Intervista ad Alexandre del Valle
A cura di Federico Catani
Professore, che riflessioni fare in seguito alle elezioni svoltesi in Tunisia, Marocco ed Egitto dopo la “Primavera araba”?
Innanzi tutto abbiamo capito che i rivoluzionali laici, giovani, moderni, liberali, che usano facebook, sono stati sorpassati dagli islamisti conservatori, anti-laici, anti-liberali e oscurantisti. In secondo luogo, occorre notare che ovunque vi sono elezioni libere nel mondo arabo-musulmano, vincono i partiti islamisti: in Tunisia Ennahda, in Egitto i Fratelli musulmani, in Marocco il partito per la Giustizia e lo Sviluppo.
Cosa rispondere a chi sostiene che la “primavera araba” sancisce la vittoria dell'”islamismo democratico” e il fallimento del terrorismo islamico?
Dico al contrario che con le vittorie dei partiti islamisti assistiamo a un “inverno islamico”, cioè alla vittoria postuma di Osama bin Laden, che sognava di rovesciare i regimi degli “infedeli” Gheddafi, Mubarak e Ben Ali. Lo stesso successore di bin Laden, Ayman al Zawahiri, il 16 settembre 2011 ha affermato in un video: «Siamo schierati totalmente con i protagonisti della primavera araba, che porterà un islam autentico basato sulla sharia».
Il modello islamico “moderato” non differisce dall’islamismo radicale sul piano degli obbiettivi, ma solo sul metodo. Non sono quindi per niente d’accordo con chi spiega che l’islamismo politico si sta riconciliando in modo pacifico con la democrazia grazie alla “primavera araba”.
Eppure molti islamici “moderati” si rifanno al cosiddetto “modello turco”.
II fatto che Ennahda e il suo capo storico Rachid Ghannouchi facciano riferimento al cosiddetto “modello turco” non vuoi dire nulla: è solo retorica volta ad abbassare la guardia dei riformisti liberali e dell’Occidente. Ricordo che da qualche anno il partito islamico di governo turco AKP ha cominciato ad attuare l’ultima fase della sua “strategia a tappe”, che in un mio libro ho definito del “cavallo di Troia islamico”. Si tratta di strumentalizzare la democrazia per poter progressivamente smantellare l’edificio laico kemalista.
Nei suoi scritti lei paria di “nuovo califfato turco-ottomano”. Cosa intende con questa espressione?
Quando si vede a quale velocità la Turchia del partito AKP si è reislamizzata in questi ultimi anni e si osserva la violenza delle dichiarazioni dei dirigenti turchi nei confronti del vecchio alleato Israele o si ascolta Erdogan minacciare militarmente Cipro, si può constatare che “il modello turco” non è quello di un “islamismo moderato” o riformista filo-occidentale, ma piuttosto un modello di neo-panislamismo molto astuto, che procede “a tappe” per conquistare nuovi spazi.
Può spiegarci il concetto del “procedere a tappe”?
Nel linguaggio dei Fratelli musulmani è un’espressione che indica infiltrarsi nell’amministrazione, avanzando in modo mascherato e creando fronti pluralistici per fuorviare l’avversario “infedele” e perseguire così lo stesso scopo degli islamici radicali: il regno della sharia. Tale è la strategia degli ideologi dei Fratelli musulmani egiziani, tunisini e marocchini recentemente eletti democraticamente. Per questi islamici, così abili da arrivare perfino a ricusare la parola islamico, la democrazia non è un fine ma un mezzo.
Quali sono le prove della dissimulazione, la “takiyya*’, di cui fanno uso gli islamisti tunisini di Ennahda?
Ghannouchi ha spiegato che «l’apostasia è un crimine» da punire con la morte. Assicura di non volere instaurare la sharia, ma ha scritto che essa rimane la «principale fonte del diritto». Inoltre, nel 2005, ha voluto pubblicamente onorare lo sceicco Yusuf al-Qardawi, famoso per le sue fatwe contro gli “apostati” e per il sostegno ai terroristi suicidi, fl semplice fatto che al-Qaradawi sia il riferimento supremo non solamente dei salatiti di tutto il mondo ma anche dei Fratelli musulmani dimostra che non siamo di fronte a islamici moderati.
Che pensa dell’intervento della Francia e della NATO in Libia?
Ribadisco la mia osservazione sulla “primavera araba”. Il Presidente del Consiglio nazionale di transizione (CNT) libico, Mustafa Abduljalil, ha confermato varie volte che la Libia libera del futuro avrà una legislazione fondata sulla sharia. Tuttavia, sul modello degli “islamici moderati” di Tunisia ed Egitto, le componenti islamiste della nuova Libia tentano di rassicurare i loro padrini occidentali giurando di respingere ogni ideologia estremista.
Ci parli adesso dell’Egitto, dove hanno trionfato gli islamici conservatori della Fratellanza musulmana e quelli radicali salatiti.
II caso dell’Egitto dimostra che il cosiddetto islam conservatore non è una garanzia contro quello radicale salafita. Infatti, più il sistema permette le elezioni libere e la rappresentanza politica dei conservatori come i Fratelli musulmani, più progrediscono e prendono voti i salafiti, che sono molto vicini ad Al-Qaeda. Questo vuoi dire che chi vota per i partiti islamici non si accontenterà solo di una islamizzazione parziale, ma esigerà sempre di più una “seconda rivoluzione”: la caduta del sistema militare ”apostata” ancora al potere.
Ma in Egitto i Fratelli musulmani hanno fatto un patto con i militari e si differenziano nettamente dai salafiti, ben più radicali.
I Fratelli musulmani hanno stretto un patto con i militari per evitare una guerra civile. Ma la distinzione con i salafiti non è sempre evidente. La verità è che gli stessi Fratelli musulmani fanno parte dell’universo ideologico dell’islamismo salafita. Stiamo quindi assistendo a una “seconda rivoluzione” araba: quella verde, il colore dell’islam. Ed è solo l’inizio di un fenomeno che fra qualche anno cambierà tutto il Medio Oriente e il Maghreb.