La Croce quotidiano 12 febbraio 2015
Sembra che nessuno si stanchi mai di riproporre la trita questione della compatibilità tra scienza e fede. A ben vedere, è la storia della scienza ad assomigliare a un martirologio. E in qualche modo lo è
Francesco Agnoli
Su un quotidiano che si intitola La Croce, e che si occupa spesso e volentieri di bioetica, può essere utile affrontare, per quanto brevemente, uno dei luoghi comuni di cui si serve sovente la cosiddetta “bioetica laica” (che sarebbe più corretto definire “bioetica materialista”): quello che vuole il pensiero religioso in netto contrasto con la scienza. È in nome di questo pregiudizio che molti scientisti ribattono ai detrattori della clonazione, della manipolazione genetica, delle pratiche di fecondazione artificiale, dell’utero in affitto o di quello artificiale… senza affrontare il quid della questione, ma rifugiandosi nella scappatoia dell’ideologia: “voi, che siete contro la scienza!”.
Si vorrebbe, così, risolvere la questione antropologica in una battuta semplificatoria, che da una parte trascura quanto certi scienziati, dimentichi dell’esistenza di un Bene morale oggettivo, possano agire contro l’uomo (come fecero, ad esempio, i due premi Nobel per la Fisica tedeschi che collaborarono assiduamente con Hitler e il nazismo, o i costruttori della bomba atomica), dall’altra il fatto che la storia della scienza e quella della fede cristiana sono indissolubilmente legate.
Lo si può intuire al volo, solo ricordando il fatto più evidente: la scienza sperimentale moderna nasce in Europa, e, soprattutto, in Italia, cioè proprio laddove si è affermata la cultura cristiana e dove più forte è l’influenza ecclesiastica; proprio laddove la fiducia greca e cristiana nel Logos di Dio e nella ragione umana, a immagine e somiglianza di quella divina, ha generato le prime università della storia.
Dove nasce l’anatomia moderna? Prima a Bologna, con il devoto Mondino de Liuzzi, nel 1316; poi a Padova, grazie all’opera di vari anatomisti italiani e al contributo del fiammingo Vesalius. Mentre in Italia si dissezionano i cadaveri, in gran parte del mondo, e persino d’Europa, questo non avviene. È la Chiesa a farsi garante della possibilità di indagare il corpo umano, persino ordinando autopsie per far fronte alla peste, e nello stesso tempo a vietare gli eccessi (ad esempio la sottrazione senza permesso di cadaveri dai cimiteri, o la dissezione di uomini vivi, per permettere esperimenti più “veritieri”).
I primi studiosi di ottica e di prospettiva? I francescani medievali dell’università di Oxford, laddove i principi della fisica dualista aristotelica vengono piano piano distrutti, preparando quel cambiamento di paradigma, come ha ben illustrato Thomas Kuhn, che è necessario preludio alla cosmologia di Copernico.
Quanto alla moderna astronomia l’età nuova inizia, appunto, con Niccolò Copernico, un ecclesiastico che studia diritto canonico a Ferrara, e che lavora a più riprese presso la cancelleria papale e la cattedrale della sua città. Dopo di lui il teologo Giovanni Keplero – la cui intensa fede trinitaria compare ovunque nei suoi libri scientifici, dall’Astronomia nova all’Harmonice mundi, intervallati qua e là da riflessioni teologiche, bibliche, e addirittura da preghiere – e una lunga serie di sacerdoti, da don Giuseppe Piazzi, scopritore del primo asteroide, nel 1801, a padre Angelo Secchi (definito da Margherita Hack, nel suo Vi racconto l’astronomia, “l’iniziatore dell’astrofisica”), ai fondatori dei primi osservatori astronomici professionali (i padri Beccaria, Boscovich e Piazzi, a fine Settecento in Italia), sino, per farla breve, a Georges Edouard Lemaître, il sacerdote belga che per primo, nel 1927 e nel 1931, propose l’espansione delle galassie e il Big bang.
Se dall’astronomia passiamo alla geologia, il padre di questa scienza è Niccolò Stenone (1638-1686), un danese protestante, che lavora in Italia nel XVII secolo, e che dopo aver contribuito a scoperte eccezionali nei campi più svariati, compresa l’anatomia, diviene sacerdote, vescovo e beato. Stenone è considerato anche un pioniere della paleontologia e della cristallografia (in quanto scopritore della I legge della cristallografia).
Al suo nome, si affianca quello del sacerdote francese Renè Just Haüy (1743-1822), amico di Lavoisier, che proseguendo sulla strada dell’illustre danese, fonda la Cristallografia (e formula la II legge) e la Mineralogia moderne.
Quanto alla biologia, è universalmente riconosciuto a padre Lazzaro Spallanzani, sacerdote nativo di Scandiano (1729-1799), il titolo di “principe dei biologi”, di “Galilei della biologia”, per aver dato, per primo, contributi nei campi più svariati di questa disciplina (è considerato anche uno dei padri della vulcanologia).
Il fondatore della genetica? Il monaco agostiniano, Gregor Mendel (1822-1884); mentre il laico e “servo di Dio” Jerome Lejeune è, nel Novecento, il padre della moderna ci-togenetica. Quanto alla meteorologia e alla sismologia, l’elenco dei contributi da parte non solo di credenti, ma addirittura di ecclesiastici, diventa incredibile: padre Benedetto Castelli, allievo e amico intimo di Galilei, riconosciuto come il padre dell’idraulica mo-derna, è l’inventore del pluviometro, mentre ad altri ecclesiastici sono attribuiti il primo igrometro ed il primo anemometro; padre Andrea Bina, monaco benedettino, è, nel 1751, l’inventore del primo sismografo a pendolo; padre Timoteo Bertelli (1826-1905), barnabita, è il padre della microsismologia; don Giusep-pe Mercalli (1850-1914) è il padre della prima scala sismica, che da lui prende il nome…
Se ci spostiamo nel campo dell’elettricità, troviamo i contributi pionieristici di gesuiti come Niccolò Cabeo, e la figura di padre Giovan Battista Beccaria (1716-1781), riconosciuto padre dell’elettricismo italiano. Dopo di loro, Alessandro Volta (1745-1827), formatosi alla scuola dei gesuiti, e sincero credente; Luigi Galvani (1737-1798), terziario francescano, che perse la cattedra universitaria per aver rifiutato di giurare fedeltà alla repubblica giacobina cisalpina; Michael Faraday (1791-1867), membro devoto di una chiesa cristiana protestante; il sacerdote Giuseppe Zamboni, inventore della pila a secco; il francese André-Marie Ampère (1775-1836), amico e collaboratore del beato Federico Ozanam, l’amico dei poveri di Parigi… sino a J.C. Maxwell (1831-1879), padre dell’e-lettromagnetismo, e uomo di profondissima fede cristiana.
Pur dimenticando infiniti altri contributi di personalità della Chiesa – e tralasciando di parlare della profonda fede in Dio di laici come I. Newton, L. Pasteur, lord Kelvin ecc.-, ricordo soltanto alcune scoperte più tecnologiche attribuibili ad ecclesiastici italiani: padre Eugenio Barsanti, barnabita, è l’inventore (scippato) del motore a scoppio; l’abate senese Giovanni Caselli, è il padre del pantelegrafo (antenato del fax), mentre il gesuita Roberto Busa è considerato un pioniere dell’informatica linguistica….
Per i personaggi citati, come per molti altri, si può tranquillamente dire che avrebbero condiviso una frase cara a scienziati del calibro di Robert Boyle e Louis Pasteur, secondo i quali “poca scienza allontana da Dio, ma molta scienza riconduce a Lui”; come pure avrebbero sottoscritto l’affermazione del Premio Nobel per la fisica Max Planck (1858-1947) secondo cui Dio per la religione “sta all’inizio”, per la scienza “al termine di ogni pensiero”: «Per l’una Egli significa il fondamento, per l’altra la corona dell’edificio di ogni considerazione sulla concezione del mondo».