Discorso di Giovanni Paolo II a un gruppo di parlamentari austriaci,
22-3-1997, nn. 1-4,
Ciò concerne in particolare i politici il cui compito consiste nel divenire portatori della cultura della vita nella società. Ci si preoccupa della cultura della vita anzitutto quando concerne l’ambito personale. «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?» (Gc. 2, 14). Fra i più preziosi elementi costitutivi di questa cultura vi è perciò il buon esempio.
Chi vuole servire la vita, deve avere un atteggiamento di rispetto e di tolleranza nei confronti di coloro con i quali desidera intrattenere in proposito un dialogo. Ciò vale anche per i rapporti con quanti la pensano diversamente, anche se ciò può richiedere al singolo molti sforzi, pazienza e soprattutto una grande perseveranza. Ciò nonostante non è sufficiente proclamare la verità se nello stesso tempo non si «mette in pratica la parola» (Gc. 1, 23).
In tal modo le parole divengono degne di essere credute e ciò deve essere tutelato nella vita dalla veridicità: «la veridicità nei rapporti tra governanti e governati, la trasparenza nella pubblica amministrazione, l’imparzialità nel servizio della cosa pubblica, il rispetto dei diritti degli avversari politici» (Veritatis splendor, n. 101).
Saldamente ancorato alla verità e sostenuto dall’attenzione per l’altro, il politico cristiano è al servizio della vita quando fa del Vangelo il criterio del proprio operato come Pietro ha raccomandato alla sua comunità: «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza» (1 Pt. 3, 15-16).
Il politico deve superare una particolare prova quando intende contribuire all’edificazione della cultura della vita in quanto si trova esposto alle numerose voci di una democrazia pluralistica, nella quale sono all’ordine del giorno la messa in discussione e l’opposizione. Purtroppo oggi si tende a sostenere che il relativismo scettico e l’agnosticismo costituiscono la filosofia e l’atteggiamento di fondo propri delle forme politiche democratiche.
Tutti coloro che invece ricercano onestamente la conoscenza della verità e a essa si attengono sono considerati dal punto di vista democratico non degni di fiducia perché non vogliono accettare il fatto che la verità sia quella determinata dalla maggioranza.
Certamente è una politica molto lontana dallo spirito cristiano quella di imporre ad altre persone la propria opinione circa ciò che è vero e buono, tuttavia essa osa nello stesso tempo di affermare che, se non esiste alcuna verità ultima, le idee e le convinzioni di diversi individui e gruppi possono essere usate strumentalmente a fini di potere. In un mondo senza verità la libertà perde il suo fondamento. «Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (Centesimus annus, n. 46).
Per questo uno dei compiti più urgenti del politico cristiano è quello di far risuonare il Vangelo della vita «su tutte le strade del mondo» (Christifideles laici, n. 44), in particolare nei mezzi di comunicazione sociale, dei quali non bisogna sottovalutare il potere. Il politico non rappresenta in primo luogo sé stesso, né mette in evidenza la sua persona, ma la verità alla quale si sente obbligato. Come la filosofia classica si attribuiva il compito di far nascere la verità, così il politico cristiano è chiamato a far nascere il Vangelo della vita. Egli passa in secondo piano quando quest’ultimo ha la parola.