Divorzi facili e rapidissimi, unioni di fatto al posto dei matrimoni: così la rivoluzione russa combatté il nucleo primario della società. Con risultati disastrosi, tanto da dover ricorrere ai ripari
di Leonardo Servadio
Negli anni Venti, in Unione Sovietica si dovette verificare un’ondata impressionante di violenza minorile: lo testimonia il fatto che i legislatori decisero di ridurre da 16 a 14 anni l’età per l’impunibilità. Ma il problema non si risolse, e nell’aprile del 1935 una nuova legge stabilì che già a 12 anni di età un ragazzo (poco più che un bambino!), potesse subire la pena di morte mediante fucilazione.Dovevano essere tempi ben duri per i minori: qualcosa doveva spingerli per le strade, sbandati, privi di guida, preda degli istinti e dell’arbitrio.Che cosa?
Oltre al precedente ordinamento monarchico, tra le vittime della rivoluzione del ’17 era caduto anche qualcosa che sta al di là e al di sopra dei sistemi politici e degli stati: la famiglia.Il nucleo basilare della società, il suo fondamento primo, era stato tolto di mezzo, come a voler trascinare nel fuoco turbinoso della nuova era ogni aspetto della vita civile esistente. Il 19 dicembre 1917 fu emanata la prima disposizione sul divorzio, sanciva che bastasse la richiesta di uno solo dei coniugi per ottenerlo: un’espressione di liberalismo estremo. Il divorzio esisteva già da decenni in Russia – il governo rivoluzionario le rese soltanto estremamente semplice.
Il giorno seguente fu emanato un decreto riguardo alla sostituzione del matrimonio religioso con quello civile. In breve tempo furono emanate altre disposizioni che ridussero il matrimonio a semplice atto burocratico: «Con queste norme che tolgono valore al matrimonio religioso e prevedono una procedura assai semplice per contrarre quello civile – spiega l’avvocato Goffredo Grassani, presidente della Confederazione Italiana Consultori Familiari – il legislatore sovietico ottenne lo scopo di laicizzare questo istituto e di sostituire al matrimonio sacramento un semplice contratto pubblicamente registrato».
Successive norme del ’27 «equipararono il matrimonio di diritto a quello di fatto». Così che l’unione tra due persone fu considerata valida anche indipendentemente dalla sua registrazione presso l’ufficio di stato civile. Per provare l’esistenza del matrimonio bastava affermare l’esistenza di condizioni come «coabitazione coniugale», «economia in comune», «rapporti coniugali», «mutuo sostegno materiale».
Non ricorda nulla tutto ciò al giorno d’oggi, mentre ferve il dibattito su “pacs” e “dico”? In pratica, nella giovane Urss al matrimonio fu sostituito proprio quel genere di unione. E il risultato fu devastante.
Il tasso di natalità dal 1929 al 1936 scese drasticamente. Si impennò il numero degli aborti; nel periodo ’34-’35 nei villaggi si registrarono circa 243 mila nascite e circa 324 mila aborti, mentre nelle città queste cifre furono rispettivamente 574 mila e 375 mila circa. A Mosca, epicentro del regime, le cifre nel ’35 furono impressionanti: 70 mila nascite, 155 mila aborti. E, fatto ancor più drammaticamente significativo, la paternità a Mosca quell’anno fu dichiarata solo dal 7,4 per cento dei genitori, mentre obiettò la paternità il 25,4 per cento e non rispose il 62,2 per cento. Quell’anno a Mosca i divorzi furono oltre 2 mila, pari a circa la metà dei matrimoni (i dati sono sempre riferiti da Grassani, da fonti sovietiche come le Izvestia e la Pravda).
In pratica, le leggi anti-famiglia avevano fatto il loro corso e imposto una cultura nuova: l’arbitrio si sostituiva al senso di responsabilità. È su questo humus sociale che prese vigore la piaga della delinquenza minorile diffusa. Tale fu l’entità del disastro sociale che il legislatore, diciotto anni dopo aver cominciato ad agire in senso avverso alla famiglia, corse ai ripari, fece retromarcia e cominciò a istituire leggi per recuperarne il valore e la funzione.
Nel settembre ’35 abolì il matrimonio di fatto e rese più difficoltoso il divorzio, con provvedimenti significativi: oltre a imporre la richiesta mutua dei coniugi, si stabiliva che dell’avvenuto divorzio si facesse menzione sul passaporto, come un marchio permanente; furono introdotte alte tasse: 300 rubli (il salario medio era 2500 rubli l’anno).L’apparato propagandistico ufficiale si mise in moto per promuovere la famiglia.
Possiamo trarne qualche indicazione per l’oggi?«Quando si fanno ricerche sociologiche si esaminano campioni di qualche centinaio o migliaio di persone e i risultati si estrapolano sull’intera società – argomenta ancora Grassani – In Urss abbiamo invece un caso provato nel corso degli anni sulla totalità della popolazione». Quindi sorge la certezza: questo è un esempio ben più significativo di quello degli altri paesi europei che in questi ultimi anni hanno approvato regolamenti a favore della “coppie di fatto”, ma che ancora non hanno assaggiato fino in fondo le conseguenze di questa loro scelta.