La Nuova bussola quotidiana
23 luglio 2016
di Marco Respinti
La storia più bella delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti di quest’anno è quella che non racconta nessuno. Quella che torna a far sperare in qualcosa di più alto e serio, che dice che c’è vita oltre Donald J. Trump (e Hillary Clinton), che rimette al centro le questioni inderogabili.
Com’è prassi, anche quest’anno il Partito Repubblicano ha presentato alla Convenzione nazionale di Cleveland la piattaforma con cui si propone alla nazione per guidarne la presidenza federale (l’organo esecutivo) e il Congresso (l’organo legislativo). La premessa doverosa è ricordare che i partiti statunitensi sono molto diversi da quelli europei. Non nascono, come i nostri, dalle “società di pensiero” della Rivoluzione Francese, riflettono più “blocchi sociali” che ideologie, sono grandi contenitori in cui convivono orientamenti anche molti diversi e presentano varianti regionali altrove impensabili. Per questo non hanno “programmi”, ma “piattaforme”. Quelle con cui a ogni tornata elettorale i partiti maggiori si presentano agli americani vengono messe nero su bianco in corso d’opera, nel momento clou dell’ufficializzazione delle candidature finali. Per definizione sono dunque aperti alla contrattazione. È un punto di forza, giacché ha sempre impedito l’autoreferenzialità ideologica dei partiti (impedendo di pensare che la politica si esaurisca nei partiti o che i partiti ideologici siano gli unici soggetti politici), ma è anche un punto di debolezza, poiché espone la politica al pensiero dominante, alla temperie culturale, alla “dittatura delle maggioranze” (e delle minoranze).
Ebbene, lunedì 18 luglio, a Cleveland, il Grand Old Party (GOP, l’altro nome del Partito Repubblicano) ha presentato una delle piattaforme più nette della propria storia: no all’aborto, no alla deriva LGBT, difesa della libertà religiosa, la famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna come attore principale dell’educazione dei figli. C’è dentro molto altro, molto altro di buono, ma questi sono princìpi universali irrinunciabili. Una delle piattaforme, insomma, più conservatrici della storia del partito, il quale non è affatto nato conservatore, non lo è stato per lungo tempo, ha cominciato a un certo punto a diventarlo e oggi, combattendo implacabilmente la propria buona battaglia, mostra di esserlo profondamente nonostante l’avvento di Trump in una storia che non gli appartiene (e cui lui non appartiene) abbia rischiato di azzopparlo.
Citando il V Emendamento alla Costituzione federale, che prescrive che nessuno possa essere «[…] privato della vita, delle libertà o della proprietà senza un giusto processo», il quale riecheggia deliberatamente la Dichiarazione d’indipendenza là dove essa proclama che tutti gli uomini sono «[…] dotati dal loro Creatore» del diritto inalienabile alla vita, la piattaforma 2016 del GOP «[…] afferma la sacralità della vita umana e dichiara che i bambini non nati posseggono un diritto fondamentale alla vita che non può essere infranto». Per questo invoca un nuovo emendamento alla legge fondamentale del Paese che espliciti la validità del XIV Emendamento (l’estensione a tutti i cittadini statunitensi del diritto alla vita sancito dal V Emendamento) anche per i bambini non nati e per questo si oppone «[…] all’uso di fondi pubblici per praticare o promuovere l’aborto oppure per finanziare organizzazioni […] come la Planned Parenthood», premendo «[…] sugli Stati dell’Unione e sul Congresso affinché mettano fuorilegge l’acquisizione, il trasferimento o la vendita per ricerca di tessuti fetali provenienti da aborti volontari » (come, con enorme scandalo, fa appunto la Planned Parenthood).
Questo quanto all’aborto. Quanto al gender, la piattaforma afferma (senza paura di ripetizioni cacofoniche) che «il matrimonio tradizionale e la famiglia, basata sul matrimonio tra un uomo e una donna, sono il fondamento della società libera cui per millenni sono state affidate l’educazione dei figli e la trasmissione dei valori culturali». E con parole come pietre aggiunge: «Noi condanniamo la decisione della Corte Suprema» nei casi United States v. Windsor (26 giugno 2013), che ha sottratto al Congresso la possibilità di definire “matrimonio” solo quello eterosessuale, e Obergefell v. Hodges (26 giugno 2015), che ha legalizzato le unioni LGBT equiparandole al matrimonio naturale, una sentenza «[…] senza legge» che, «[…] nelle parole del defunto giudice Antonin Scalia, è stata un “putsch giudiziario”, pieno di “stravaganze sciocche”, che ha ridotto» il diritto americano a una serie di «[…] aforismi mistici da biscottini della fortuna».
Non era scontato. La questione LGBT è stata lo spartiacque. Alla vigilia si temeva il prevalere di alcuni esponenti Repubblicani omosessuali, e il confronto è stato duro. Anche perché, sul punto, Trump ha tenuto un profilo bassissimo, estraniandosi da un dibattito che non lo entusiasma.
Per LifeNews.com, ambiente non certo prodigo di carinerie gratuite, si tratta della «[…] piattaforma più pro-life di sempre». Scandalizzato, The New York Times, quotidiano liberal, la definisce la «[…] più estremista a memoria d’uomo» e le organizzazioni dei Repubblicani omosessuali quella «[…] più anti-LGBT». In realtà è semplicemente la bella storia di crescita e di maturazione (e di conversione) del GOP che, interrotta bruscamente dall’alieno Trump, e minacciata di estinzione, sta in realtà continuando già oltre Trump stesso.
Certo, la piattaforma del partito non è strettamente vincolante; ma per una volta l’establishment si mostra migliore di certi suoi candidati. Se questa piattaforma dovesse pesare poco per Trump, peserà infatti molto per i Repubblicani che il 7 novembre si candideranno al Congresso, là dove si scrivono e varano le leggi americane. È anche questo che il 20 luglio ha voluto dire Ted Cruz, con un coraggio da leone nella bolgia dei partigiani del trumpismo, quando, negando l’endorsement al magnate newyorkese, ha esclamato: «[…] come ognuno di voi, in novembre voglio veder vincere i principi in cui crede il nostro partito».