Articolo pubblicato su Avvenire
L’Urss e i movimenti giovanili europei
di Fulvio Scaglione
Lui la chiama “la guerra fredda dei piccoli”. Eppure non meno inquietante è la storia che Joel Kotek, docente dell’Università libera di Bruxelles. Ha raccontato in La jeune garde (“La giovane guardia”, titolo che replica quello di un romanzo di Aleksandr Fadeev, dedicato appunto alle vicende di un gruppo di giovanissimi partigiani sovietici), sottotitolo: “I giovani tra Kgb e Cia , 1917-1989” (edizioni Seuil). Vicende che Kotek conosce bene per averle studiate, con ricerche in archivi russi, americani, inglesi e francesi e decine di interviste, e per averle anche vissute, almeno negli anni Ottanta, quale presidente degli Studenti ebrei d’Europa.
«Eravamo pochi ma bene organizzati», ricorda, «e quante polemiche con la Federazione mondiale della gioventù democratica, che ci trattava come agenti del sionismo»
Lei ha ripercorso l’infiltrazione di agenti filo-sovietici nelle organizzazioni giovanili e studentesche. Che cosa l’ha colpita di più?
«Che tal penetrazione era stata immaginata e in qualche modo programmata già dal Komintern negli anni Trenta. Un lavoro di lungo termine, che mostra tutto il talento per l’organizzazione e la propaganda dei comunisti. Se si scava negli archivi di Mosca, si vede con quanta cura i giovani militanti venivano preparati per emergere nelle organizzazioni che si volevano infiltrare».
Veri professionisti…
«I sovietici avevano creato diverse figure. Le “talpe”, mandate a infiltrare l’apparato dello Stato come i Blunt, Philby, Burges, i “magnifici cinque” di Kambridge. E poi i “sottomarini”, incaricati di difendere le scelte dell’Urss senza rivelare la propria militanza. Un episodio straordinario, a questo proposito, è quello del Patto tedesco-sovietico, firmato nel 1939. Ebbene, nel 1941, con la Gran Bretagna in guerra e Londra sotto le bombe, l’Unione Nazionale degli studenti inglesi fa una dichiarazione in cui definisce “ingiusta” la guerra, invita alla pace con la Germania e alla decolonizzazione dell’India. Ci sono documenti negli archivi che rivelano tutto lo shock dei laburisti alla scoperta che la Federazione giovanile non ubbidiva a loro ma a Mosca».
Molto si è scritto delle spie. Che tipi erano, invece, i “sottomarini”?
«Gente che aveva un ideale, l’antifascismo, ma lo mise al servizio dello stalinismo. Manipolatori che finirono manipolati. Il personaggio tipico è, secondo me, Joseph Grohman, un giovane ceco poliglotta che aveva passato gran parte della seconda guerra mondiale in un carcere della Gestapo. Dopo la guerra diventa il leader dell’Unione internazionale degli studenti, poi si fa arruolare dai servizi segreti francesi e finisce in una prigione comunista. Fu quell’assoluto appiattimento sullo stalinismo, in fondo, a provocare la reazione dell’Occidente».
Che arrivò tardi. E fu, paradossalmente, ostacolata dall’impazzare del maccartismo in America.
«Fino ali anni Cinquanta, ai movimenti giovanili si interessarono solo i regimi totalitari: il nazismo, lo stalinismo. I primi a reagire furono gli inglesi, anche perché la Federazione mondiale della gioventù democratica, poi strumento di Mosca, era stata fondata a Londra nel 1945 con il patrocinio del re e di otto ministri inglesi. La delusione inglese era stata enorme. Fu lord Bevin, il più anticomunista tra i ministri inglesi, a prendere l’iniziativa. Nacque così l’assemblea mondiale della gioventù, una creatura del ministero degli Esteri inglese».
E gli Usa?
«Dopo gli inglesi si mossero i francesi. Ma entrambi i Paesi erano così impoveriti dalla guerra da non poter finanziare alcunché. Si rivolsero a Washington, dove però nessuno osava far nulla proprio per l’attivismo del senatore McCarty: gli studenti erano, allora come oggi, contestatari di natura, dar loro quattrini voleva dire grane sicure. Alla fine intervenne la Cia, che per i propri fondi non doveva passare per il Senato, allora ultraconservatore».
Che cosa smosse gli americani?
«Il Festival della gioventù di Berlino nel 1951. Radunò un milione di giovani, gli americani temettero persino che nascondesse un piano per annettere Berlino Ovest».
Fa impressione leggere i proclami anti-titoisti di Giovanni Berlinguer, prima tesoriere e poi segretario generale dell’Unione internazionale degli studenti, che aveva come “vice” Aleksandr Shelepin, di li a pochi anni presidente del Kgb, o trovare Enrico Berlinguer presidente della Federazione mondiale della gioventù democratica, tra i protagonisti del Festival di Berlino, finanziato dai sovietici con 50 milioni di dollari. Come li giudica?
«In questi anni non avevano margini di manovra, non c’era spazio per la critica alla linea di Mosca. Tanto più che i partiti comunisti in Italia e Francia erano i più importanti d’Europa, senza di essi la propaganda di Mosca non sarebbe andata lontano. Importanti e quindi corteggiati, ma anche controllati».
Ma secondo lei si poteva avere come “vice” uno dei pezzi grossi del Kgb senza saperlo?
«Ovviamente no. E’ vero che Shelepin era spesso assente dalle riunioni dell’Uie, ma a quarant’anni era già colonnello del Kgb. Quindi».
Olaf Palme: la sua Confederazione internazionale degli studenti era pagata dalla Cia e lui lo sapeva. Non male per un socialista terzomondista.
«Palme preferiva non sapere. Era chiaro che i soldi arrivavano dagli Usa, non tutti invece sapevano che era la Cia, attraverso una fondazione appositamente costituita, a pagare. E’ vero, comunque, che Palme viaggiò per tutto il Terzo Mondo a spese degli americani. La Cia fu la benedizione e la maledizione delle organizzazioni giovanili non comuniste. Prima le salvò dalla bancarotta; poi, quando il legame fu scoperto, a metà anni Sessanta, le condannò a morte istantanea».
C‘era differenza tra i rubli e i dollari?
«Le organizzazioni filosovietiche non poterono mai permettersi di discutere la politica estera di Mosca; quelle anticomuniste, invece, pur se finanziate dalla Cia, già nel 1967-1968 erano assai critiche verso la politica Usa in Vietnam, prendevano posizione sulla questione Arabo-israeliana. Ancora negli anni Ottanta, l’Unione internazionale degli studenti e la Federazione mondiale della gioventù democratica erano repliche esatte degli orientamenti del Cremino: difesa del ruolo sovietico in Afghanistan, critiche a Usa e Israele, propaganda contro gli euromissili e mai una parola sugli SS20 di Mosca. Gli americani non volevano tenere in pugno giovani e studenti ma piuttosto mostrar loro diverse e affascinanti realtà. Una tattica applicta poi a tutta la propaganda culturale: persino le prime mostre di Jackson Pollock furono finanziate dalla Cia».