Il rischio che il darwinismo finisca per diventare una nuova metafisica
La presa di posizione di papa Pio XII nei confronti dell’evoluzionismo
di Giuseppe Sermonti
UN LETTORE inglese, il signor Philip Dallas, residente a Pula, in Sardegna, mi chiede se è possibile credere in Dio e in Darwin. Egli esprime l’opinione che la cristianità abbia assorbito Darwin.
Risulta anche a me che tra i cristiani il darwinismo sia largamente diffuso. Invece, tra i darwinisti più convinti, il cristianesimo è (con qualche rara eccezione) in scarsa considerazione.
Un primo immediato commento è che la fede in Dio è di natura diversa da quella in Darwin. Credere in Dio è una situazione metafisica, mentre l’evoluzione per selezione naturale è una ipotesi scientifica. Diffidiamo però dei primi immediati commenti, che sono spesso ovvietà. Il darwinismo ha una fondamentale componente metafisica e, nonostante le riluttanze di Darwin, si pose subito sul piano della religione, offrendoci la scimmia al posto di Adamo.
Darwin inverte il percorso della creazione. Mentre i testi sacri pongono all’origine perfezioni angeliche o adamiche, soggette a cadute e a redenzioni, l’evoluzionismo pone all’origine il fetido brodo primordiale, poi l’approssimativo, il bestiale, il mostruoso, e solo alla fine, per gradi impercettibili, l’animale uomo. Il demiurgo ha fatto al principio un cattivo lavoro che la ragione selettiva ha lentamente aggiustato. La metafisica darwiniana è gnostica.
La Chiesa ha preso una posizione ufficiale, con Pio XII, nei confronti dell’evoluzionismo: ci si può anche lasciar convincere, purché siano rispettati i canoni della logica. In effetti la contrapposizione tra Dio e Darwin non va sentita in modo manicheo, come fosse tra Bene e Male. Essa riflette, due modi dell’uomo di sentirsi al mondo: quello di chi si sente immerso tra grandezze inarrivabili, e quello per cui vere grandezze non ci sono.
Darwin è figlio dell’arroganza di Prometeo contro Zeus, e ogni uomo moderno tempera la “hybris” di Prometeo col timore di Dio. Ma quel che si è verificato nell’ultimo secolo à la caricatura dell’ impresa di Prometeo, il titano moderno ha dato lo scacco a Zeus, ha consegnato all’uomo il fuoco uranico e la tecnologia, ma non si è poi chinato al millenario dolore sulla roccia caucásica. E inavvertitamente, ma in tempi abbastanza brevi, il suo mondo è scivolato nelle mani dell’usura e della criminalità organizzata, con il compiacimento di una “intellighenzia” salottiera, impegnata a realizzare il degrado dei buoni sentimenti.
Tutte le grandezze cui il mondo si era riferito sono state abbattute senza riguardo, con la convinzione che dai ruderi sarebbe sorta una città nuova in cui ogni cosa sarebbe stata scientifica e razionale.
Ma dai ruderi non è nato nulla di grande, perché, come insegnava Heidegger, tutto ciò che è grande nasce grande. Cataste di volgarità non creano un verso poetico. Ché poi tutta la questione di Darwin e Dio sta in questi termini: cose grandi nascono grado per grado, un poco per volta (Darwin), o sono in principio e a noi compete di comprenderle e riproporle? La vera alternativa è se consentire alla commozione, alla partecipazione e all’ elevazione, o prudentemente fidarsi solo dei propri registri contabili. Il titano, legittimato il suo potere, è diventato un dio piccolo piccolo.