, i migranti hanno stipulato un vero e proprio contratto con le Ong del microcredito che operano nel loro paese d’origine, pur essendo state costituire in altri paesi, spesso in Europa o negli Stati Uniti.
Da queste Ong del microcredito, i migranti ricevono alcune migliaia di dollari che, sul piano formale, sono una concessione di denaro di tipo filantropico, un micro-prestito concesso a chi è talmente povero da non potere avere accesso al credito ordinario. Il tutto con lo scopo, in apparenza, di promuovere attività economiche locali e favorire lo sviluppo nel Terzo Mondo.
La realtà, spiega Bifarini, è però ben diversa: quel prestito viene usato in moltissimi casi per emigrare, pagare le spese di viaggio, compresi gli esosi balzelli pretesi dai mercanti di carne umana e dagli scafisti. Il tutto con la promessa, messa per iscritto, di restituire alle Ong del microcredito il prestito ricevuto, e gli interessi, con le future rimesse di denaro che il migrante avrà guadagnato in Europa. Con tanti saluti al presunto filantropismo di partenza.
Le prove? La Bifarini cita alcune ricerche sul campo. Il primo è uno studio condotto tra il 2008 e il 2010 in Cambogia dalla sociologa Maryann Bylander, dal quale emerge «una correlazione diretta tra l’espansione del microcredito e l’aumento dei flussi migratori cambogiani verso l’estero». Lo stesso nesso è stato poi riscontrato in Bangladesh, paese d’origine di circa un decimo dei migranti che arrivano in Italia (oltre 10 mila solo nel 2017): in questo paese opera fin dagli anni Ottanta la Grameen Bank, istituto finanziario creato a scopo filantropico grazie all’appoggio di sostenitori illustri, come i coniugi Clinton e Bill Gates, e con il sostegno della Banca Mondiale.
Con il tempo, i suoi microprestiti si sono tramutati in veri e propri incentivi all’emigrazione. Tanto che una locale Ong (Organizzazione non governativa), la Brac (Bangladesh rural advancement commitee) ha dato vita a un vero e proprio business dei «migration loans», prestiti per emigrare.
Attenzione: la Brac non è una Ong di seconda fila. Tutt’altro. Secondo il Global Journal, questa Ong bengalese è la più grande al mondo e la prima nella classifica delle cento migliori Ong al mondo. Che si occupi di «migration loans» è il suo stesso sito a confermarlo, tanto è vero che ne spiega il funzionamento con una infografica molto ben fatta, in otto punti, dai quali gli aspiranti migranti possono apprendere cosa devono fare per chiedere il microprestito per andare all’estero, e poi per restituirlo, inviando le rimesse in denaro ai familiari, che devono provvedere materialmente al rimborso nel giro di 12-24 mesi.
E se non ci riescono, ecco pronto un altro prestito per la famiglia, con tanto di interessi, per guadagnare tempo, in attesa delle rimesse. Precisa il sito della Ong bengalese: «A giugno 2016, Brac ha contribuito a finanziare 194 mila lavoratori migranti a cercare lavoro all’estero».
Il sito della Ong Brac è prodigo di informazioni anche sui «prestiti di rimessa», a riprova del fatto che ci tiene moltissimo a riprendersi i soldi dei «migration loans»: «Brac fornisce ulteriore supporto alle famiglie dei migranti sotto forma di prestiti di rimesse. Questi prestiti sono scommesse sicure, progettati per offrire maggiore flessibilità alle famiglie, che fanno affidamento sulle rimesse mensili inviate dai familiari che guadagnano all’estero». Tra giugno 2014 e giugno 2016, la Ong Brac ha offerto questo servizio a oltre 40 mila famiglie bengalesi.
Essendo la prima Ong al mondo, la Brac non opera solo in Asia, ma anche in America Latina e in molti paesi dell’Africa. Un colosso finanziario che ha fatto del business dei microcrediti ai migranti e alle loro famiglie la sua vera fonte di guadagno. Osserva con tono critico la Bifarini: «Vengono concessi finanziamenti non per lo sviluppo dell’economia locale, bensì per incentivare l’emigrazione, secondo un infondato modello di sviluppo economico, che vede nelle rimesse dei migranti una fonte di crescita per il paese d’origine».
Non sempre però le rimesse riescono a pagare il debito iniziale. Tanto è vero che «in alcune zone dell’India non sono rari i casi di vite immolate per ripagare i prestiti, dall’aumento dei suicidi, fino alla vendita di organi da parte di cittadini bengalesi».
Lo zoccolo finanziario da cui pescare profitti rimane tuttavia ampio. «Un affare d’oro quello delle rimesse», scrive Bifarini, «che ha visto un incremento in termini globali di oltre il 50% in soli dieci anni, per una cifra complessiva di 445 miliardi di dollari sotto forma di rimesse nel solo 2016, il 13% delle quali è stato inviato in Africa (dati Ifad)». Un business ricco se si considera che «spedire soldi nei paesi africani sotto forma di rimesse è piuttosto oneroso, con commissioni che vanno dal 10 al 15%».
Conclusione: fare luce sul ruolo delle navi Ong è stato un passo utile, ma non meno importante sarebbe ricostruire l’intera filiera del business dei migranti, un business perverso, fondato sulla disperazione, compreso il ruolo ambiguo delle Ong dei «migration loans» e di chi le manovra, anche dall’Europa.