Radici Cristiane n.99 novembre 2014
Due marchi, la parigina «Wasted» e la britannica «Little Bastard», hanno riaperto il dibattito: è ammissibile, in nome della moda, calpestare i sentimenti dei Cattolici, proponendo t-shirt con immagini blasfeme, croci rovesciate o simboli paramassonici? Evidentemente no, eppure accade nel silenzio generale e tra lo sconcerto dei fedeli all’uscita dalla S. messa. E coi grandi atelier la situazione non è migliore… Un fenomeno da non sottovalutare
di Roberto Dal Bosco
hanno destato allarme presso i cattolici parigini le t-shirt esposte in un negozio di fronte alla chiesa di Saint Louis d’Antin. Tra immagini blasfeme, croci rovesciate, simboli para-massonici, alcune stampe presenti sulle magliette – in particolare di due band di streetwear, la parigina «Wasted» e la britannica «Little Bastard» hanno offeso il sentimento dei fedeli. Si tratta di piccoli marchi, che non hanno raggiunto la fama transnazionale, società più o meno improvvisate, costituite da ragazzi più o meno spensierati, che comunque aiutano a capire quali siano le dinamiche di questo vuoto, cher avanza anche nella moda.
UN INQUIETANTE MIX NICHILISTA
La «Wasted» («drogato perso», in gergo americano) ha un negozio in Rue de Turbino a Parigi, dove vende vestiti che – viene dichiarato con fierezza nel loro sito — produce per automazione. L’influenza del milieu dello skateboard — che da genuino fenomeno semisportivo californiano è ora assurto a propulsore dell’indolenza ultranichilista dei «giovani» dai 15 sino ai 40 anni — è evidente ed un intero settore delle vendite vi è dedicato.
I due responsabili del marchio, Johann e Fang — i cognomi sono omessi —, sostengono di essersi ispirati alla musica Anni Novanta come lo shoegaze, genere musicale noto per la carica elegiaca delle sue melodie da chitarre distorte. Eppure, già analizzandone il logo, comprendiamo che è da tutt’altra parte che si va a parare. Il logo «Wasted», infatti, sembra essere derivato frontalmente da quello degli Slayer, un gruppo di musica trashmetal dalle sonorità durissime e dai toni ben lontani dal genere musicale, cui vorrebbero richiamarsi.
Il font è infatti lo stesso: si nota la S runica, le lettere stilizzate come bastoncini e ovviamente la croce anticristica, segno onnipresente nel!’immaginario degli Slayer, che sono stati forse la band più famosa, votata a riferimenti apertissimi al satanismo: il logo prevedeva anche un pentacolo di spade, che compare identico in una stampa di «Wasted».
Sul fenomeno Slayer vanno spese due parole. Il cantante e bassista Toni Araya, padre di tre figli, si dichiara cattolico praticante, dicendo che tutti gli inni a Satana (e a Mengele, alla distruzione del governo, a stragi di ogni tipo), contenuti nei testi, «sono solo parole». La band, che è attiva dagli Anni Ottanta, è tornata alla ribalta della cronaca, perché l’anno scorso è morto misteriosamente il chitarrista Jeff Hanneman, sfigurato da un’orrenda cancrena al braccio, ingeneratasi — hanno detto a livello ufficiale — dal morso di un ragno, mentre si trovava in una vasca idromassaggio.
La loro fama di maledetti ha però storia ben più lunga e presenta questioni ben più mostruose. Nel 1996 i genitori della giovane Elyse Pahler denunziarono gli Slayer, perché, sostenevano, la loro musica aveva influenzato i carnefici della figlia, che fu drogata, accoltellata, strangolata, schiacciata e stuprata come sacrificio al demonio.
Anche le «Bestie di Satana», caso più vicino a noi, figurano come assidui fan della musica degli Slayer: pare passassero le serate ad ascoltare l’album Reign in Blood. Va ricordato come le «Bestie», lungi dall’ essere innocui esempi lombardi di «satanismo acido» tutto musica metal e orpelli superficiali, abbiano a loro carico 4 morti accertate e 18 presunte.
Questo ammasso di orrore è citato dal marchio «Wasted» senza timore, a partire dalla grafica del marchio. Probabilmente qui il satanismo finisce frullato acriticamente e programmaticamente in un mix nichilista: del resto «Be stupid» era l’immorale motto pubblicizzato dalla ben più celebre multinazionale del jeans Diesel qualche anno fa. Il caso del duo di musicisti elettronici francesi Justice è interessante: nei loro video, nelle copertine dei dischi, perfino nei live, fanno uso forsennato di croci luminose, in tutto e per tutto richiamanti quella cristiana. Eppure, di contenuto religioso — o anche solo di una spiegazione per questa scelta — nella loro musica e nelle loro interviste, mai si fa menzione.
NON SONO CASI ISOLATI
Anche l’altro brand che ha destato scandalo a Saint Louis d’Antin, «Little Bastard», non ha ancora avuto successo commerciale, tuttavia presenta già segni di malignità impressionante. Il nome — necrologico già in partenza – deriva dalla Porsche, con cui si uccise James Dean. Il logo questa volta mostra un gruppo di bambini, uno dei quali impugnante una pistola. Nel suo sito l’azienda invita a dare la propria interprelazione: «Nella tua mente puoi pensare che il bambino armato sia emarginato del gruppo o pensare che sia il leader del gruppo».
Ma la cronaca, anche recente, mostra come questi non siano casi isolati: in Italia, si è avuto una decina di anni fa l’exploit di una linea di abbigliamento casual chiamata «A Style», che sin dal logo nascondeva (neanche poi tanto) un carattere subliminale sessual-sodomitico. Al di là di chi produce magliette è dalla grande moda — che ha altri capitali e altro potere mediatico e d’influenza — che bisognerebbe iniziare a guardarsi.
Dolce&Gabbana, assoluto brand del lusso, da anni gioca con immagini di Madonne impresse sugli abiti indossati da ragazze ossute più o meno androgine. Il diumvirato di modisti, che si professa «cattolicissimo», ha fatto negli anni varie, contraddittorie dichiarazioni sugli uteri in affitto. Scandalo ci fu anche qualche anno fa, quando Dolce&Gabbana produssero megacartelloni pubblicitari mimanti di fatto uno stupro di gruppo. Eppure, Dolce&Gabbana sembrano essere coccolati anche da parte del mondo cattolico italiano.
Appare evidente come particolare attenzione ed opera di discernimento la Chiesa oggi debba porre, in generale, verso un mondo della moda, che, dalle t-shirt agli abiti di alta gamma, non si limita a vestire, ma si rende latore di messaggi a dir poco inquietanti