Avvicinandosi il 2011, si sente sempre più spesso ripetere che il Risorgimento ebbe un carattere massonico. È proprio così?
di Massimo Introvigne
Una sua presenza regolare e organizzata in Italia si ritrova solo dall’ottobre 1859, quando a Torino è fondata in ambienti governativi la loggia Ausonia, primo nucleo del futuro Grande Oriente d’Italia. Il contributo della massoneria italiana in quanto corpo formalmente costituito all’unità d’Italia sembrerebbe dunque essere stato in realtà tardivo e modesto.
Eppure pochi anni dopo, a partire dal 1861, i massoni e la massoneria avranno un ruolo preponderante nella vita politica e culturale dell’Italia, dando forma, per limitarsi a un solo ma non secondario esempio, alla scuola pubblica con una sequenza di ministri massoni che comprende Francesco De Sanctis (1817-1883), Michele Coppino (1822-1901) e Guido Baccelli (1830-1916). Questa egemonia massonica sarà a tratti soffocante, e finirà soltanto con il fascismo.
Com’è stato possibile, nel giro di pochi anni, alla massoneria italiana diventare, da presenza apparentemente marginale, forza politicamente e culturalmente egemonica? Troviamo gli elementi per una risposta in un libro che prende posto fra i più importanti che preparano l’anniversario del 2011, Il mito di Garibaldi. Una religione civile per una nuova Italia (Sugarco), dello storico e consigliere parlamentare presso il Senato Francesco Pappalardo.
Non solo la biografia di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) aiuta a rispondere alla domanda: il mito stesso di Garibaldi è stato uno dei principali strumenti attraverso cui l’egemonia massonica si è affermata. In epoca napoleonica c’erano in Italia almeno ventimila massoni. Sciolte le logge con la caduta di Napoleone, dove finiscono tutti questi massoni?
In parte prendono la via dell’esilio, andando a costituire un’agguerrita presenza di massoni italiani all’estero. Per la parte maggiore entrano, come si dice in termini massonici, in sonno, ma vanno a costituire l’ossatura di un complesso e non unitario sistema di società segrete non formalmente massoniche e, più in generale, di una mentalità che continua a dare il tono a una parte delle élite culturali della penisola, una vera e propria massoneria senza logge.
Garibaldi, con la sua vita nomade e avventurosa, entra in contatto con le reti propriamente massoniche di italiani all’estero e con diverse massonerie straniere. Anche queste sono divise tra loro: ma la corrente razionalista e irreligiosa francese e quella protestante inglese, quando s’interessano alle cose italiane, sono unite da una viva avversione nei confronti della Chiesa Cattolica e del “papismo”, che diventa una vera ossessione anche per il giovane Garibaldi.
Nello stesso tempo, Garibaldi stabilisce rapporti con molte delle società segrete che mantengono viva nella penisola, se non la massoneria in senso stretto, una certa mentalità e cultura massonica. Le gesta di Garibaldi in Sudamerica sono forse sopravvalutate, ma sia lo stesso rivoluzionario nizzardo – con un genio della propaganda che gli va riconosciuto – sia Mazzini e le società segrete fanno di tutto perché la sua immagine corrisponda a quella degli eroi dei romanzi popolari tanto importanti all’epoca.
Da una parte, Garibaldi rimane incomprensibile senza il rapporto con le massonerie all’estero e le società segrete para-massoniche in Italia. Dall’altra, il nascente mito di Garibaldi offre a questa congerie di società un potente elemento simbolico unificante e, in certi ambienti, effettivamente popolare. E sarà proprio attorno e grazie al mito di Garibaldi – e anche alla sua persona, gran maestro di entrambe le principali obbedienze massoniche italiane e dal 1867 gran maestro onorario a vita del Grande Oriente, con cui pure avrà qualche divergenza – che la massoneria, che ne sarà insieme promotrice, beneficiaria e gelosa custode, riuscirà a imporre in pochi anni la sua egemonia nella nuova Italia.
L’opera di Pappalardo si chiede anche che cosa ci sia dietro il mito di Garibaldi in termini non solo politici ma specificamente massonici e religiosi. Qui nasce, in effetti, un problema per la stessa massoneria. Al mito di Garibaldi non si può rinunciare, ma il suo pensiero è confuso e modesto. Un insospettabile difensore del Risorgimento come Giovanni Spadolini (1925-1994) ha scritto di Garibaldi che «il fascino del liberatore non permetterà di scorgere la mediocrità del suo pensiero, la vacuità della sua dottrina, l’inconsistenza della sua fede».
Tutte le posizioni in tema di religione che circolano nelle logge massoniche trovano almeno un testo di Garibaldi che va nella loro direzione: l’ateismo, lo spiritismo, il deismo, un vago cristianesimo liberale. L’unico elemento unificante è l’odio furibondo e a tratti persino patologico per la Chiesa Cattolica: morendo, Garibaldi si preoccupa soprattutto che sia rispettata la sua volontà di «non accettare in nessun tempo il ministero odioso, disprezzevole e scellerato del prete, che considero atroce nemico del genere umano».
Come ricorda il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano nella Presentazione, il volume di Pappalardo è prezioso perché aiuta a distinguere fra il programma dell’unità d’Italia – che era coltivato anche da persone e ambienti lontanissimi dalla massoneria – e la modalità con cui l’unità fu realizzata prima e dopo il 1861, spesso in effetti secondo programmi massonici che trovarono in Garibaldi il loro simbolo.
Questi, nel fare l’Italia erano soprattutto interessati a rifare o a disfare gli italiani, strappandoli alla fede cattolica per inseguire il mito di una nuova nazione, laicista e relativista, non ritrovata nella storia e nella vita reale della penisola ma costruita a tavolino nelle logge.
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Francesco Pappalardo Il mito di Garibaldi. Una religione civile per una nuova Italia Ed Sugarco