«Le Insorgenze in Italia»
di Dario Antiseri
E‘ il buon senso a istruirci sul fatto che di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno. E non solo il buon senso, cioè l’esperienza di generazione in generazione di uomini, ma anche filosofi come Vico, Hume, Ferguson, Kant, Hegel — a suo modo —, storici come Paolo Sarpi e ai nostri giorni Edward Carr, sociologi come Weber e Merton, economisti come Smith, romanzieri come Tolstoj sono stati ben consapevoli del fatto che le azioni umane intenzionali non sempre, anzi raramente, conducono agli effetti programmati e voluti. Essendo le conseguenze di un’azione infinita, l’emergenza di effetti non intenzionali è la norma.
Facendo leva su siffatta consapevolezza, Carl Menger (1840-1921) — il padre della Scuola austriaca di economia — ha dimostrato come la maggior parte delle più importanti istituzioni (il linguaggio, la moneta, molte città, il mercato, eccetera) siano sorte esattamente senza che nessuno li avesse programmate: sono l’esito non programmato, inintenzionale, di azioni umane intese ad altro scopo.
Su queste basi Friedrich A. von Hayek ha brillantemente combattuto il «costruttivismo», cioè la teoria secondo la quale «tutte le istituzioni», «tutti gli eventi sociali» e i loro cambiamenti sono esiti, di piani intenzionali, voluti e realizzati. Esattamente la teoria delle conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionali mina alla radice il «costruttivismo», giacché non sempre, non sempre alla maniera voluta riesce un piano studiato, e non è raro il caso che l’esito di un’azione sia proprio il contrario di quello che si voleva con essa conseguire («I pifferi di montagna andarono per suonare, e furono suonati»).
Alla caccia di quegli pseudo-razionalisti che sono i costrutti visti, Hayek individua nel razionalismo cartesiano la fonte da cui — discendono —tutte le forme moderne del costruttivismo. Da quel momento, egli dice, «prevalse quell’irragionevole Età della ragione» che fu dominata interamente dallo spirito cartesiano. Cartesiani, illuministi, positivisti sono tutti costruttivisti: non usano la ragione, ne abusano.
Ne abusano perché la pensano onnisciente e onnipotente. Il costruttivismo — prosegue Hayek — ha infettato l’intero socialismo. E vasti settori della psichiatria e della psicologia.
Le precedenti considerazioni valgano a giustificazione dell’importanza del recente volume collettivo su Le insorgenze antifrancesi in Italia nel triennio giacobino (1796-1799), pubblicato dall’editrice Apes di Roma (35.000 lire). Si tratta dei fenomeni di ribellione antigiacobina scoppiate a Bergamo, Brescia, Parma e Piacenza, in Garfagnana, nelle Marche, a Viterbo, nel Lazio meridionale, a Napoli, a Potenza e Matera, nella Puglia.
Il capitolo introduttivo («Natura delle cose, senso comune e restaurazione») scritto da Teresa Serra, inizia con un brano di Lamennais in cui la Rivoluzione francese è vista come quell’evento che dice all’uomo: «I tuoi lumi non sono che tenebre, tutto ciò che tu hai creduto, tutto ciò che tu hai pensato fino ad oggi non è che errore; è tempo di rendere libera la tua intelligenza prigioniera: osa rientrare nei tuoi diritti e creati delle verità secondo i tuoi desideri: il gotico edificio delle superstizioni politiche e religiose deve crollare; tutto deve cambiare, e, al posto di ciò che esisteva prima, nuovi cieli e una nuova terra, creati improvvisamente dalla tua parola, attestano per sempre la potenza della ragione umana rigenerata».
La Rivoluzione francese ha le sue radici nel costruttivismo illuministico: la ragione è la dea Ragione. È il costruttivismo illuministico sta alla base di ogni impresa utopistica e totalitaria. I rivoluzionari — prosegue Lamennais — erano persuasi che «le leggi e le istituzioni siano cose arbitrarie». E questo ha fatto sì — egli dice ancora — «che, dalla caduta della monarchia, noi siamo stati i martiri delle nostre venti costituzioni e dei nostri centomila legislatori». Qui sta esattamente — commenta Teresa Serra — l’anima distruttrice della Rivoluzione francese, nella «non kantiana presunzione che le leggi, e le istituzioni siano cose arbitrarie provenienti dalla volontà degli uomini, che può distruggere domani quello che ha creato oggi» (…).
Ma qui sta ancora una feconda prospettiva per interpretare le insorgenze antifrancesi in Italia nel triennio giacobino: 1796-1799. Queste non sono frutto essenziale della cieca reazione, di foschi e inconfessabili interessi, di negazione della ragione. «Il fulcro del sistema dei “controrivoluzionari” — scrive la Serra — è il concetto di ordine naturale. Essi oppongono al fatto rivoluzionario il concetto di rivoluzione spontanea conforme alle leggi naturali, oppongono allo sforzo dell’uomo “di modellare la politica sugli imperativi della ragione universale” l’opera ampia del tempo. Cioè le leggi e la costituzione dipendono dalla memoria storica che conserva, pur nel lento modificarsi, ciò che per secoli si è costituito (…)».
I “controrivoluzionari” — si pensi a de Bonald e a de Maistre — oppongono alle astrattezze costruttivistiche il correttivo del tempo. E la loro polemica non è «polemica chiusa all’avvenire ma anzi ritiene che solo sulla base di una continuità storica ci si possa aprire al domani». Contro il “fanatismo attivo”, contro l’utopismo vestito con gli abiti di una ragione (pseudo-onnipotente), «il controrivoluzionario si erge a difesa della determinazione, delle istituzioni durature (…)».
A difesa cioè di un’azione politica veramente razionale.