Abstract: L’ostilità per il consumismo maschera una nostalgia per il socialismo. In una società in cui nessuno ha vantaggi lavorando più degli altri… nessuno lavora più degli altri. Sarà una società organizzata per beneficiare i pigri, ma La glorificazione dell’accidia è propria del socialismo e del comunismo, non della civiltà cristiana e della dottrina sociale cattolica.
Tradizione Famiglia Proprietà newsletter 22 Settembre 2023
Quando anticonsumismo fa rima con socialismo
L’indolenza che caratterizza molte delle popolazioni che hanno vissuto 50 o più anni sotto la tirannide comunista è stata accentuata dal fatto che tutti dovevano lavorare più o meno gratuitamente per lo Stato. In compenso, esso chiedeva loro poco lavoro, il quale del resto veniva svolto senza grandi responsabilità, poiché nessuno — ad eccezione dei privilegiati della nomenklatura — aveva il diritto di assicurarsi un maggiore benessere sulla base di un sistematico aumento quantitativo e qualitativo del proprio impegno. Così, vivere diventava vegetare. Ma vegetare, sotto un certo punto di vista, è riposarsi. E il mero risposo, anche se nell’indigenza, per molti individui ed anche per molti popoli è uno stile, certamente fallimentare, di godersi la vita.
S’introdusse così, in quelle popolazioni, l’idea che lavorare molto per produrre molto non valeva la fatica, né la preoccupazione di dover escogitare continuamente nuovi affari né il timore di non riuscirvi. Valeva più la pena lavorare il meno possibile, mangiare il meno possibile, riposare molto, magari bere molto… invece che lavorare molto, consumare abbastanza e migliorare costantemente il proprio tenore di vita.
Che cosa è allora il consumare? La prima idea che viene in mente è quella di mangiare, cosa certamente compresa nel concetto di consumo.
Tuttavia, significa anche avere nella vita altre soddisfazioni — non necessariamente quelle dei cresi miliardari, che hanno la possibilità di consumi molto sofisticati — ma quelle che danno all’uomo un benessere, in proporzione maggiore o minore, rapportato alle appetenze della sua natura. Il concetto di consumo abbraccia pertanto l’insieme delle appetenze proprie della natura umana, ma adeguatamente temperate.
Per esempio, nell’ambito del consumo di una città possono esserci beni che in nessun modo sono indispensabili a saziare la fame né sono in rigore indispensabili per vivere, come sarebbero alcuni teatri in cui si facciano regolarmente spettacoli di grande valore artistico, ai quali soltanto una parte della popolazione si interessa. E altrettanto si può dire di ottimi musei, gallerie d’arte, persino di una eccellente metropolitana.
Quindi, il concetto di consumo include tutto ciò che è indispensabile alla sopravvivenza, ma anche il conveniente, e al suo interno persino quel superfluo che rende la vita gradevole. Se una casalinga entra in un negozio e acquista per un tavolino del suo salotto il piccolo soprammobile di porcellana di cui si è invaghita, avrà fatto un consumo. Naturalmente non lo darà impasto a nessuno, ma si accontenterà soltanto che venga ammirato da tutti. Eppure si tratta di un vero consumo.
Oggi si fa strada una nuova tesi che, se osservata da vicino, appare caratterizzata da una evidente impronta socialista.
Posto che alcuni hanno molto ed altri hanno poco, è necessario che i primi rimangano soltanto con l’indispensabile e lascino il superfluo ai secondi. Quelli che hanno molto acquistano oggetti comodi e lussuosi, naturalmente consumano molto e parallelamente mangiano e bevono molto, godono di ferie costose, magari viaggiano in aereo o elicottero privato, ecc.
Orbene, secondo gli anticonsumisti, l’uomo non deve possedere ciò che non è indispensabile alla vita. Nessuno deve spendere né in elicotteri, né in viaggi, né in soprammobili di porcellana: tutti devono spendere a vantaggio di tutti. Chi è un buon lavoratore, chi è stato da Dio dotato di maggiori capacità, se mette subito a disposizione degli altri il frutto del suo lavoro, va tutto bene. Invece, se risparmia allo scopo di consumare per sé e per i suoi, si rivela un incallito egoista.
Con quale risultato?
In una società in cui nessuno ha vantaggi lavorando più degli altri… nessuno lavora più degli altri! Sarà una società organizzata per beneficiare i pigri, a scapito dei buoni lavoratori che si trovano in ogni ceto. In una tale società scompare l’abbondanza.
Voltaire, uomo pessimo, ateo sprezzante ma di spirito — di cui si valse per fare grandi danni alla civiltà europea in quanto accanito difensore dei principi della Rivoluzione — tuttavia pronunciò una frase arguta e non sprovvista di profondità: “Il superfluo, quella cosa tanto indispensabile”. Esattamente il contrario di quanto predica l’anticonsumismo.
Per stimolare chi lavora di più bisogna dargli il dovuto compenso. Così la società trae beneficio dai più capaci, dai più efficienti, dai più produttivi, in una parola dai migliori. Altrimenti la società deperisce, cade nell’anticonsumismo preconcetto; scivola nella povertà cronica, pigra, sclerotizzata; tende in ultima analisi verso la barbarie.
Secondo una diffusa concezione — che ancora recentemente ha trovato esponenti fra i partecipanti alle Conferenze dell’Onu al Cairo e Copenaghen — il mondo si divide fra nazioni ricche e povere. Le prime consumano: gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, e quelle dell’Europa occidentale. Sull’altra sponda troviamo quelle dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania che non raggiungono il livello economico delle prime.
Allora — secondo gli alfieri dell’anticonsumismo — le nazioni ricche opprimono le nazioni povere, anche con la frode negli affari. Di conseguenza, le nazioni sfruttate, non consumiste, devono sferrare una controffensiva ai danni del mondo consumista, costringendolo ad abbassare il livello dei suoi consumi e ad appiattirsi al mondo povero. Così verrà a ricrearsi una situazione simile a quella in cui la dittatura comunista precipitò l’impero sovietico. Analoga pure a quella che ancora vige a Cuba grazie al tiranno che la guida.
Davanti a questo anticonsumismo retrogrado dobbiamo propugnare un consumismo ragionevole, ponderato, in cui le nazioni ricche, lungi dall’imporre condizioni di vita inaccettabili a quelle più povere, cerchino bensì di stimolarle nella produzione, di compensarle adeguatamente negli scambi di beni e servizi. In tal modo le aiuteranno a raggiungere un tenore di vita dignitoso che faccia nascere in loro l’appetenza a un consumo piacevole e ordinato, il quale le stimolerà a lavorare meglio e di più.
I più ricchi potrebbero dire: “Purché lavoriate, da noi otterrete soldi. Siate uomini produttivi attirando su di voi, con lo sforzo, tutto il bene che desiderate. Solo in caso di incapacità, stendete la mano per chiedere il nostro aiuto gratuitamente. In tale caso, riconosceremo che sarà nostro dovere esaudire quella giusta richiesta, rinunciando ben volentieri al superfluo per garantirvi il necessario.”
Ma basare la comunità mondiale su un sistema in virtù del quale i più agiati lavorino inutilmente, senza vantaggi propri, a beneficio dei pigri, dei vagabondi… è inaccettabile. La glorificazione dell’accidia è propria del socialismo e del comunismo, non della civiltà cristiana e della dottrina sociale cattolica. Tuttavia è lì che porta l’anticonsumismo ozioso e demagogico, inviso alla civiltà, al benessere e al ben vivere di tutti gli uomini.
Fonte: Tradizione, Famiglia, Proprietà, Roma, marzo 1995, N° 1, pag. 10-11.
Titolo originale: Anticonsumismo, glorificazione dell’ozio e dell’indigenza.
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