La mappatura del DNA umano ha, se possibile, aumentato il numero dei misteri. Ha accresciuto le domande, più che le risposte. E ci ha messo davanti a enigmi del tutto nuovi, ancora più indecifrabili.
di Maurizio Blondet
Già il fatto che gli scienziati siano sorpresi dall’aver trovato nel Dna dell’uomo solo 30 mila geni o poco più, mentre se ne aspettavano 80-120 mila, dice quanto poco sappia la scienza, in realtà, del codice contenuto in quel microscopico elicoide attorcigliato che abbiamo nelle cellule. Di come funziona.
Come mai un essere “complesso come l’uomo” ha solo 300 geni più del topo, solo il doppio di quelli di un verme (18 mila), e quasi gli stessi di una pianta (26 mila)? Così si stupiscono gli scienziati.
Il fatto è che la scoperta torba il quadro interpretativo evoluzionista con cui leggono il genoma. Secondo quel quadro (che dobbiamo chiamare “pregiudizio” evoluzionista), la pianta è più primitiva, e storicamente più antica del verme; il verme più semplice del topo; il topo più dell’uomo.
Dunque il numero dei geni dovrebbe crescere regolarmente dalla specie più “semplice” a quella più “evoluta”. Invece non è così. Del resto, un insetto nasce bruco, animaletto senza sesso, dedito solo a nutrirsi; il bruco si chiude poi nel bozzolo, e forma la crisalide; dal bozzolo esce una farfalla, animale vistosamente dissimile dal bruco, e che si nutre pochissimo, ma la cui unica occupazione è il sesso.
E’ questo ciclo vitale più semplice, più “primitivo”, del ciclo dell’uomo? No.
L’insetto è enormemente complesso. Le due funzioni radicali, il nutrirsi e il riprodursi, sono in esso separate e concentrate in due diverse fasi vitali. Solo, la sua complessità è diversa dalla nostra. Il gomitolo di Dna che abbiamo nelle cellule, se lo stirassimo, sarebbe lungo 1,60 metri. La scienza ora scopre che solo circa 3 centimetri di quel nastrino elicoidale microscopico contengono “istruzioni genetiche”.
E il resto? E’ un’imbottitura inutile, dicono gli scienziati. “Silente”, inattiva, perché non “esprime” proteine. E assicurano: si tratta di geni di batteri-parassiti, che milioni di anni fa hanno infettato gli antenati dell’uomo, ed hanno lasciato nel nostro i resti del loro Dna microbico.
Va detto chiaro: questa è una mera ipotesi. Fondata ancora una volta sul pregiudizio evoluzionistico, in base al quale si immagina che nel Dna umano restino detriti, spazzatura di milioni di anni di evoluzione cieca. Ma che cosa sanno in realtà di quell’immensa quantità di Dna ‘inattivo”? Come escludere che non svolga invece una funzione preziosa, che però loro non riescono a leggere?
Il Dna è una cosa troppo complessa. Così complessa che nemmeno tutti i biologi molecolari la capiscono del tutto. Nel loro lavoro, la trattano come fosse una collana di perline (i geni) infilzati in un filo. O una “scrittura”. Ma quella scrittura non è, come le nostre, appiattita su una pagina; è una struttura tridimensionale e dinamica. E non è una passiva collana di perline.
Quelle perline, i geni, emigrano e si ricombinano secondo un piano che pare predeterminato e intelligente nella struttura tridimensionale; e nella nuova posizione assumono nuove e diverse funzioni, con una vibrante attività vitale. Ogni gene “dà le istruzioni” per fabbricare una proteina singola; ma il gene cambia di posizione, e la sua posizione reciproca rispetto ai geni vicini modifica la sua “espressione I biochimici dispongono, per “leggere” il genoma, di strumenti sofisticati.
Eppure sono assai rozzi per una simile complessità: forbici fatte di enzimi che tagliuzzano nastrino, enzimi che si combinano coi pezzetti così ottenuti e li “leggono” in base alle reazioni chimiche ottenute. Ma così, al massimo, si ottiene una scrittura a due dimensioni, come le lettere su un foglio; sfugge la dimensione volumetrica, e l’attività dinamica che anima il prodigioso nastrino, le parti che non reagiscono sono chiamate “silenti” e definite spazzatura preistorica. Ma è proprio così? Craig Venter. il presidente della Celeric’s, grande mappatore, ha ammesso: «Il genoma umano è più complicato di quanto pensassimo».
Ecco, questa è la sola verità scientifica. Non un trionfo, ma un timore e un tremore. Siamo alla fine del principio, al limitare di un mistero maggiore del previsto.. Che forse (non è poco) costringerà a rivedere il quadro evolutivo. E allora, colleghi giornalisti, non esagerate in trionfalismo. Le vostre proclamazioni hanno un sapore vecchio: di quel positivismo ottocentesco che credeva alla scienza come a una fede, convinto che tutto si potesse spiegare con meccanicismo ed elettricità, e che macchine ed elettricità avrebbero risolto tutti i nostri problemi.
Questo semplicismo, questo scientismo a poco prezzo, oltretutto non è innocuo: gli dobbiamo il materialismo “scientifico” e il razzismo “scientifico”. Aggiornatevi.