Un’analisi molto concreta scritta da chi conosce davvero il mondo penitenziario italiano. L’ha pubblicata Libero ieri, a firma dell’ex magistrato Bruno Ferraro
di Giuseppe Brienza
Bruno Ferraro è un ex magistrato italiano, attualmente Presidente Aggiunto Onorario della Corte di Cassazione, che in passato ha rivestito importanti incarichi anche presso il Tribunale per i Minorenni. Ieri il quotidiano di Vittorio FeltriLibero ne ha pubblicato un’analisi molto concreta e pratica, che sarebbe utile applicare per riformare davvero il mondo penitenziario nel nostro Paese.
Dall’articolo, che s’intitola Qualche proposta per risolvere il problema delle carceri sovraffollate (Libero, 24 ottobre 2018, p. 14), traiamo solo due passaggi, invitando a leggerlo integralmente perché ne vale la pena.
Il prof. Ferraro tocca in primo luogo in modo realistico e politicamente scorretto il problema del mancato perseguimento della finalità costituzionale del carcere, vale a dire quello della “rieducazione del reo”. Scrive al proposito: “la rieducazione va migliorata, rafforzata ed incoraggiata, ma a chi sgarra non si deve usare indulgenza, prendendo esempio dai Paesi del Nord Europa che registrano percentuali più basse di recidivi. Va soprattutto accresciuta la vigilanza interna per impedire che le carceri si trasformino in scuole di perfezionamento e reclutamento di delinquenti”.
Poi l’ex magistrato concentra l’attenzione sull’altro grande argomento tabù delle politiche della giustizia e penitenziarie italiane: il “dominio carcerario” degli stranieri. Qui in maniera “tecnica” Ferraro propone di risolvere la questione con una via politica internazionale molto interessante: “il problema si risolverebbe da solo se ogni Paese si riprendesse i detenuti suoi cittadini che, per quanto riguarda l’Italia, sono circa il 40% del totale.
Occorre quindi attivarsi per giungere ad intese bilaterali o plurilaterali. Che un detenuto romeno, condannato da un tribunale romeno per reati commessi in quel Paese, sia stato ritenuto dalla Cassazione qualche mese fa “meritevole” di scontare la pena in un carcere italiano in quanto la Romania non garantirebbe una carcerazione non umiliante né degradante, costituisce un precedente pericoloso e paradossale”.
Si tratta di un tema sul quale ci soffermiamo anzitutto citando i dati ufficiali forniti dal Ministero della Giustizia-Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Leggendo sul sito istituzionale del dicastero guidato da Alfonso Bonafede, infatti, al 30 settembre 2018 la popolazione carceraria italiana risulta composta da 59.275 persone. Tra queste ben 20.098 sono stranieri e, quindi l’8% della popolazione residente in Italia genera circa il 34 per cento dell’intera popolazione carceraria.
Ma chi vince il “campionato del mondo” dei detenuti italiani? Il Marocco, con 3.722 incarcerati, la maggior parte dei quali spacciatori di droga. Il “marocchino” che valanghe di giovani italiani fuma mentre va ancora a scuola o all’università, se lo va infatti a comprare da un marocchino che lo importa direttamente dalla sua terra natìa, prevalentemente dalla valle del Ketama, dove un chilo di prodotto purissimo costa solo 1.000 euro.
L’analisi per nazionalità dei detenuti in Italia rende evidente che la maggioranza assoluta della popolazione carceraria straniera è di religione islamica. Questo contribuisce a formare nuclei di islamici molto coesi che non a caso sono il contesto ambientale in cui si forma quella pericolosa radicalizzazione spesso all’origine del terrorismo.
Una terza questione sul tema carceri, che il prof. Ferraro non ha potuto affrontare data la limitatezza dello spazio di un articolo, è quello della rieducazione dei detenuti attraverso il lavoro. Infatti, come testimoniano gli operatori del settore, in carcere si passa molto, troppo tempo nell’ozio. Si dovrebbero pertanto prevedere più ore d’impegno lavorativo, serio e costante. Non solo però nel “settore sociale” però, ma anche nelle attività connesse al mondo carcerario, affidando ad esempio ai detenuti la cura e la manutenzione degli istituti.
Si potrebbe poi pensare di farli lavorare in attività effettivamente utili alle comunità locali, dal campo ambientale a quello del decoro urbano, dalla collaborazione alla vigilanza sulla prevenzione dei reati alla circolazione stradale. Non ultimo chiedendo loro di dare una mano nella repressione dello spaccio di sostanze stupefacenti, cominciando dagli stessi carceri…