di Piero Sinatti
Se si eccettuano le visite di Josif Stalin nel 1943, per lo storico vertice con il presidente USA F.D. Roosevelt e il premier britannico Winston Churchill durante la Seconda Guerra Mondiale, e quella di Leonid Brezhnev nel 1963, (all’epoca presidente del Soviet Supremo dell’URSS, ma non ancora leader del PCUS), mai un capo di stato di Mosca aveva visitato Teheran, come si appresta a fare Vladimir Putin il prossimo martedì.
La Convenzione sul Caspio
I cinque stati rivieraschi (Russia, Kazakhstan, Azerbajdzhan, Turkmenistan e Iran), dopo il fallimento del vertice del 2002 ad Ashgabat, devono ancora firmare una Convenzione che sostituisca quelle siglate in passato dall’URSS e dall’Iran, decadute dopo la fine dell’URSS, e riguardi le condizioni dell’uso delle acque, della superficie e del fondo marino in rapporto sia ai giacimenti off shore di idrocarburi – che si annoverano tra le grandi riserve mondiali, sia ai progetti americani e euroccidentali di pipeline sottomarine che dovrebbero unire le due rive del Caspio per trasportare greggio e gas di Kazakhstan e Turkmenistan ai terminali azeri della penisola di Apsheron, da dove dovrebbero essere avviati, attraverso Georgia e Turchia, ai mercati internazionali, evitando la Russia e l’Iran.
E’ improbabile che i presidenti dei cinque paesi firmino ora una nuova Convenzione, dal momento che nelle riunioni preparatorie a livello di ministri degli esteri non si è definita neppure una bozza d’accordo. I pareri sono discordi. Se da una parte l’Iran assieme al Turkmenistan chiede la divisione paritaria di acque e fondi del Caspio, gli altri tre paesi hanno preferito procedere secondo accordi bilaterali.
Tuttavia, per Russia e Iran la posta in gioco è il rifiuto o meno dell’accesso al Caspio da parte di navi di stati non rivieraschi. La conservazione dello statu quo appare per il momento la soluzione più probabile di questo.
L’Iran nella strategia di Putin
L’Iran è uno dei principali punti di frizione tra russi e occidentali, come è emerso nei tesi incontri della scorsa settimana tra il leader russo, il presidente francese Sarkozy e la segretaria di stato Rice. Nessuno dei due è riuscito a convincere Putin ad associarsi a “pesanti sanzioni” contro Teheran sulla controversa questione nucleare.
Il fatto è che l’Iran, “stato canaglia” esecrato da Washington e da Israele, ha un posto di primo piano nella concezione multipolare putiniana dei rapporti internazionali. Non solo per assicurare la stabilità della regione centroasiatica.
Si tratta di una potenza regionale per posizione geografica , dimensioni territoriali e demografiche e soprattutto per le enormi riserve energetiche: 16% delle riserve mondiali di gas (cui è particolarmente interessata la Cina) e 10% di quelle di greggio, di cui è il quarto esportatore mondiale (verso l’Europa).
L’Iran ha avuto il merito agli occhi di Mosca di non ingerirsi nella questione cecena (“fatto interno russo”) e di aver contribuito nello scorso decennio a far finire la guerra civile in Tadzhikistan, paese islamico e di lingua pharsi. Grazie ai suoi buoni rapporti commerciali e politico-diplomatici con l’Armenia e con i paesi centroasiatici Teheran ha contribuito alla stabilità dell’area caspica e di quella centroasiatica.
Da due anni l’Iran è (con India e Pakistan) “membro osservatore” dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai (SCO) l’alleanza economica e militare che dai primi Duemila unisce Cina, Russia, Kazakhstan, Tadzhikistan, Uzbekistan, Kirgyzstan. C’ è chi parla della SCO, sopravvalutando l’aspetto della cooperazione militare, come di una sorta di NATO eurasiatica.
Una stretta e “allarmante” cooperazione
La Russia ha concluso dai primi anni Duemila contratti miliardari (in dollari) per la vendita di armamenti all’Iran, tra cui, lo scorso dicembre, una partiti di costosi complessi missilistici terra-aria Thor – M1, provocando le risentite proteste di Washington e Tel Aviv.
Con Gazprom e la società petrolifera Tatneft’ la Russia partecipa a importanti progetti gas-petroliferi iraniani e collabora nello studio di un possibile gasdotto che trasporti gas iraniano verso Pakistan e India. Inoltre, Mosca fornisce macchinari e impianti per lo sfruttamento degli idrocarburi iraniani.
Ora, proprio Teheran (assieme al Venezuela, altro “rogue state” in ottimi rapporti con Mosca) ha chiesto a Putin di creare insieme una “Opec del gas”. Una prospettiva che non poco allarma USA e UE.
Il nucleare di Teheran: il punto di massimo attrito.
Dal 2001 Mosca partecipa con un migliaio di tecnici e la sua tecnologia alla contestata costruzione della centrale nucleare di Bushehr. Un affare di oltre 1 miliardo di dollari.
E’ significativo che martedì accompagni Putin a Teheran Sergej Kirienko, il presidente dell’agenzia statale russa per l’energia nucleare “Rosatom”, di cui fanno parte le società che operano a Bushehr.
Secondo gli USA e gli Occidentali, la costruzione del settore nucleare iraniano ha fini non civili, come affermano Teheran e Mosca, ma militari, per aggredire Israele, UE e USA: ipotesi giudicate irrealistiche da Mosca.
Washington ed europei, con forze nelle ultime settimane, cercano di far approvare “sanzioni pesanti” contro Teheran in sede di Consiglio di Sicurezza, scontrandosi con il veto di Cina e Russia. E Washington non esclude la sciagurata ipotesi di un’opzione militare contro Teheran.
La Russia ha contribuito in modo determinante alla costruzione della centrale di Bushehr – che dovrebbe essere ultimata nel luglio 2008, con un ritardo di una decina di mesi rispetto agli impegni iniziali (per ritardi iraniani nei pagamenti).
Per il momento essa “non dispone di dati che permettano di dire che l’Iran cerca di produrre armi nucleari”. Tuttavia, “condivide le preoccupazione dei partner (occidentali, ndr) sulla necessità di trasparenza nei programmi nucleari iraniani” – così Putin ha risposto a Sarkozy la scorsa settimana, ribadendo l’ormai consueta ostilità russa a “sanzioni pesanti”.
Mosca è l’unica potenza in grado di mediare con Teheran, che si trova sempre più isolata sul terreno internazionale, anche nei confronti dell’UE (dopo l’uscita di scena del presidente francese Chirac).
Tuttavia, i russi sono irritati dai comportamenti non lineari e imprevedibili di Teheran riguardo alla principale condizione cui Mosca aveva sottoposto la sua cooperazione nucleare: il trattamento in territorio russo, sotto controllo internazionale, del carburante nucleare usato a Bushehr da destinare ai processi di produzione di uranio arricchito, che può essere utilizzato sia per il “nucleare civile”, ma anche per costruire la “bomba”.
In determinati momenti Teheran dice di accettare e realizzare questa condizione, in altri la respinge. Ora accetta, ora rifiuta non senza tracotanza i controlli internazionali, dando così spazio e ragioni alle pesanti accuse occidentali.
Richieste di Putin a Teheran
Attualmente Teheran dichiara, senza smentite da parte dell’ente interessato, di offrire una piena collaborazione alle verifiche dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) che agisce nel quadro delle NU. Mosca conferma.
Putin, tuttavia, dovrà esigere chiarezza dal suo omologo iraniano sulla questione dell’uranio arricchito. Anche se non gradisce di farlo sotto una pressione occidentale mai stata così pesante, e invadente in materia di affari interni russi.
Putin, d’altra parte, non può rischiare di aggravare i rapporti con Washington e Bruxelles, tollerando le ambiguità di Akhmadi-Nejad. Né quest’ultimo può continuare a tirare la corda con i suoi atteggiamenti dilatori e/o di sfida.
Putin, alla ricerca di una soluzione politico-diplomatica del problema, chiederà al collega iraniano il rispetto delle condizioni di Mosca. Magari aprendo la strada a nuovi contratti di cooperazione reciprocamente vantaggiosi, forse già preparati da Kirienko con i partner del nucleare iraniano.
Per non parlare del consolidamento della cooperazione dei due paesi nel settore degli idrocarburi.
Sanzioni “pesanti”– ha detto Putin a Sarkozy – sono possibili solo se decise solo in presenza di un rapporto negativo da parte dell’AIEA nei confronti di Teheran e solo nel quadro dell’ONU. Nessuna iniziativa “unilateralista”, né tantomeno avventure militari, come quella in Iraq, di cui si stanno vedendo i catastrofici esiti.