Riportiamo l’articolo del Prof. Roberto de Mattei, che sarà pubblicato sul nuovo numero di “Radici Cristiane” (n. 41, gennaio 2009).
L’edificio della Modernità, costruito a prezzo di tanto sangue nel Novecento, crolla a pezzi e le macerie culturali e morali che ci circondano svelano il vero volto delle utopie del XX secolo, che lo storico Alain Besançon ha definito “il secolo del male”. Vi è tuttavia una pietra che non può essere divelta, perché costituisce la pietra angolare di un Tempio che sfida il corso dei secoli. Questa pietra sta in Roma, luogo scelto della Divina Provvidenza per ospitare la Sede del Principe degli Apostoli e dei suoi successori.
Nei lunghi secoli di anarchia che vanno tra la caduta dell’Impero Romano e la nascita del Sacro Romano Impero, nell’Europa travolta dai barbari e lacerata da conflitti interni, restò in piedi, in tutta la sua maestà soltanto il Papato. La società era allora un magma ribollente, in cui nulla più restava di stabile e di permanente. In questo crogiuolo, si solidificò la Sede Apostolica, come centro unitario di governo e di giurisdizione, ma anche come punto di irradiazione di una civiltà che nasceva.
San Leone Magno fu il grande protagonista del V secolo che vide la definitiva caduta dell’Impero Romano d’Occidente. Nessuno come lui ebbe piena consapevolezza del declino inesorabile di Roma, ma anche dell’ascesa di una nuova Roma il cui Impero sarebbe stato molto più vasto e glorioso dell’antico. A lui successe, un secolo dopo, un altro Papa che meritò l’appellativo di Grande, san Gregorio, l’ultimo romano, come fu definito, o anche, come fu scritto sulla sua tomba, il “Consul Dei”.
Quando egli fu eletto, dovunque si vedevano morte, lutto, desolazione, ma, come il suo predecessore, egli fu Defensor civitatis, il grande difensore della Chiesa e dell’ordine temporale attingendo tutto il suo vigore alla propria vita interiore. Prima di essere grande uomo di governo, egli fu un monaco benedettino. Le istituzioni monastiche, a partire dal grande ordine fondato da san Benedetto, costituirono il modello di vita e di organizzazione sociale della nuova Civiltà che nasceva, vivificata dalla Grazia soprannaturale.
Questa legge di ricostruzione sociale non cambia nel corso della storia. L’epoca in cui viviamo ricorda quella che l’Europa conobbe tra il V e l’VIII secolo. Nuovi popoli, ideologie e religioni premono sull’Occidente. Oggi però la minaccia maggiore non è rappresentata dal terrorismo islamico, né dalla crisi economica planetaria, né dalla silenziosa invasione che, attraverso l’arma demografica, mira a trasformare in radice le tradizioni giuridiche e culturali della nostra società.
Tutto questo rappresenta certamente un pericolo, ma il problema più grave è costituito dalla filosofia di vita edonista, che ci immerge nella pura ricerca dei nostri interessi e del nostro piacere, e dal relativismo che, come l’antico Paganesimo, rifiuta alla Verità cristiana il diritto di rinnovare le leggi, la cultura e il costume dell’Occidente decadente. Il relativismo, che distrugge princìpi ed istituzioni, è penetrato anche all’interno della Chiesa e cerca di dissolverne la “romanità”.
Benedetto XVI, nel suo celebre discorso di Regensburg, ha parlato del pericolo della “de-ellenizzazione” della Chiesa. Oggi esiste un analogo tentativo di “de-romanizzazione”, ovvero di dissoluzione della struttura giuridica del Corpo Mistico di Cristo. La parola d’ordine è quella di liberare la Chiesa dall’involucro istituzionale che la comprime, contrapponendo dialetticamente Chiesa invisibile e Chiesa visibile, Chiesa della Carità e Chiesa del diritto, ignorando come la dimensione giuridica e istituzionale della Chiesa è condizione necessaria all’esercizio della sua funzione profetica e al raggiungimento del suo fine soprannaturale.
In realtà, in un mondo che proclama la necessità della globalizzazione, ma sprofonda sempre di più nel caos, per l’assenza di una suprema autorità e di un centro ordinatore e unificatore, è proprio la romanità della Chiesa a poter offrire un’ancora di salvezza al mondo. Nel Pontificato Romano, la Chiesa possiede un centro gravitazionale fin dall’inizio della propria esistenza. Essa conserva un’unità di Magistero e un’autorità di governo che costituisce il principio di unità della sua vita sociale.
Roma non è solo il centro geografico della Cristianità, ma il luogo in cui si custodiscono le verità ultime necessarie alla salvezza dell’uomo e i valori più profondi della Civiltà occidentale. Ciò che caratterizza la Chiesa non è solo il suo potere di santificare le anime, amministrando i Sacramenti; non è solo il suo potere di guidarle alla verità, attraverso il suo Magistero; ma è anche il potere di governarle, attraverso le sue leggi e le sue istituzioni.
Il Diritto canonico, formatosi nel corso dei secoli, a partire dal Diritto romano, è altrettanto importante del Magistero, perché offre la garanzia della legittimità dell’autorità e dell’ordine. Accanto all’armatura teologica, che racchiude il tesoro della fede, esiste un’armatura canonica, che mantiene il tesoro del diritto. La parola “Roma” evoca soprattutto questa dimensione istituzionale e visibile della Chiesa e il prefisso “Romana” non restringe a un tempo e a un luogo storico la vocazione della Chiesa, ma la dilata e la qualifica come portatrice di un messaggio di salvezza soprannaturale che non va disgiunto dal suo appello alla sua Legge universale.
Nei giorni drammatici che viviamo, e che ancor più ci aspettano, dobbiamo essere ancora una volta pellegrini dello spirito verso la Roma felix e nobilis, la cui luce non tramonta. Oggi questa luce risplende anche nella liturgia romana che papa Benedetto XVI ha restituito alla Chiesa. È già nato un movimento “romano” di anime che deve prendere consapevolezza di sé, assumere la propria responsabilità storica e fare dell’amore alla Chiesa, Una Santa, Cattolica, Apostolica e Romana, la propria ragione di vita.