Il ministro della Pubblica istruzione vuole rivedere l’insegnamento della religione
Carmine Alboretti
Secondo l’esponente del governo Monti «nelle aule ci sono studenti che provengono da Paesi, culture, religioni diverse», ragion per cui la scuola deve essere più aperta e multietnica. L’insegnamento della religione cattolica potrebbe, dunque, urtare le loro sensibilità.
Lo stesso ragionamento è stato all’origine della durissima battaglia legale contro l’esposizione del crocifisso nelle aule. Per fortuna una sentenza della Corte europea dei diritti umani ha chiuso la partita, spiegando, una volta per tutte, che il simbolo a noi caro non comprime alcuna libertà fondamentale, non obbliga a pratiche di fede, ma, molto semplicemente, sintetizza i principi sui cui poggia la cultura europea e la stessa civiltà occidentale.
Ma tant’è. La presa di posizione di Profumo, membro di un esecutivo “tecnico” il cui compito precipuo dovrebbe essere quello di aiutare il Paese ad uscire dall’attuale congiuntura lasciando ai politici (più “per vocazione” che “di professione”) il compito di effettuare scelte di questo profilo, non può non suscitare stupore e meraviglia.
Non siamo ancora ai livelli della Francia – dove Vincent Peillon, ministro dell’Educazione del governo Hollande, vorrebbe introdurre nelle scuole un’ora di fantomatica “morale laica” – ma potremmo presto arrivarci se continueremo a percorrere questa strada scoscesa.
La nuova ondata di illuminismo e di laicismo, frutto della cultura che predomina in Occidente, secondo la quale Dio andrebbe escluso dalla cultura e dalla vita pubblica e la libertà religiosa dovrebbe limitarsi esclusivamente alla sfera intima e personale, rappresenta, come ha sottolineato in più di una occasione il Santo Padre, Benedetto XVI, una delle ragioni della profonda crisi nella quale siamo sprofondati.
L’insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana non rappresenta affatto una interferenza o una limitazione della libertà, in quanto i suoi principi «fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano».
Ecco il motivo per cui le norme di revisione del Concordato tra l’Italia e la Santa Sede del 1984 dispongono che «la Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado».
Attualmente l’ora di religione non è obbligatoria, nel senso che i genitori o gli stessi studenti – se maggiori di 14 anni – possono scegliere liberamente se frequentarla o astenersi, comunicando la propria decisione all’atto della iscrizione al primo anno con la possibilità di cambiare negli anni successivi.
La maggior parte degli studenti, comunque, sceglie di frequentare il relativo corso di studio; il che costituisce una riprova del «valore insostituibile che essa riveste nel percorso formativo» ed è «un indice degli elevati livelli di qualità che ha raggiunto».
Le esigenze degli alunni stranieri – che tanto stanno a cuore al ministro della Pubblica istruzione, Francesco Profumo – sono garantite dal fatto che, già da tempo, l’ora di religione non si limita all’insegnamento puro e semplice della religione cattolica come se si trattasse di una sorta di “catechismo” in classe ma offre una visione d’insieme di tutte le religioni.