Abstract: il Protocollo di Kyoto sulla riduzione della CO2 è il frutto di un falso allarme. Che il clima sia instabile è un dato di fatto. Ma le cause delle irregolarità sono incerte. E molte sono le perplessità che suscita il protocollo di Kyoto. In ogni caso la riduzione delle emissioni di CO2 risulta molto costosa a fronte di risultati irrisori. In Europa a dispetto del fondamentalismo ambientalista solo pochissimi Paesi sono riusciti a ridurre le emissioni mentre altri, tra cui l’Italia le hanno aumentate. Allo stato attuale delle conoscenze il bilancio della CO2 nell’atmosfera è molto incerto.
Articolo pubblicato su Tempi N. 43 – 24 Ottobre 2002
Kyoto, un protocollo o un falso allarme?
Che il clima sia instabile è un dato di fatto. Ma le cause delle irregolarità sono incerte. E molte sono le perplessità che suscita il protocollo di Kyoto. Che abbia ragione Bush
di Pedrocchi Ernesto
Il clima della terra non è mai stato stabile. Non solo nel periodo delle ere glaciali ma anche negli ultimi millenni ci sono state variazioni importanti, ma è probabile che ora sia in atto un processo di cambiamento forse più veloce di quanto la storia dell’uomo ricordi. La temperatura media superficiale del pianeta terra è cresciuta nell’ultimo secolo di circa 0,6°C, in modo molto irregolare nel tempo e nello spazio; ancora più incerto e irregolare è l’aumento del livello dei mari.
Queste incertezze, il legame difficilissimo da quantificare tra l’aumento dei gas serra nell’atmosfera e le condizioni climatiche, l’influenza sul clima di altri fattori poco noti sono elementi più che sufficienti per dimostrare quanto complessi e difficili siano questi fenomeni fisici e quanto poco l’uomo li conosca. A fronte di questo grave stato di incertezza, stanno affermazioni avventate che danno per scontato che il clima cambi a causa dell’immissione antropica di gas serra nell’atmosfera. E che accentuano ogni evento climatico e ne attribuiscono la causa all’uomo.
La sua efficacia e la relativa evoluzione
In base a un generico principio di precauzione, malgrado fosse molto difficile varare provvedimenti precauzionali senza basi scientifiche, dopo un dibattito più politico che scientifico, l’Onu ha promosso un’azione per contenere l’aumento di concentrazione in atmosfera di gas ad effetto serra di natura antropica. Le vie a priori perseguibili sono due: ridurre le emissioni antropogeniche di gas ad effetto serra o aumentare l’assorbimento di questi gas nella biosfera. Si sono scontrate due posizioni: una favorevole a imporre ai vari Paesi delle limitazioni alle emissioni antropogeniche di gas serra o ad aumentarne le capacità di assorbimento e un’altra che, prima di intraprendere azioni incerte e costose, chiedeva si raggiungessero delle conoscenze più sicure.
La prima posizione, sostenuta prevalentemente dai paesi europei, non è stata attentamente vagliata sul piano economico e su quello giuridico. La seconda, sostenuta dagli Usa, presenta il grave problema dei tempi necessari per raggiungere conoscenze più certe. La combustione di tutti i combustibili produce CO2 a pari energia liberata il carbone ne produce più dei derivati del petrolio (~1,25%) e ancor più del gas naturale (~1,40%). L’energia utilizzata dall’umanità per più dell’80% proviene dai combustibili fossili e non è assolutamente ipotizzabile che tale frazione possa ridursi se non in tempi lunghi (almeno qualche decina d’anni).
Produrre energia dai combustibili fossili riducendo le emissioni in atmosfera di CO2 rispetto alla modalità di semplice combustione tradizionale comporta un costo aggiuntivo che, grossolanamente, si può stimare dell’ordine del 30%. Dato per scontato che fosse molto difficile richiedere ai Paesi in via di sviluppo (Pvs) di produrre energia a costi maggiori, si è proposto che all’inizio solo i Paesi sviluppati, che sono stati finora maggiormente responsabili delle emissioni di gas serra, si facessero carico della riduzione.
È facile intuire come i Pvs si siano in generale schierati a favore della prima soluzione; ma si tenga presente che fra pochi anni saranno proprio loro i maggiori emettitori di gas ad effetto serra. Da questo dibattito è nato il protocollo di Kyoto che è stato sottoscritto da 84 Paesi, ma per entrare in vigore è necessario che sia ratificato da almeno 55 Paesi (questo è facilmente realizzabile) purchè le loro emissioni rappresentino almeno il 55% delle emissioni del 1990 (questo è invece molto difficile, specialmente dopo la rinuncia degli Usa, confermata a Johannesburg).
Semplificando: il protocollo di Kyoto prevede per il complesso dei paesi sviluppati la riduzione entro il 2012 del 5% delle emissioni di CO2 rispetto ai valori del 1990, ogni paese ha poi una sua aliquota in base alla particolare situazione energetica. È opportuno fare subito un banale calcolo. La riduzione del 5% delle emissioni dei paesi sviluppati è pari a circa 0,6 miliardi di tonnellate di CO2 che corrisponde al 2,5% delle emissioni totali antropiche, ma solo a meno dello 0,1% del totale di CO2 immesso nell’atmosfera. Sembra facile dedurre che anche una piccolissima variazione delle emissioni o degli assorbimenti naturali possa mascherare o contrastare la riduzione delle emissioni antropiche.
I Pvs richiedono sempre più energia e immettono in atmosfera sempre più CO2 e questo aumento non può essere compensato dalla non sicura riduzione delle emissioni dei paesi sviluppati. In ogni caso l’immissione antropica di CO2 nell’atmosfera continuerà ad aumentare e si prospettano due possibilità: o i cambiamenti climatici non dipendono da queste immissioni antropiche, ma da fattori naturali e l’uomo non può che subirli, o essi sono la conseguenza delle emissioni antropiche, ma il rispetto del protocollo di Kyoto risulta del tutto inefficace.
Anche interventi molto più incisivi (e l’unico praticabile sarebbe la copertura di una frazione importante di produzione di energia elettrica con la fonte nucleare) non riuscirebbero a contrastare il fenomeno. Si sostiene ora la necessità di uno “shock tecnologico” nel sistema di copertura del fabbisogno energetico, ma ciò è imprevedibile, tenuto conto della mancanza di potenzialità delle fonti di energia rinnovabile e del rifiuto preconcetto all’energia nucleare.
Allarmismo ingiustificato
I Paesi della Ue, sotto la spinta del fondamentalismo ambientale, hanno prima favorito la promulgazione e poi spinto per l’adesione al protocollo di Kyoto e hanno avviato, più sulla carta che nei fatti, degli interventi di contenimento delle emissioni di gas serra. Subito ci si è resi conto che il rispetto dei pur poco efficaci limiti imposti risultava difficile e costoso. Il protocollo di Kyoto è del 1997 ma salvo pochi paesi (Francia, Germania e Regno Unito) tutti gli altri fino ad ora non sono riusciti a diminuire le emissioni rispetto al 1990, anzi molti, tra cui l’Italia, le hanno aumentate significativamente.
La posizione dell’Italia è emblematica: a parole ci siamo sempre schierati su una linea favorevole al protocollo di Kyoto, ma nei fatti è evidente dai numeri (tra il 1990 ed ora le emissioni sono aumentate di più del 6% mentre al 2012 dovremmo riuscire a ridurle del 6,5% rispetto al valore del 1990) la difficoltà se non l’impossibilità di traguardare i limiti che ci imporrebbe. Gli Usa si erano subito resi conto di questa situazione e con la nuova amministrazione nel marzo 2001 hanno disdetto l’adesione al protocollo di Kyoto. Certamente la nuova filosofia del protocollo di Kyoto facilita il raggiungimento degli obiettivi per i Paesi sviluppati mediante il coinvolgimento dei Pvs, ma probabilmente ne riduce ancora l’efficacia.
Con questa impostazione il protocollo di Kyoto, che era nato velleitariamente come un’azione determinata e irrinunciabile per il bene del pianeta terra viene derubricato a una funzione psicologica e di esercizio propedeutico a nuovi interventi di difficile immaginazione. I più avveduti tra i promotori riconoscono la difficoltà di attuarlo e la non efficacia.
Tuttavia il grande e infondato allarmismo sviluppato sui cambiamenti climatici ha alimentato un emotività sociale generalizzata favorevole al protocollo di Kyoto che rende molto difficile un dibattito scientificamente ed economicamente corretto e pacato. Forse alcuni ambiti culturali desiderano mantenere questa equivoca commistione fra scienza incerta e finalità sociale, ma invece di dare contributi per chiarire il problema promuovono solo disinformazione ed emotività oscurantista. Anche la conferenza di Johannesburg non ha portato chiarezza su questo problema, si è rimasti vincolati al protocollo di Kyoto come fosse il toccasana di tutti i mali, senza chiarire che è praticamente inefficace.
Il bilancio della CO2 nell’atmosfera
Allo stato attuale delle conoscenze il bilancio della CO2 nell’atmosfera (vedi figura 1) è molto incerto; in base ai più recenti dati scientifici, le immissioni, per un totale di circa 720 miliardi di tonnellate, provengono
– per circa 367 miliardi di tonnellate dalla biosfera
– per circa 325 miliardi di tonnellate dai mari
– per circa 22 miliardi di tonnellate dai combustibili fossili
– per circa 6 miliardi di tonnellate dagli incendi di boschi e foreste
Gli assorbimenti per un totale di 708 miliardi di tonnellate avvengono:
– nella biosfera per circa 375 miliardi di tonnellate
– nei mari per circa 333 miliardi di tonnellate
L’eccedenza di immissioni, in media circa 12 miliardi di tonnellate annue, si accumula nell’atmosfera e ne fa aumentare la concentrazione di circa a 1,5ppm (parti per milione) all’anno. Questa concentrazione è aumentata dal valore di circa 250 ppm nel periodo pre industriale al valore di 380 ppm attuali. L’aumento è però molto irregolare, benché il contributo dovuto ai combustibili fossili sia l’unico contributo abbastanza stabile e regolare. Esso varia da anno in anno anche significativamente senza che si riesca a capirne le cause: nel 1997 è stato di meno di 1ppm mentre nel 1998 è stato di più di 3ppm.
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Sul Protocollo di Kyoto, la CO” e il falso allarme climatico :
Protocollo di Kyoto, inutile comunque