Abstract: Ha senso dirsi progressisti e conservatori? Che senso ha oggi conservare e progredire? Il progressismo si rifugia in alcuni ambiti compatibili col mainstream, tipo la biopolitica, i diritti delle soggettività; il conservatorismo, invece, usa il gergo dell’identità e della sicurezza, ma poi è difficile tramutarlo in fatti. Da tempo viviamo dentro un processo esattamente opposto alla auspicata rivoluzione conservatrice: in una stagnazione dissolutrice.
La Verità – 8 ottobre 2023
Conservare o progredire? Nessuno dei due
Ha senso dirsi conservatori e progressisti, che senso ha oggi conservare e progredire? Hanno chiesto a Luca Ricolfi e a me di “dialogare” a Libropolis, a Pietrasanta, su questo tema doppio. A pensarci fuori dalle divisioni ideologiche, conservare e progredire sono due funzioni naturali, vitali e necessarie della vita personale, comunitaria e pubblica. Come sistole e diastole, come camminare e fermarsi. Non si può fare a meno di conservare come di progredire. Diventano invece armature, schieramenti e scelte di campo quando si rapportano alle priorità, ai caratteri, alle situazioni. E patiscono pregiudiziali ideologiche quando assumono le vesti e le fattezze di categorie politiche.
Da lungo tempo vige una specie di deplorazione nella definizione di conservatore. Eppure da decenni naufraga l’idea di progresso e crescono gli atteggiamenti conservatori. Da tempo è caduto lo schema ottimistico del progresso incessante e la convinzione che il mondo proceda verso il meglio. Oggi il futuro è visto più come minaccia che come promessa, suscita angoscia e paura più che aspettative felici o di riscatto: le catastrofi ambientali e naturali, i timori di contagi, la minaccia nucleare, le migrazioni bibliche, il caos; e poi i costi del progresso, il naufragio dell’escatologia politica e delle rivoluzioni, l’invecchiamento della popolazione concorrono a guardare al futuro con apprensione. Di conseguenza si diffonde un atteggiamento conservatore proteso più a difendere e prolungare le proprie condizioni di vita che a mutarle e migliorarle. Se la storia procede per cicli pendolari siamo ora sul versante conservatore. E il prevalere in campo politico e nel consenso popolare di leader, forze e schieramenti conservatori ne è una conseguenza, piuttosto che una causa.
Il progresso oggi deve vedersela con tre fattori avversi che non provengono dal campo antagonista ma che sorgono nel suo seno.
Il primo è che l’ideologia del progresso ha lasciato da tempo il posto al format dello sviluppo. Già più di mezzo secolo fa si distingueva tra progresso e sviluppo, lo faceva pure Pasolini e quanti denunciavano, come il club di Roma i limiti dello sviluppo. Lo sviluppo è la crescita determinata dall’espansione del mercato, dei consumi e della tecnologia; non accompagnata da una ideologia progressista e da una coscienza sociale ed egualitaria, ma più compatibile con forme di liberismo, tecnocrazia e capitalismo globale. La convinzione è che la crescita produca comunque migliori condizioni di vita, sempre più estese; ma di fatto non è poi così, crescono i divari e le disparità, l’invidia sociale e lo scontento.
Allo sviluppo illimitato si oppone oggi l’ambientalismo, assai diffuso nel mondo di derivazione progressista; ma il messaggio ecologista mira a frenare la crescita, se non a ipotizzare la decrescita; punta a fermare il progresso, se non a tornare indietro. Un messaggio conservatore anche se farcito di intenzioni e linguaggi progressisti ma ecosostenibili.
Analogo cortocircuito produce nel mondo progressista l’accoglienza ai flussi migratori. Sorge dall’estensione universale dei diritti umani, per allargare il benessere e il progresso a tutti e aprire le porte al resto del mondo. Ma la massiccia immissione di popolazioni provenienti da contesti culturali, religiosi, sociali in conflitto con le società progredite, coi diritti umani e la parità, produce un ulteriore testacoda del modello progressista. E induce per reazione, le popolazioni occidentali a rinchiudersi nelle proprie paure, sentendosi assediati, espropriati ed estraniati in casa propria, in cerca di sicurezza e collanti identitari.
Insomma lo sviluppo, l’ecologia e i flussi migratori non lavorano a favore del progresso; piuttosto concorrono a rafforzare risposte conservatrici, per analogia o per contrappasso.
Ma dall’altro versante conservatore, prevale il disorientamento, per il rapido, irreversibile sgretolarsi di un mondo e di una civiltà; la perdita progressiva di memoria storica e identità, del pensiero e della fede, dei legami sociali, stili di vita, canoni culturali, educativi, morali e religiosi. Al cortocircuito del progresso corrisponde il collasso dell’universo conservatore.
Qual è il nucleo forte della mentalità conservatrice? La maggiore aderenza alla realtà, l’attenzione positiva verso il sentire comune, il legame identitario, comunitario e securitario con la tradizione, con la memoria storica; il nesso tra diritti e doveri, l’importanza dei diritti naturali e delle comunità naturali.
La parola chiave del pensiero progressista sia nella versione liberal che in quella radical, è invece liberazione, ovvero emancipazione, superamento della natura nel nome della fluidità e sradicamento nel nome del nomadismo; primato dei diritti soggettivi, fino alla coincidenza coi desideri. Conservatori e progressisti sono assediati e logorati dal predominio dell’Infinito Presente Globale, all’insegna di un individualismo nichilista, di massa, che recide i ponti col passato e col futuro, coi legami sociali e con le idee, e dipende solo dalla supremazia della finanza e della tecnica. Questo processo assume ancora il nome di liberalismo, ma è solo una protesi. Così il progressismo si rifugia in alcuni ambiti compatibili col mainstream, tipo la biopolitica, i diritti delle soggettività; il conservatorismo, invece, usa il gergo dell’identità e della sicurezza, ma poi è difficile tramutarlo in fatti. Così è forte il rischio di avere solo maschere progressiste e conservatrici, funzionali al Potere globale.
Un tempo pensavo che fosse necessaria una rivoluzione conservatrice che rinnovasse radicalmente gli assetti sociali e istituzionali e salvaguardasse i principi e i legami. Ma da tempo viviamo dentro un processo esattamente opposto: non rivoluzione conservatrice ma stagnazione dissolutrice. Dove era auspicabile il cambiamento vige la stagnazione, la persistenza di una cappa, un modello uniforme da cui è impossibile uscire. Dove invece era auspicabile conservare è in atto un processo disgregativo e dissolutivo che accelera il declino delle civiltà e procede verso una radicale disumanizzazione. Così conservare e progredire vanno a farsi benedire.