Recensione del libro “Le nuove guerre di religione”

religione_coverOsservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân Newsletter n.681 del 23 marzo 2016

Silvio Brachetta

«Il problema è che, per il governo democratico, la libertà religiosa altro non è che la libertà di culto, cioè il diritto di credere in chi o in cosa si vuole. Purché lo si faccia in casa o nei luoghi consoni». Questo si legge su Il Foglio, a proposito di un recente articolo di Matteo Matzuzzi (“La santissima stretta”, 12/03/2016). Il giornalista parla della pratica religiosa negli Usa che, specialmente sotto l’amministrazione Obama, da fede vissuta si è ridotta a «feticcio privato».

È innegabile che la questione religiosa, o meglio, la trasformazione del principio di laicità in laicismo ideologico, sia uno dei grandi problemi contemporanei. Ne parla anche il recente volume scritto a più mani e titolato “Le nuove guerre di religione”, per i tipi di Cantagalli (2016, pp. 96, euro 9,50) nel quale – come precisa l’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi nell’introduzione – accanto alle «guerre di religione», sono pure esaminate le «guerre alla religione».

Come il secolarismo ha detronizzato il dogma cristiano

Quando insomma – precisa mons. Crepaldi – i terroristi compiono gli attentati francesi al giornale Charlie Hebdo o al teatro Bataclan, oppure le truppe di Boko Haram fanno strage in Nigeria, si «tratta di un evidente ritorno delle guerre di religione», poiché la motivazione religiosa è scatenante. Quando invece l’intero Occidente – in particolare gli Usa e l’Europa – ritiene di dover proclamare «l’indifferenza alle religioni», cancellando di fatto la possibilità di un’espressione pubblica della religione, è più esatto parlare di «guerre alla religione».

L’Arcivescovo approfondisce gli argomenti all’interno del libro, al capitolo “Laicità, Cristianesimo, Occidente. Un profilo di storia delle idee”. Ribadisce, soprattutto, che il principio di laicità non è stato veicolato, se non dalla fede cristiana. Come aveva più volte affermato Joseph Ratzinger, il rapporto tra Occidente e fede non fu per nulla «una contingenza nella storia del cristianesimo», ma anzi tale rapporto ebbe «un carattere essenziale». S’insiste, in effetti, troppo poco sull’importanza del dogma in tutta la vicenda storica occidentale. Lo fa qui Crepaldi, che riafferma la verità spesso sottaciuta per cui «la Chiesa ha plasmato la civiltà cristiana occidentale con i suoi dogmi».

È fuorviante, a questo proposito, relegare il dogma nel solo ambito soprannaturale o all’interno della coscienza del credente: al contrario, il dogma «si fa per sua natura storia e, quindi, civiltà», per via della salvezza umana voluta da Dio. Solo, ad esempio, tramite il dogma della duplice natura del Cristo (umana e divina) è stato possibile – spiega Crepaldi – preservare la civiltà dal nichilismo gnostico, che rifiutava la materialità della famiglia, distruggendone le basi. Il dogma dell’Immacolata Concezione, poi, ha contrastato i mali sopraggiunti dalla negazione del peccato originale, senza il quale l’uomo è buono e destinato solo al progresso, senza alcun bisogno della Grazia.

Persino la modernità, nemica del dogma quasi per definizione, si è ridotta a dover sostituire i dogmi cattolici con altrettanti dogmi di tipo laicista, la cui peculiarità è l’assolutezza. Fu il caso – scrive l’Arcivescovo – del positivismo di Auguste Comte, che riconosce nel cristianesimo l’elaborazione della laicità, nonché l’utilità del dogma cattolico per l’ordine sociale. Dal momento però – dice Comte – che l’equilibrio si è rotto e la laicità si è trasformata in laicismo, con la relativa emancipazione dell’ordine temporale dallo spirituale, siamo di fronte ad un processo assolutamente «irreversibile». Questa irreversibilità assoluta e storicistica è appunto il nuovo dogma dei moderni: si è imposta la secolarizzazione e questo fatto è temporalmente irreversibile. Con la secolarizzazione, è poi seguita la negazione del soprannaturale, la necessità della Grazia e della Chiesa che la veicola. Ecco, dunque, la possibile genesi delle «guerre alla religione», da parte di una modernità secolarizzata e assolutista.

La libertà religiosa

In che senso, allora, intendere il principio della «libertà religiosa», che lo Stato dovrebbe garantire? Se ne occupa Stefano Fontana al capitolo “Libertà di religione e doveri politici verso la religio vera. Il Sillabo, il Vaticano II, Joseph Ratzinger”. Il magistero prima del Concilio Vaticano II – spiega Fontana – negava il diritto alla libertà religiosa, per via del dato secondo cui non ci può essere una «separazione tra libertà e verità». Se, cioè, la religione cristiana fosse «vera» – come di fatto è vera – non vi sarebbe alcun diritto da parte del potere politico di assumere una posizione neutrale: lo Stato dovrebbe confessare la verità di quella religione e assumerne le finalità (non i mezzi), in vista del bene comune. Tanto più che la regalità di Cristo, come da magistero, si estende anche sulle realtà temporali.

Con il Vaticano II – scrive Fontana – la libertà religiosa diventa un «diritto», anche se non in senso «assoluto». Per via del testo non chiarissimo della Dignitatis humanae, si direbbe che il Concilio rifiuti il concetto di stato confessionale, pur mantenendo il principio della regalità di Cristo. In ogni caso, a seguito delle precisazioni di Papa Benedetto XVI, sembrerebbe confermato – a parere di Fontana – che «la fine dello Stato confessionale non comporta che la politica abbia perso i propri doveri verso la religione vera».

La tesi di Fontana pare fondata anche per un altro aspetto. È probabile che il Vaticano II, nel pronunciarsi sul diritto alla libertà religiosa, si riferisse unicamente al “foro interno” della coscienza individuale e non al “foro esterno” sociale, tenuto sempre a confessare la religione vera. La Dignitatis humanae non parla di foro interno o esterno, ma quando un Concilio tace su una certa verità non significa che intende negarla, perché ad un Concilio non compete mai la riproduzione totale dei contenuti del deposito della fede.

L’ampiezza anche culturale e storica della religione

E sulle «guerre alla religione» riflette pure Omar Ebrahime, nel suo “La guerra dell’Occidente contro il Cristianesimo”. Si tratta di una sintesi della nota «cristianofobia» che, specialmente in Europa, sottopone soprattutto i cattolici (nel migliore dei casi) al «martirio del ridicolo», per cui il malcapitato viene dissuaso ad esprimersi nella società mediante il pubblico dileggio e la diffamazione. Nei casi peggiori, invece, viene cacciato dall’agone politico, perseguitato o incarcerato, come sempre più spesso avviene.

Gianfranco Battisti, in “La geopolitica delle religioni nell’epoca del ritorno al paganesimo”, richiama il concetto di Samuel Huntington sullo «scontro necessario tra le civiltà», nel senso che c’è un problema legato alla religione in quanto «fattore di divisione». La geopolitica, cioè, non può ignorare che accanto all’«autentico slancio missionario», la religione (in senso generale) veicola alle volte il desiderio di dominare gli altri popoli, mediante la «copertura ideologica» d’«interessi di gruppo». Succede allora che la religione può diventare «un fattore potente di mobilitazione politica».

L’analisi di Battisti è a tutto campo e investiga a fondo il fenomeno delle guerre di religione, in cui prevale la prassi della guerra civile. Due esempi su tutti: le guerre europee in seno al cristianesimo dei secoli passati e l’odierna guerra tra musulmani sciiti e sunniti. E proprio l’origine dell’Islam è il tema trattato da Silvia Scaranari Introvigne, in “Violenza e pace di vecchi e nuovi califfati”. L’autrice chiarisce specialmente la realtà storica del sunnismo e dello sciismo, nonché la genesi del califfato.

Il potere decentralizzato

Guerre civili: ovvero, guerre interne agli Stati. Eppure la stessa realtà dello Stato nazionale è oggidì corrotta al suo interno. Ne parla Miguel Ayuso, al capitolo “Pacifismo, nuova guerra e crisi dello Stato”. Lo Stato moderno – scrive Ayuso – è, tra l’altro, un effetto della rivoluzione industriale, a cui è seguita la «massificazione» e la «centralizzazione economica e politica».

Oggi, però, sono in gioco nuove forze, che decentralizzano i poteri, come ad esempio le tecnologie elettroniche applicate alle comunicazioni. Tutto questo, di fatto, ha divelto i confini nazionali, per via di nuovi poteri «funzionali e non territoriali», che surclassano non solo il potere degli Stati, ma le loro stesse basi etico-morali. Non deve stupire, in questo quadro, che il potere sia scivolato sempre più ai cosiddetti «organismi internazionali», particolarmente ostili alla Chiesa e «a servizio di cause ideologiche non sempre confessabili».

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Miguel Ayuso, Gianfranco Battisti, Giampaolo Crepaldi, Stefano Fontana, Omar Ebrahime, Silvia Scaranari Introvigne,Le nuove guerre di religione, Edizioni Cantagalli, Siena 2015, pp. 96, euro 9,50

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