Tempi 2 agosto 2000
Mentre in Europa gli ecologisti fanno gli indiani sugli Ogm, grazie all’internazionale ambientalista i contadini delle regioni bagnate dal Gange rischiano di finire tra le specie a rischio di estinzione. Come le tigri (ma senza riserve). Un leader dei contadini indiani passa alla graticola la premiata nobiltà occidentale. “Altro che difesa dell’ambiente, la specialità dei Verdi è il business sulle spalle del popolo” Oggi l’ambientalismo ha un’immagine inattaccabile e gli ambientalisti fanno notizia. In Germania il Partito Verde è parte dell’alleanza di governo. Gli ambientalisti, insieme agli attivisti labour e a diversi luddisti, hanno fatto titoli da prima pagina durante il meeting del Wto a Seattle. Anche in India sono circondati da grande prestigio. Sembra che ricevano continuamente premi Nobel e altri riconoscimenti internazionali.
Sharad Josh (*)
La natura, “pura” da morire Del resto come si può non essere d’accordo con persone desiderose che la natura venga preservata nella sua purezza originaria, che venga rispettata la biodiversità, che siano protette quelle specie animali in pericolo di estinzione? I contadini indiani invece, probabilmente non hanno nemmeno mai sentito la parola “ambientalismo” e ne ignorano il significato. Quelli che vivono vicino alle foreste protette però, trovano spesso il loro bestiame ucciso da quegli animali selvatici che vengono tutelati dalle leggi.
Gli ambientalisti raccontano loro che non ci si può fare niente, che la protezione delle specie è di vitale importanza e che il loro bestiame “è morto per una nobile causa”. Quelli ascoltano, ma si pongono anche molte domande. Alcuni, dopo aver sopportato l’ennesima perdita di bestie, si disperano a tal punto da iniettare veleno nelle carcasse dei capi uccisi per provocare la morte dei predatori. La polizia però interviene duramente contro di loro. E i contadini si chiedono come può la vita di un animale essere più preziosa di quella dei propri figli.
I cervi sono animali tra i più eleganti e graziosi. A nessuno farebbe piacere che sparissero dalla faccia della terra. Ma certo appaiono meno graziosi quando balzano sulle piantine appena spuntate nei campi, causando la rovina degli agricoltori. Nessun agricoltore può colpire i cervi – viene ordinato – non importa se i cervi colpiscono gli agricoltori.
Pesticidi? Sì, ma al contadino… Allo stesso modo i contadini si ritrovano spesso col raccolto devastato dai parassiti, ma non possono utilizzare i pesticidi per respingerli e per prevenirne gli attacchi perché si ritiene che non facciano bene alla natura. E di nuovo molti non riescono a comprendere la ragione per cui, in questo mondo crudele, la vitadegli insetti ha più valore di quella di un agricoltore e della sua famiglia (a cui spesso viene la tentazione di utilizzare per sé i pesticidi). I coltivatori si accorgono che i loro raccolti non spuntano nemmeno i prezzi minimi di costo, perché i mercati sono invasi dai prodotti più economici e di qualità migliore che arrivano dall’estero.E’ una concorrenza che non si riesce a vincere perché all’estero vengono utilizzati semi migliori e tecnologie che gli indiani non possiedono. Dicono però che questo non faccia bene alla natura.
Gli stessi contadini rischiano spesso di perdere i raccolti per la siccità e le loro donne devono procurarsi acqua potabile percorrendo lunghe distanze. Poi li informano che l’acqua potrebbe scorrere anche nei loro campi se solo venisse costruito uno sbarramento o una diga a monte, ma che questo non si può fare, perché il contenimento delle acque potrebbe provocare terribili disastri e “guasterebbe l’equilibrio naturale”. E quando un contadino riesce finalmente ad avere accesso all’acqua per l’irrigazione, si trova improvvisamente privato dell’energia elettrica e non ha modo di far funzionare le pompe per utilizzarla.
Allora cambia i suoi programmi e irriga le piante quanto l’energia è disponibile, ovvero durante la notte, nelle ore più fredde, e intanto maledice il governo che non produce elettricità sufficiente per i bisogni del paese. Poi gli ricordano che produrre più energia elettrica “sarebbe dannoso per la natura”. E ancora una volta il poveretto ascolta, e continua a porsi domande. Ecologisti al caviale Si domanda per esempio come mai questi signori che si battono contro le dighe, si oppongono ai progetti energetici e ai nuovi semi, lottano per la tutela delle belve feroci a spese dei contadini, sono tutti cittadini borghesi che vivono in ville o appartamenti di lusso.
I contadini condividono naturalmente il concetto di tutela della terra dallo sfruttamento senza regole e dalla distruzione dell’industrializzazione moderna. Quelli indiani poi, non si possono certo accusare di consumismo. Riescono a malapena a strappare un pasto per la propria famiglia.
E rimangono sconcertati quando vedono persone di lingua inglese, vestite elegantemente, che arrivano a bordo di aeroplani dopo un viaggio di migliaia di chilometri, consumano benzina percorrendo enormi distanze su strada, passano tutta la giornata parlando al cellulare, e poi sostengono uno stile di vita semplice e un nobile pensiero: vogliono salvare il pianeta e tutelare la natura. E’ affare dei contadini coltivare la terra e fornire cibo, fibre e alimento alla popolazione. Non avrebbero nessun interesse a guastare il sole, la pioggia e la terra. In effetti, sono degli ambientalisti nati. Peccato che, paradossalmente, spesso vengano messi sul fronte opposto. Del resto non sono abbastanza istruiti e quindi non riescono a esprimere in parole corrette quello che pensano. Si augurano che prima o poi qualche ambientalista consigli ciò che è bene per la natura invece di compilare lunghe liste di divieti per tutto ciò che le è nocivo.
Chiacchiere senza ragione e angurie Dopo un’esperienza di generazioni, i contadini hanno imparato che niente è assolutamente positivo o negativo in sé. L’uomo fatalmente commette degli errori e si corregge quando capisce l’irragionevolezza del suo comportamento. Non apprezzano che gli “amanti della natura” facciano tutte quelle chiacchiere su ciò che il governo dovrebbe o non dovrebbe fare per proteggere la natura.
Nel corso dei secoli, hanno infatti maturato la convinzione che il governo è inevitabilmente portato a far danni. Del resto, in un passato non troppo lontano, si ricordano di aver visto alcuni di questi “verdi” sventolare bandiere rosse e dire che il governo avrebbe “debellato la povertà”. Oggi dicono invece che “proteggerà la natura”. E allora uno si chiede se il vero interesse che guida questa gente non sia piuttosto il potere che la povertà o il rispetto della natura. E se gli ambientalisti, “Verdi”, non somiglino per caso alle angurie: verdi fuori, rossi dentro.
Gli agricoltori hanno difficoltà a comprendere le chiacchiere sulla salvaguardia degli animali e delle piante. Ogni giorno infatti hanno sotto i propri occhi la natura che essa stessa elimina spietatamente centinaia di specie e altrettante ne sviluppa di nuove. Sanno che in natura la diversità è il frutto di una rinascita e non di azioni di protezione. In verità, i contadini sono assolutamente a favore della biodiversità e, lasciati a se stessi, non cercherebbero mai i semi prodotti dalle multinazionali. Si accorgono però che gli stessi che parlano dei “meriti superiori” delle varietà di prodotti indigene, poi vogliono a tavola i pomodori rossi, tondi e succosi e non quelli meno belli da vedere delle specie native. Ma, ad ogni modo, il mestiere del contadino non è certo quello di proteggere le specie, questo è piuttosto il compito delle banche del plasma germinale. Il contadino ha perciò forti dubbi che i “Verdi” non siano tanto interessati alla protezione delle specie, quanto al business della loro protezione.
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(*) presidente di Shetkari Sanghatana, uno dei sindacati indiani dei contadini. Tratto da “I verdi e i contadini”, articolo pubblicato sull’indiano Financial Daily, il 5 luglio 2000 di Sharad Joshi