Pare che nei corsi per manager i guru della formazione abbiano da qualche tempo iniziato a considerare – e a veicolare – soluzioni in senso lato «cristiane» come «ricette» atte a garantire modi efficienti di organizzazione alle imprese, ai gruppi e, forse in prospettiva, a segmenti sempre più ampi della società umana. Proprio per la loro indole pacifica e per il loro orientamento alla soluzione «indolore» dei problemi e dei conflitti umani, per il clima «disteso» che creerebbero, per la giusta impostazione dei diritti/doveri che darebbero, i valori cristiani, in questa ottica, sarebbero in sostanza un collante sociale tenace e dalla durata lunga e garantita
In questa linea si è recentemente situato un filosofo italiano, Sebastiano Maffettone, già noto per le sue idee non convenzionali in materia di diritti umani. Nel suo ultimo libro egli analizza la grave crisi di significato che affligge il pensiero nell’attuale epoca «post-moderna» e inizia ad intravedere una possibilità di uscita da tale impasse nel ricupero, almeno settoriale e per scopi ben definiti, di alcuni valori già propri della metafisica classica – che è lo studio di quanto sta al di là della realtà sperimentabile con i sensi: in termini «tecnici», dell’essere in quanto essere -, i quali dovrebbero garantire almeno una base di discussione comune, se non delle soluzioni.
Quali sarebbero questi elementi che si possono attingere dall’ampio «paniere» della filosofia che un giorno fu la filosofia tout court?
Innanzitutto si distingue fra «metafisica speculativa», individuale, con implicazioni religiose e sostanzialmente da lasciare alla sfera individuale, e «metafisica pubblica», quella che dovrebbe intervenire in seno al dibattito su temi etici generali particolarmente controversi, come la genetica, l’obiettività delle comunicazioni sociali, l’integrità della condotta d’affari, i limiti del profitto, i diritti umani.
Non si tratterebbe però, si badi bene, di riconoscere valori morali universali e vincolanti per tutti come nella metafisica cristiana, bensì di individuare valori comuni, più o meno stabili, dedotti non tanto dalla struttura dell’essere ma dal consenso umano più o meno esteso. Ciò senza alcuna pretesa d’intaccare il carattere liberale e pluralistico di fondo della società occidentale, ma sobbarcandosi il «rischio» di dare un po’ più di voce alla principale – anche se la meno ascoltata – agenzia di elaborazione e di impiego del pensiero metafisico, privato e pubblico, nonché protagonista per essenza e per storia dell’intervento sui temi sociali: la Chiesa cattolica.
Che dire di questa proposta, di certo originale, almeno dati i tempi?
In primis, si coglie subito il carattere cauto e guardingo dell’apertura, che rivela il desiderio di non contrapporsi oltre misura ai tutori del pensiero «post-moderno» dal cui orizzonte sostanzialmente non intende uscire. Così come l’ingenuità della pretesa di prelevare estemporaneamente «scampoli» di etica metafisica da applicare come suture alle lacerazioni che il pluralismo ideologico crea. Così come, infine, la difficoltà di capire la distinzione fra le due «metafisiche» ipotizzate.
Per altro aspetto essa è la spia che la crisi del pensiero moderno è profonda. Se è vero che la modernità inizia a definirsi infatti, almeno in negativo, proprio dal rigetto scettico – che troverà formulazione compiuta nel sistema kantiano e rilancio nell’epistemologia moderna – di «ogni futura metafisica», riparlare di metafisica da parte di un «moderno» significa ammettere una sconfitta.
E così attraverso questa pur parziale riscoperta si rivela il limite della cosiddetta «post-modernità», incapace di trovare approdi e in grado solo di affermare l’obbligatorietà di rifiutare tutto ciò che – sia esso di tipo «pre-moderno» o «moderno» – si presenti con la pur minima pretesa di verità.
La sortita del filosofo della LUISS – a parte le reminiscenze «maurrassiane», che farà balenare in qualcuno – riecheggia una tendenza e un progetto – lasciando da parte le forme più politicizzate, alla «cristiani per il socialismo» – coltivati già negli scorsi decenni e volti a «cannibalizzare» il patrimonio di esperienza, di valori, di volontariato, d’istituzioni d’ispirazione cristiana – senza sfiorarne nemmeno il livello dottrinale – per risolvere le carenze strutturali delle moderne e pletoriche democrazie «sociali».
È comunque un fatto non privo di rilievo, che va valutato per ciò, come segnale di una crisi senza sbocchi, che va anche letto come un’opportunità di rilancio – le insufficienze della prospettiva emergeranno inevitabilmente nel tempo – della metafisica autentica e integrale.
Occorre capire e spiegare che, se non si ripercorre all’indietro tutto l’itinerario del pensiero moderno – non basta rinnegare il comunismo – fino alla biforcazione in cui ha imboccato la strada del razionalismo e dell’idealismo, abbandonando la filosofia perenne, la cultura contemporanea non potrà uscire dalla crisi che l’affligge.