Quei tedeschi che non volevano Hitler

rosa biancaIl Timone n.76 settembre-ottobre 2008

Non tutta la Germania parteggiò per Hitler. Fra chi si schierò contro ci furono ufficiali dell’esercito che organizzarono un attentato per eliminare il tiranno. Che però fallì e provocò una sanguinosa repressione

di Luciano Garibaldi

Molti ricordano il film, trasmesso anche dalla nostra televisione, La rosa bianca, che il regista tedesco Mare Rothemund volle dedicare alla vicenda dei fratelli Hans e Sophie Scholl, studenti dell’Università di Monaco di Baviera, decapitati perché avevano osato distribuire volantini di dura critica a Hitler. La commovente vicenda della Weisse Rose (la rosa bianca), il movimento cui i fratelli Scholl avevano dato vita, va inquadrata nell’ambito della resistenza cattolica al nazionalsocialismo.

Come morirono i fratelli Scholl? Nel febbraio 1943, il Gauleiter della Baviera, Paul Gieser, al quale erano state consegnate alcune lettere della Weisse Rose duplicate con il ciclostile e inviate a migliaia di tedeschi con la denuncia dell’empietà e dei crimini del regime, a cominciare dalla persecuzione antiebraica, decise di affrontare i «ribelli» nel loro «covo». Tenne un discorso all’Università, un discorso volutamente volgare, contenente l’invito agli studenti ad andare a combattere «anziché perdere il loro tempo sui libri», e alle studentesse «a rendersi utili, magari regalando un figlio all’anno al Terzo Reich».

«Non dubito minimamente», proseguì, «che le più carine troveranno un uomo con cui accoppiarsi. Per le racchie, offro la mia scorta di SS». Era davvero troppo. Il Gauleiter fu coperto di fischi e le SS scaraventate a calci fuori dall’aula magna. Quel pomeriggio, diversi cortei di studenti percorsero le vie del centro, aggredendo le SS e la polizia. In serata due divisioni corazzate ristabilirono l’ordine a raffiche di mitraglia. I fratelli Scholl (lui venticinquenne, studente di medicina, lei ventunenne, iscritta a biologia), riconosciuti quali capi dell’insurrezione, furono arrestati e decapitati con una mannaia.

Li seguì sulla forca l’ispiratore del gruppo, il professor Kurt Huber (1893-1943), titolare di filosofia teoretica e profondamente cattolico. Nella sua ultima lettera scrisse: «La morte è la bella copia della mia vita». Da oltre sessant’anni i tedeschi sono dipinti come un gregge che seguì ineluttabilmente il suo Fuhrer, chiudendo gli occhi. Non fu così. Il partito nazista conquistò il potere, nelle elezioni del marzo 1933, con il 44% dei voti.

Se confrontiamo questo dato con quello delle elezioni politiche italiane del 1924, notiamo come la maggioranza ottenuta dal fascismo sia stata ben più schiacciante. Si può dunque affermare che gli italiani vollero il fascismo in una misura assai maggiore di quanto non sia avvenuto per i tedeschi nei confronti del nazismo. Che restò al potere soprattutto grazie al terrore, com’è tipico di una forza politica collettivistica e di sinistra, quale esso fu, secondo la famosa analisi di Hannah Arendt (1906-1975) in particolare nell’opera Le radici del totalitarismo (1951).

La resistenza cattolica…

Dopo l’istituzione della dittatura (23 marzo 1933, con l’’«Ermaechti-gungsgesetz», la legge sui pieni poteri), nonostante il regime di terrore e di violenza, si sviluppò, nei vari strati della popolazione, una opposizione che andava dal non allineamento fino al segreto aiuto prestato agli ebrei perseguitati; dalla critica fino al complotto attivo. Schierata in primo piano contro il regime troviamo la Chiesa cattolica. L’enciclica Mit brennender Sorge di papa Pio XI, del 18 marzo 1937, suonò chiara ed inequivocabile condanna del nazismo, bollato come ideologia pagana e razzista.

Subito dopo, per ordine di Hitler, le associazioni cattoliche furono sciolte, i direttori delle loro riviste arrestati e sovente condannati a morte, decine di ecclesiastici sottoposti a persecuzioni grottesche (processi-farsa per frodi valutarie o atti di immoralità furono imbastiti contro vescovi e semplici parroci), conventi e beni ecclesiastici confiscati, secondo un canovaccio direttamente mutuato dai giacobini della Rivoluzione francese e fatto proprio anche dai regimi comunisti. Ciononostante, il vescovo di Munster, conte Clemens August von Galen (1878-1946), trovò il coraggio, nel 1941, di pronunciare un’omelia «contro le persecuzioni razziali, la folle eutanasia, gli arresti indiscriminati, la violazione dei più elementari diritti umani».

Intanto, gesuiti celebri come padre Alfred Delp e padre Augustin Roesch, provinciale della Compagnia di Gesù in Baviera, divennero le guide spirituali del Circolo di Kreisau, da dove uscirà il colonnello Klaus von Stauffenberg, l’attentatore del 20 luglio 1944.

… e quella protestante

Diversa la vicenda della Comunità protestante, una parte della quale si era schierata fin dall’inizio con il nazismo. Nel luglio 1934 si arrivò all’inevitabile scissione. Si formò la Chiesa nazionale dei Deutsche Christen, che elesse il «Reichsbischof», il «vescovo del Reich», nella persona del pastore Ludwig Mueller. I pastori di stirpe non ariana furono cacciati. L’«Arierparagraph» proclamò la guerra incondizionata contro gli ebrei e la «santa alleanza tra la Croce uncinata e la Croce di Cristo».

«Noi siamo – scrisse il «vescovo del Reich» – le SS di Gesù nella lotta per la distruzione dei mali fisici, sociali e spirituali della nazione». I dissidenti e gli espulsi reagirono a quelle sciocchezze con un Sinodo tenuto a Barmen. Fu costituita la Bekennende Kirche, i cui capi spirituali divennero il teologo Hans Barth e i pastori Martin Niemoeller, Hans Asmussen e Dietrich Bonhoeffer. Pagheranno tutti con la vita, assieme ai preti e ai vescovi cattolici.

Il complotto per uccidere Hitler

Nessun esponente dell’estrema sinistra entrò nell’azione del 20 luglio 1944 per eliminare Hitler, ma non per una scelta determinata. Il colonnello Claus Von Stauffenberg, vero capo della congiura e poi autore materiale dell’attentato, dopo qualche esitazione, aveva infatti acconsentito a che due dei suoi più stretti collaboratori, il sindacalista Julius Leber e il socialista Adolf Reichwein, prendessero contatto con Franz Jacob e Anton Saefkov, superstiti della Rote Kapelle (il gruppo sgominato due anni prima) e capi del movimento comunista clandestino. L’incontro avvenne a Berlino il 23 giugno 1944.

Disgraziatamente, i comunisti avevano portato con loro un «uomo di fiducia», un certo Ranbow, il quale era in realtà una spia della Gestapo. Due giorni dopo, i partecipanti furono tutti arrestati, insieme con centinaia di comunisti. Leber e Reichwein, e tutti i comunisti arrestati, non parlarono nemmeno sotto tortura, e la congiura ebbe così ancora qualche settimana di respiro.

Accanto ai militari della vecchia nobiltà prussiana, ma anche eroi di guerra come il feldmaresciallo Erwin Rommel (1891-1944), agirono per farla finita col nazismo gli esponenti di punta che avrebbero dovuto dar vita alla nuova Costituzione e formare il nuovo governo: uomini come Cari Goerdeler, che nel 1937, inascoltata Cassandra, aveva dato inizio a una serie di pellegrinaggi attraverso l’Europa e l’America nel vano tentativo di mettere in guardia le democrazie occidentali sul pericolo rappresentato dal nazismo, o come Herbert von Bismarck, già sottosegretario agli Interni, e Ulrich von Hassel, ex ambasciatore a Roma.

Determinante, per l’elaborazione dei programmi del futuro governo, e per la sua funzione di collegamento con i vari gruppi di opposizione, si rivelò il Circolo di Kreisau, dal nome della proprietà, in Slesia, del conte Helmuth von Moltke (1907-1945). Qui si riunivano, durantegli anni della dittatura, giovani intellettuali, tra cui Peter York von Wartenburg, Adam von Trott zu Solz, lo stesso Von Stauffenberg, che di York era cugino primo. Furono essi a gettare il seme che poi germoglierà nelle file della Resistenza.

«Il nostro problema», scriveva Von Moltke nei suoi Pensieri, «è quello di ricostruire un uomo europeo». E in una lettera all’amico americano Lionel Curtis: «Oggi, per una parte del popolo tedesco, incomincia ad apparire chiara non che essi sono stati fuorviati, non che la guerra può finire con una sconfitta, ma che è peccato quel che sta accadendo, e che personalmente sono responsabili per ogni orribile azione che sia stata commessa, naturalmente non in senso terreno, ma come cristiani».

Non a caso, nel mettere a punto il programma del futuro governo, Goerdeler parlava di «democrazia dei Dieci Comandamenti». E Von Moltke aggiungeva: «Un solo pensiero: quello del cristianesimo come unica ancora di salvezza nel caos». Bisognava – secondo l’appello che Goerdeler avrebbe rivolto al popolo dalla radio – «purificare il nome tedesco più volte disonorato. Solo noi tedeschi possiamo farlo.

E lo faremo». Perciò, tribunali tedeschi avrebbero giudicato «coloro che hanno screditato la nostra patria facendone la caricatura di uno Stato», mentre i più gravi «delitti internazionali» (come la persecuzione antiebraica) sarebbero stati giudicati dalla Corte di Giustizia dell’Aia, composta da sei giudici: tre appartenenti ai Paesi vincitori, due neutrali e un tedesco. Una Norimberga molto serena ed accettabile di quella poi realizzatasi ad opera dei vincitori. Invece, fallito l’attentato, Hitler farà mettere a morte settemila persone, tra cui tutti i capi della Resistenza, nessuno dei quali volle riparare all’estero.

Von Stauffenberg e il mistero della confessione

Ho cercato di portare luce su uno degli enigmi che, ormai da più di 60 anni, gravano sulla vicenda: se cioè la Chiesa fosse al corrente dell’attentato e ne avesse dato un implicito assenso. Il primo a parlarne fu Constantine Fitz Gibbon, storico irlandese, uno dei massimi studiosi del 20 Luglio. Nel suo libro Shirt of Nessus (Londra, 1956), sostenne che Von Stauffenberg si confessò dall’arcivescovo di Berlino, cardinale conte Konrad von Preysing (1880-1950), senza tuttavia ricevere l’assoluzione. L’arcivescovo gli avrebbe però detto che «non si considerava autorizzato a trattenerlo in base a motivi ideologici» (p. 159).

Una decina d’anni dopo, da me intervistato a Berlino durante l’inchiesta giornalistica che condussi sull’attentato, padre Harald Pòlchau, il cappellano del carcere di Tegel che aveva assistito, in punto di morte, i massimi esponenti del complotto, tra cui Von Moltke, Alfred Delp, Julius Leber, York von Wartenburg, Von Hase e Von Witzleben, mi disse di avere appreso da quei condannati, senza ombra di dubbio, che Von Stauffenberg si era confessato, aveva ricevuto l’assoluzione e si era anche comunicato.

Nel 1963 fu inaugurata a Berlino, nel quartiere operaio di Siemensstadt, la chiesa cattolica Regina Martyrum, edificata in memoria dei religiosi impiccati in seguito ai fatti del 20 Luglio 1944. All’inaugurazione era presente il cardinale Julius Dòpfner, attorniato dai vescovi della Germania. Tutti dissero che, avendo fatto costruire quel tempio, la Chiesa di Roma implicitamente aveva ammesso la liceità del tirannicidio. Appare in ogni caso assai verosimile che l’arcivescovo Von Preysing (il quale sarà nominato cardinale da Pio XII nel marzo 1946 assieme al vescovo, già perseguitato dai nazisti, conte Clemens August von Galen) abbia prontamente e doverosamente comunicato alle gerarchie superiori ciò che aveva appreso da Stauffenberg

Bibliografia

L. Garibaldi, Operazione Walkiria. Hitler deve morire, Ares, 2008.

Oscar Sanguinetti, voce Alfred Delp S.J. (1907-1945), in Voci per un Dizionario del Pensiero Forte,(www. alleanzacattolica.org), con bibliografia.