Pubblicato su Il Covile, anno XVI n.890
27 febbraio 2016
Maurizio Blondet
Ida Magli è scomparsa. Non avrà nemmeno lontanamente gli onori funerari che il Sistema ha tributato ad Umberto Eco. È logico: è stata la prima a gridare, inascoltata, che l’Europa burocratica era diventata la prigione dei popoli e stava distruggendo la cultura e la civiltà europee. Ancor meno è stato onorato Piero Buscaroli, grande giornalista, scrittore, musicologo, caratteraccio. Logico: fu sempre un sopravvissuto della Repubblica Sociale in territorio nemico. Da giovane praticante, leggevo avidamente i suoi straordinari, originalissimi reportage dalla guerra del Vietnam (per il Borghese); come direttore del Roma di Napoli, rivelò che l’ex ministro Taviani gli aveva ammesso: gli attentati dei «neri» erano organizzati dal ministero dell’Interno, democristiano».
Indro Montanelli al Giornale non si privò della sua penna, nutrita di una cultura magnifica e di una sete offesa di verità, ma, vilmente, gli impose di firmare con uno pseudonimo — Piero Santerno — perché riteneva compromettente il suo vero nome. Era un discriminato, un impronunciabile nel sistema politico della «Libertà»
Da giovane leggevo avidamente «Santerno», ho imparato da lui che anch’io ero in territorio nemico, senza ordini
Buoni e cattivi maestri, se ne vanno tutti
I tre erano della generazione precedente alla mia, gli ottanta-novantenni. Quella che — come ci ha informato l’Istat— sta morendo in massa: 62 mila nel 2015 piú che nel 2014, un’impennata statistica di oltre il 10 per cento, comparabile al 1943, al 1915–18, insomma la mortalità dei tempi delle grandi guerre. La differenza è che non c’è guerra. Vige da decenni quella che chiamano «pace»: abbondanza, Europa «unita», previdenza sociale, società (residuale) del benessere. E a morire sono i vecchissimi, non i giovani al fronte. Perché i vecchi sono sempre piú e i giovani quasi non ci sono. Strana «pace», quella dove una società intera ha cessato di fare figli.
In zoologia, sono i selvatici nello zoo a non generare piú: la mia generazione si sta accorgendo troppo tardi che questa «pace» è l’altro nome per lo zoo umano? La mia generazione — quella dei settantenni, nati nella ripresa della natalità del dopoguerra — è quella che ha creato, voluto, queste gabbie. I miei genitori erano sposini ventenni quando mi diedero vita, nel ’44; l’appartamento in affitto, tra Sesto e Gorla, era stato bombardato, abitavano in una stanza unica requisita, che il proprietario reclamava; i partigiani compivano le loro vendette ed omicidi mirati per instaurare il bolscevismo. Di notte, passavano SS giovanissime, che gestivano le aziende del triangolo industriale per la produzione bellica. Sul viale Monza tutti gli alberi erano stati tagliati dalla gente per riscaldarsi; vivevano tra le macerie; i miei, nella stanzetta abusiva, riscaldavano il loro neonato versando un po’ di alcol denaturato in un bacile smaltato
Erano, mi raccontava mia madre, felici. Pieni di coraggio e di speranza. Fra l’altro perché lavoravano entrambi in una ditta meccanica militarizzata; e il padrone della ditta, ingegner Peghetti — che i terroristi rossi della Brigata Garibaldi avrebbero trucidato nel suo letto poco dopo, come primo atto della «liberazione» — si congratulò della mia nascita con un pacco di viveri, e un biglietto che salutava «Maurizio, pioniere di una nuova Italia rinata nel mondo». Mia madre mi raccontava di quell’augurio, considerandolo un mandato.
Non ce l’ho fatta, mamma.
La rinascita dell’Italia l’hai fatta tu e papà, l’ha fatta la tua generazione, quelli che erano giovani nel ’44, che fecero tanti figli, che votarono per non consegnare il paese ai comunisti assassini; che rimisero in piedi le fabbriche bombardate, e in pochissimi anni — dal ’59, altri dicono dal ’53 — fecero dell’Italia la quinta o sesta potenza industriale, vivacemente competitiva, piena di fabbriche che producevano tutto, acciai e farmaci, idrocarburi, chimica e meccanica, calcolatrici, mobili e navi, ceramiche, carta, auto, seconda in Europa solo alla Germania.
Io — la mia generazione, i baby-boomers — l’abbiamo ereditata, questa società, e come eredi viziati, non siamo stati capaci di mantenerla. Ci siamo lasciati sedurre dalla «rivoluzione culturale»; abbiamo creduto alla «liberazione sessuale» e alle gioie del consumismo e dell’edonismo egoista, l’egoismo standard voluto dalla società dei consumi. Abbiamo votato con entusiasmo il divorzio, e poi l’aborto legale: 250 mila bambini in meno l’anno, e dopo quarant’anni, abbiamo il coraggio di stupirci perché ci mancano cinque o se milioni di italiani giovani, e dobbiamo importare giovani dal Nordafrica, come lavoratori di una società in decadenza, che non suscita nei nuovi arrivati nessun orgoglio e nessun desiderio di appartenenza: sfruttati, pagati in nero, certo non ci difenderanno nella guerra prossima ventura. Non sono i «nostri» figli. Non gli abbiamo consegnato alcun mandato.
Voi avete saputo «integrare» i meridionali che venivano dalla gleba, nelle fabbriche di Sesto e di Monza. Noi non abbiamo alcun orgoglio da trasmettere ai maghrebini, fargli desiderare di essere italiani. E come potremmo? Per la «patria», abbiamo solo derisioni, e quindi nessun dovere verso di essa. Le nostre istituzioni, l’apparato pubblico che le manovra, sono corrotte e odiose persino a noi; la nostra cultura, l’abbiamo noi stessi abbandonata per la «cultura-standard» di massa, pop e dozzinale. Peggio, non facciamo piú alcuno sforzo di quelli che faceste voi, per migliorare voi stessi, i vostri salari e le vostre fabbriche.
Da ragazzo ho vissuto in un’Italia del Nord piena di fabbriche che producevano tutto, e davano lavoro a tutti: fabbriche integratrici, adesso sono scomparse e non è possibile integrare i nuovi arrivati. Come mai esistevano tante fabbriche e sono scomparse? Il segreto lo sapevate, voi della generazione: perché l’Italia veniva dall’autarchia, da tempi dove non ci si affidava al commercio mondiale per comprare in dollari ciò che volevamo, ci si sforzava seriamente — per politica di governo — di avere l’autosufficienza nazionale in tutto. Che significava anche: conservare, ed affinare, «competenze» tecniche ed umane. Voi avete sviluppato le tecniche e insegnato competenze.
Noi, la mia generazione, dopo aver aderito alla «rivoluzione sessuale» e pop, non contenti, abbiamo accettato stupidamente il verbo globalista. Perché produrre grano, quando in Australia e in Canada costa meno? Perché fabbricare computers, quando potere comprarli dalla Cina e da Taiwan? Abbandoniamo l’elettronica in cui non siamo competitivi, e concentriamoci laddove abbiamo il vantaggio competitivo: le giacche di Armani, gli stracci di Dolce e Gabbana. Con i soldi che Armani e i due allegri guadagnano, ci compriamo smartphone e tablets cinesi.
L’effetto non poteva essere piú ovvio: l’istupidimento generale della società. Perché una cosa è avere lavoratori per fabbricare smartphone e computers, e un’altra per fabbricare pantaloni. Che poi Armani, le sue giacche le fa’ fare in Pakistan, e qui nemmeno facciamo piú i pantaloni. Come ho già detto un’altra volta, qui dove abito adesso, Corsico, Milano, la Richard Ginori aveva 1800 dipendenti. Adesso è chiusa. La Cartiera Burgo ne aveva 400: sparita. C’erano miriadi di fabbrichette meccaniche, ossia miriadi di salariati e di specializzati: adesso ci sono dei pensionati e dei supermercati.
Abbiamo anche aderito all’euro; ci liberava della liretta; soprattutto, ci liberava della nostra sovranità nazionale che ci ha sempre pesato per la responsabilità che comportava; l’abbiamo affidata a «l’Europa», sicuri che avrebbe provveduto ai nostri interessi meglio di noi. Noi come generazione dei baby-boomers, mamma, abbiamo fatto questo. Non io personalmente — io ho cercato di oppormi, ho fatto persino lo scrutatore nel referendum contro il divorzio e l’aborto, nelle scuole ero nella minoranza che si opponeva a quelle derive, e nel lavoro mi sono fatto bollare ben bene da fascista. Ancor peggio, mi son fatto deridere ed emarginare come cattolico, oscurantista, reazionario antisemita, escludere da tutti i posti rispettabili.
Però, sinceramente non posso negare la mia corresponsabilità. Come elemento della mia generazione, ne ho condiviso la temperie, mi son lasciato infettare dagli stati d’animo collettivi, sedurre dalle facilità che mi offrivano come liberazione. Alla fin fine, ho divorziato anch’io. E non ho figli.
Adesso questa generazione si appresta ad estinguersi, meritatamente: perché continuare ad esistere, se non ha una vera ragione di vita? Ci siamo liberati di Dio, dai suoi obblighi e della patria, dai suoi doveri. La liberazione sessuale ci dà le ultime gioie — grazie al Viagra, al turismo sessuale, un’indecenza tristissima di vecchi che se lo possono ancora permettere. Se cerco di sunteggiare il bilancio del nostro passaggio nella storia, devo riconoscere: Mai una generazione ha goduto tanto benessere e sicurezza, e mai ha avuto tanta paura di generare, di impegnarsi fino in fondo e per sempre; mai è stata piú insicura della durata della cosa che chiamiamo «pace».
Viviamo fra macerie morali — quelle che abbiamo creato noi stessi — aspettando la fine zoologica. L’impennata di mortalità sta per raggiungerci. Ci sta per raggiungere anche la conseguenza del sistema globalizzato, del capitalismo mondiale — il sistema radicamento sbagliato — che ci aveva promesso il benessere crescente.
Come ovvio, come sempre, la nuova ondata è cominciata negli Stati Uniti. La Federal Reserve di New York ha comunicato pochi giorni fa che gli ultra-sessantacinquenni d’oggi hanno debiti per mutui del 47% superiori agli ultrasessantacinquenni del 2003, e il 27% di debiti in piú per l’auto a rate. Li riconosco, sono i baby-boomers, sono la mia generazione: coi salari in calo da trent’anni, non hanno rinunciato ai «lussi standard» dell’auto nuova, della villetta. Non potevano permettersela? L’hanno comprata a debito. Mai una generazione di vecchi si è indebitata tanto per il superfluo; almeno una volta i vecchi riducevano le spese, la nostra generazione — la parte americana — le ha persino aumentate. A credito.
E adesso, sentite la trappola: il pensionato Sal Ruffin, di Weatherby Lake, Missouri, aveva una bella pensione, 3.300 dollari al mese. Adesso, il suo fondo pensionistico gli ha comunicato: da questo mese, la sua pensione è 1.650 dollari mensili. Sono le gioie del capitalismo terminale: le pensioni in Usa sono private e a capitalizzazione pura, gestite da fondi d’investimento che ricavano i profitti necessari per pagarle impiegando i capitali versati dai soci attivi in Borsa, anzi in tutte le borse mondiali, e in titoli pubblici. Coi titoli pubblici ad interessi zero, le banche centrali che pagano interessi negativi, e le Borse cadenti, i fondi pensione non sono piú in grado di pagarle.
La «riforma» pensionistica in Usa
E detti fondi-pensione hanno ottenuto dal Senato e dal governo una legge — il Multiemployer Pension Reform Act — che consente loro, dopo comunicazione al Tesoro, di tagliare i pagamenti pensionistici allo scopo di rimanere solventi. Sono già 400 mila americani ad aver subito il taglio; la mia generazione. Quella della liberazione sessuale, del ’68. La stessa generazione che oltre i 65 s’è indebitata per mutui casa, il 47 percento in piú di quanto facessero i 65enni di dieci anni prima. Fidando di pagarli con le buone pensioni per cui hanno versato contributi per una vita, e che ora vengono dimezzate.
Pensate che trappola. Il 47% degli americani che pur guadagnano 75 mila dollari annui e piú — quindi classe media, mica poveri — non è in grado di far fronte a una emergenza che costi 500 dollari.
In Europa l’estinzione della mia generazione, che ha aderito volontariamente a tutti gli errori radicali del secolo, è a questo punto: che ha lasciato tornare il pericolo turco. Come sempre quando l’Europa abbandona la sua identità cristiana. Chi l’avrebbe mai detto? Ci siamo circondati di istituzioni di «sicurezza comune», NATO, UE, la Turchia nostra alleata, la laicità, la secolarizzazione compiuta (mai piú intolleranza religiosa) … e i nostri figli, i nostri nipoti, dovranno forse combattere con le armi l’Islam: e dove sono? Non li abbiamo generati. Combatteranno per noi i maghrebini, i somali, gli eritrei, i siriani che abbiamo accolto — per pagarli meno di noi, in uno spazio senza identità e senza cultura, dove la civiltà è stata rimpiazzata dalla cultura pop?
Ve lo dico perché sento alla radio che fra «le voci della cultura» che, dopo aver salutato Umberto Eco, oggi salutano le unioni civili, sento nominare tal Jovanotti. «Finalmente entriamo in Europa», ha esultato. Un vero genio, uno che fa molti soldi perché è popolare, e molti giovani vanno a quelli che si osa chiamare i suoi concerti. Direte: è un giovane. È un giovane di 50 anni che abita a New York, spende lí i milioni che «i giovani» gli danno tanto volentieri.
Cosí, cara mamma, non sono stato «Il pioniere di una nuova Italia rinata nel mondo». A 72 anni, mi preparo ad estinguermi con la mia generazione sapendo bene che l’abbiamo meritato: con un lagno, non con un grido. Scusami mamma, non ce l’ho fatta. È stata anche colpa mia. Non sono nemmeno sicuro di morire cattolico romano; dei «giovani» alla Jovanotti, sono sicuro.
Fonte e ©: Blondet & Friends 22 febbraio 2016.