di Eugenio Pasquinucci
Incontro in una calda sera d’agosto, nella campagna pisana, il dottor Giancarlo Chiellini, un novantenne veterinario in pensione, ancora brillante nell’animo, autentico scrigno di ricordi. Il dottor Chiellini, dal 1967 per alcuni anni si trovò a lavorare in Unione Sovietica, nell’era di Breznev, quando il comunismo dominava e reprimeva ogni anelito di libertà con i carri armati.
In quegli anni in Italia si stava affermando la zootecnia, e gli allevamenti animali di polli, suini e bovini diventavano intensivi, passando da centinaia di capi a migliaia. Anche l’alimentazione del bestiame assurgeva a criteri più scientifici ed il dottor Chiellini era stato assunto da una cooperativa toscana con l’incarico di coordinare la scelta dei nutrienti da selezionare, per favorire una rapida crescita degli animali.
Gli allevamenti raggiunsero presto numeri importanti, diecimila capi di bovini, trecentomila capi per i suini. Quando in Urss si decise che era giunto il momento di dare una svolta alla produzione di carne, finora affidata ai kolchoz, fattorie dalla produzione limitata, il Pcus chiese aiuto al Pci emiliano ed alle coop rosse ad esso collegate.
Fu così che nel 1967 il dottor Chiellini si trovò proiettato nella realtà sovietica a dirigere un gruppo di tecnici italiani, esperti di zootecnia. Fu destinato ad un grande stabilimento nella città di Dzerzinskij, dedicata al fondatore della Ceka, la temibile polizia segreta del partito comunista sovietico.
Giunto sul posto, venne prima messo in una stanza da solo, poi lo vennero a prendere alcuni uomini, lo bendarono e lo portarono al lavoro. Chiellini seppe, molto tempo dopo, che gli allevamenti si trovavano nei pressi di un bosco sotto il quale si celava una base missilistica.
L’attività degli allevamenti cominciò a procedere subito bene, ma per dare da mangiare ad un numero così elevato di bovini e suini, erano anche richieste quantità esagerate di cereali. I russi iniziarono a nutrirsi di carne ma si trovarono ad affrontare la mancanza di pane. Tornato in Italia , alcuni mesi dopo, a Chiellini fu chiesto, durante una sosta nel bar del suo paese, come stessero i russi nel loro paradiso sovietico.
Il veterinario, senza alcuna animosità, disse che in realtà, per i loro bisogni vitali, i russi non stavano tanto male. L’automobile per esempio, non era sentita come da noi un’esigenza indispensabile, perché alle temperature dell’inverno russo, troppo basse, avere una macchina era solo un impedimento. Certamente un italiano non si sarebbe trovato bene perché aveva uno stile di vita troppo ricco di esigenze che il mondo comunista non avrebbe potuto soddisfare.
Tornato in Unione Sovietica per un secondo turno di lavoro, venne di nuovo segregato e bendato ed un uomo del KGB gli chiese perché avesse dichiarato tutte quelle cose che aveva detto quel giorno al bar, e gliele ripeté pari pari. Il dottor Chiellini rispose che non intendeva esprimere alcuna critica politica e l’agente del KGB rimase evidentemente soddisfatto perché lo rimandò all’allevamento ; in realtà il suo lavoro di veterinario era troppo prezioso..
In pratica quel giorno al bar un attivista del Pci aveva ascoltato la sua dichiarazione, che era stata poi riportata ai dirigenti locali che l’avevano trasmessa a quelli nazionali, che l’avevano inoltrata ai dirigenti del Pcus. I legami tra il Partito comunista sovietico e quello italiano erano dunque strettissimi.
Il nostro veterinario era sempre accompagnato da qualcuno, mai lasciato solo. Un giorno un suo accompagnatore lo invitò ad una passeggiata che si protrasse oltre i confini della città , giungendo in una zona di aperta campagna dove non c’erano alberi. Qui la sua guida gli confidò che il popolo soffriva della mancanza della libertà.
“Qui possiamo parlarci, perché si ricordi che dove c’è un albero, dietro c’è una spia. Noi temiamo perfino di parlare con le nostre mogli, la sera a letto. Qualcuno nella stanza di fianco può ascoltarci, anche un bambino e magari travisando ciò che abbiamo detto, denunciarci alla polizia politica. Qui usano spesso i bambini come spie per controllarci. Si può finire in un gulag per poco, molto poco.” ( nei lager sovietici il novanta per cento degli internati erano innocenti, anche se nessuno lo dichiarava.)
La paura di finire in Siberia portava all’esasperazione i russi ; l’unica forma di sabotaggio del sistema, racconta il nostro veterinario, era riversata nella cattiva esecuzione di ogni tipo di lavoro. Ogni operaio era esasperatamente lento nello svolgere i suoi compiti: “se noi impieghiamo un minuto per lavare un bicchiere, laggiù ciò richiedeva un quarto d’ora”.
“Per ogni manufatto che da noi avrebbe richiesto un solo operaio, in Urss ce ne volevano sette: “Se un motore iniziava a non funzionare, lo si lasciava rompere. Un giorno tutti i maiali dell’allevamento divennero viola per il freddo, perché l’impianto di riscaldamento si era guastato. Fortunatamente c’era un tecnico italiano sul posto che riparò l’impianto ed i maiali tornarono rosa.” ( da ciò si spiega come possa essere nato l’incidente di Chernobyl, essendo la manutenzione poco considerata ).
“Una volta mi capitò di ricevere la confidenza di un cuoco, che si dichiarò cristiano. Rischiava molto a dirmelo, solitamente in quei luoghi uno si proclamava cristiano solo al momento della sua morte quando ormai non poteva accadergli più nulla.”
“Tornando in Italia, c’era sempre un taxi a portarmi a Mosca, come mancia regalavo una bottiglia di vodka ; il tassista si fermava, la seppelliva sotto un arbusto ai fianchi della strada, perché era vietatissimo accettare mance.”
Il dottor Chiellini vorrebbe raccontarmi ancora molti episodi della sua vita in URSS ma la sua solerte badante lo reclama, è ora di tornare a casa. Questa volta però le sue confidenze potranno essere diffuse liberamente, senza l’orecchio vigile del Pci pronto a censurarle.