Una sola religione salva l’uomo: la cristiana. Una sola Chiesa è vera: la cattolica. Parola di Papa Giovanni Paolo II
di Marco Invernizzi
Così è anche avvenuto il 28 gennaio 2000, quando i partecipanti alla Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, riuniti con il Prefetto della Congregazione card. Joseph Ratzinger per «avviare uno studio circa le tematiche dell’unicità e universalità salvifica di Cristo e della Chiesa», sono stati ricevuti da Papa Giovanni Paolo II che ha rivolto loro un discorso. La Chiesa non usa affrontare temi dottrinali se questi non hanno un’attualità pastorale tale da renderli rilevanti per il comune sentire dei fedeli e quindi per la loro salvezza e santificazione.
Così, infatti il Papa ha spiegato l’interesse per l’argomento affrontato dalla Plenaria: «In questi ultimi anni, infatti, in ambienti teologici ed ecclesiali è emersa una mentalità tendente a relativizzare la rivelazione di Cristo e la sua mediazione unica e universale in ordine alla salvezza, nonché a ridimensionare la necessità della Chiesa di Cristo come sacramento universale della salvezza».
Quindi, come sempre è accaduto nel corso della storia, la cultura dominante tende a penetrare anche nella Chiesa con i suoi aspetti positivi e negativi, costringendo quest’ultima a un continuo esame per evitare di trattenere, nel rapporto con il mondo, quanto potrebbe deturpare l’integrità della fede.
Il relativismo è la principale caratteristica della cultura che contraddistingue il mondo cosiddetto post-moderno, con il suo esito nichilistico sia per quanto riguarda gli aspetti dottrinali che per quelli morali. La pericolosità del relativismo consiste propriamente nel suo attacco diretto al fine della vita, svuotando quest’ultima di ogni scopo che non sia il carpire quotidiano quel tanto di piacere che la stessa vita può offrire: a differenza delle ideologie, che offrivano una soluzione erronea ma forte alla domanda sul senso della vita, il relativismo nasconde, o deride, la meta stessa, affermando che la domanda sul senso della vita «non ha senso».
Penetrando nella vita e nel pensiero cattolico, il relativismo “relativizza” la rivelazione cristiana, giudicando eccessiva la pretesa di Gesù Cristo di essere l’unico Salvatore del mondo. Se fate caso all’atteggiamento della maggioranza delle persone alle quali ricordate “la pretesa cristiana” – un atteggiamento che è un giudizio di esagerazione e di intolleranza, quasi che un vero Dio non avrebbe dovuto avere la pretesa di essere l’unico Salvatore degli uomini – vi potete rendere conto di come una verità, in altre epoche scontata, sia diventata problematica, ingombrante, così che anche coloro che la ritengono vera faticano a proporla al loro prossimo.
La pretesa cristiana dovrebbe scendere a più miti consigli e accettare di condividere con le altre religioni il proprio desiderio di salvezza. «La ragione di fondo di questa asserzione – ha detto Giovanni Paolo II – pretende di fondarsi sul fatto che la verità su Dio non potrebbe essere colta e manifestata nella sua globalità e completezza da nessuna religione storica, quindi neppure dal cristianesimo e nemmeno da Gesù Cristo».
Ma la verità della Rivelazione cristiana, se ha come fonte la Persona divina del Verbo incarnato – e solo il dono della fede può rispondere a questa domanda – contiene in sé la definitività e la completezza: «La verità su Dio non viene abolita o ridotta perché è detta in linguaggio umano. Essa invece resta unica, piena e completa, perché chi parla e agisce è il Figlio di Dio incarnato».
La mentalità relativistica viene applicata anche alla Chiesa: «È dunque errato considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite da altre religioni, le quali sarebbero complementari alla Chiesa, pur se convergenti con questa verso il Regno di Dio escatologico», aggiunge Papa Giovanni Paolo II, perché questa equiparazione toglierebbe senso al mandato del Signore (cfr Mt 28, 19-20), che invita i suoi fedeli ad annunciare che Gesù Cristo è «la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14/6).
Non solo, ma se il mondo moderno ha qualche indulgenza verso la pretesa di Gesù Cristo, ne ha molta meno verso la pretesa della Chiesa, che piace soltanto quando si occupa di quelle cose ritenute sgradevoli, come gli ammalati, i moribondi, i carcerati, i tossicodipendenti, che la maggioranza degli uomini preferisce fuggire.
Le due pretese cristiane circa l’unicità e l’universalità salvifica di Cristo e della Chiesa potrebbero essere sentite dai non cattolici come qualcosa che sminuisce la loro religione. È comprensibile e va tenuto sempre presente nei rapporti sempre più frequenti che avremo anche in Italia con fedeli di altre religioni. Ma questo problema non può cambiare la realtà della fede.
Spetterà ai cattolici dimostrare con il comportamento che la consapevolezza del fatto che nella Chiesa si trovi la pienezza della Rivelazione divina non porta a una sciocca e vana superbia, allo zelo amaro e infecondo, ma al desiderio di comunicare la verità che salva.
Sarà compito della prudenza e della carità dei cattolici coniugare la fedeltà alla verità con il rispetto e l’attenzione per le singole persone, così da ricordare concretamente questa affermazione del Concilio Ecumenico Vaticano II: «Vero è che la Chiesa cattolica è in possesso di tutta la verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi della grazia, tuttavia i suoi membri non se ne servono per vivere con tutto il dovuto fervore, per cui il volto della Chiesa meno rifulge davanti ai fratelli da noi separati e al mondo intero, e la crescita del Regno di Dio ne è ritardata» (Decreto Unitatis redintegratio sull’ecumenismo, n. 4).