Il principe Caspian» secondo episodio cinematografico della saga di Lewis
di Gaetano Vallini
Non delude le attese la seconda puntata cinematografica de Le cronache di Narnia, la saga fantasy scaturita dalla penna di Clive Staples Lewis e portata sul grande schermo dalla Disney.
L’episodio Il principe Caspian – che uscirà nelle sale italiane il 14 agosto e che sarà presentato in anteprima al Fiuggi family festival il 28 luglio – ripropone, ampliandole in una dimensione decisamente più epica, le caratteristiche narrative che hanno fatto apprezzare il precedente Il leone, la strega e l’armadio, vincitore di un Oscar. Insomma, un kolossal in piena regola, che regala un po’ di verve a una stagione avara di titoli di rilievo.
Grazie a un ritmo più serrato e soprattutto a un più accentuato ricorso ai sofisticati effetti di animazione digitale, il regista Andrew Adamson – lo stesso del primo episodio – confeziona un prodotto che sarà apprezzato dai fan di Narnia.
Tuttavia non saremo sui numeri di analoghe produzioni, perché il richiamo dei maghetti ha più presa su un pubblico di giovanissimi e alcune saghe, come Il signore degli anelli, possono contare su una comunità di lettori e appassionati ben più ampia e radicata. E proprio tra gli appassionati lettori di Lewis forse alcuni storceranno un po’ il naso, visto che le libertà rispetto al testo sono numerose e a volte significative.
Ma è il prezzo che si è costretti a pagare nelle trasposizioni cinematografiche, anche se in questo caso il risultato di compromesso appare comunque accettabile.
Negli Stati Uniti l’uscita del film non ha riproposto gli stessi commenti che hanno accompagnato il primo capitolo, quando Lewis venne di fatto assoldato tra le file dei cosiddetti neocon, divenendo l’alfiere di una campagna religiosa per teen-ager.
Ma al di là di disquisizioni ideologizzate condite con letture semplicistiche e fuorvianti, anche questo lavoro ripropone, seppure in maniera meno forte, i temi cari a Lewis, che definiva se stesso il “convertito più riluttante di tutta l’Inghilterra”.
Lo scrittore – vissuto in gran parte in Inghilterra, ma irlandese di Belfast e di famiglia protestante visceralmente anticattolica – lasciò il protestantesimo per abbandonarsi all’ateismo prima di abbracciare la religione cristiana, optando per l’anglicanesimo.
Una scelta chiara e definitiva: “Viviamo in un territorio occupato dal nemico: ecco cos’è questo mondo. Il cristianesimo è la storia di come il re legittimo è sbarcato – sbarcato potremmo dire in incognito – e ci chiama tutti a partecipare a una grande campagna di sabotaggio”.
Nel mondo di Narnia – abitato da centauri, fauni, minotauri, giganti, nani, animali parlanti e alberi semoventi, le cui caratterizzazioni spesso sono lo specchio di virtù e vizi fin troppo umani – questo concetto è esplicitato da un marcato simbolismo cristiano, in un racconto ricco di allegorie e metafore evangeliche.
Al pari di Tolkien – inglese dalla profonda fede cattolica, la cui amicizia influì molto sulla sua conversione – Lewis attinse dagli antichi miti e dai grandi classici della narrativa fantastica per esaltare i temi della trascendenza.
Egli era convinto dell’esistenza di un legame tra il linguaggio simbolico caratteristico della letteratura di genere e lo sguardo concreto della fede sulla storia. Nei suoi lavori emerge la nostalgia del paradiso perduto, la molla che spinge l’uomo a riconquistarlo e a ricercare nuovamente, con coraggio e fiducia, la Verità.
Questa ricerca è un’intrigante chiave di lettura de Le cronache di Narnia, un mondo in cui il bene è bene e il male è male, senza possibilità di compromessi.
Una distinzione forse fin troppo manichea, ma che deriva da una visione del cristianesimo che non ammette sconti: “Cristo non ha mai fatto discorsi vaghi, idealistici. Quando dice “siate perfetti” dice sul serio”. Allo stesso modo anche i suoi personaggi devono fare una scelta definitiva.
La stessa che è chiamato a compiere il giovane principe Caspian, legittimo erede al trono di Narnia, del quale anche nel film si apprezza, sia pure in modo meno marcato che nell’opera letteraria, il tormentato itinerario interiore: per questo la sua è una storia che parla anche della perdita dell’innocenza.
La trama del film è incentrata sulla sua figura. Ma insieme con lui riprendono vita i quattro fratelli Pevensie, Peter, Edmund, Susan e Lucy, che nel precedente capitolo erano stati proiettati a Narnia, divenendone i sovrani. Ancora una volta sono magicamente trasportati in quel mondo.
Non c’è più l’armadio, la strega bianca è morta, Aslan – il re leone – è scomparso da milletrecento anni, anche se per loro sono trascorsi appena dodici mesi. A Narnia l’età dell’oro è finita: scoprono un mondo completamente diverso, che riserva loro una nuova avventura, in cui la loro fiducia e il loro coraggio vengono messi duramente alla prova.
C’è un altro nemico da affrontare, gli uomini di Telmar, guidati dal perfido Miraz, zio di Caspian, che occupa illegittimamente il trono che appartiene a quest’ultimo. A Caspian si affidano gli abitanti di Narnia, costretti da secoli all’oblio, affinché ritornino pace e serenità e si costruiscano rapporti fraterni con i figli di Adamo e di Eva.
I quattro sovrani giunti dal passato gli daranno una mano e lo stesso Aslan, nel primo episodio raggiante metafora di Cristo, tornerà a schierarsi con le forze del bene (con una voce più appropriata dopo quella insostenibile del pur bravo Omar Sharif).
Più matura – del resto sono cresciuti – la prova dei quattro giovani attori che impersonano i fratelli Pevensie: Skandar Keynes (Edmund), William Moseley (Peter), Anna Popplewell (Susan) e Georgie Henley (Lucy), sicuramente la più efficace nel rendere l’indole del personaggio, chiamata a incarnare la bambina costretta ad affrontare lo scetticismo degli altri, ma alla quale si svelano per primi i misteri di Narnia.
Tuttavia la vera star del film è Ben Barnes, nei panni di un principe Caspian piuttosto impacciato, colpa di una sceneggiatura che non gli rende del tutto giustizia. Infine Sergio Castellitto, che dà vita a un Miraz sufficientemente odioso e credibile.
Contro di lui, personificazione del male che travolge quel mondo, il sovrano Peter incita alla battaglia: una battaglia che va combattuta senza paura, con la speranza di riconquistare quella sorta di giardino dell’Eden, dove ristabilire un regno di amore e di fratellanza.
Il metatesto cristiano in questa pellicola appare meno evidente, lasciando spazio alla fascinazione di un mondo medievaleggiante, con il suo codice cavalleresco. La stessa figura di Aslan, centrale nel primo episodio, appare meno significativa pur mantenendo il suo alone di sacralità.
Così con un’ambientazione che non disdegna stavolta tonalità più cupe e in un rincorrersi di misurate citazioni cinematografiche – da Guerre stellari per i personaggi a Il signore degli anelli per gli scontri armati che tuttavia non riescono a raggiungere lo stesso coinvolgimento nonostante le intenzioni – i centoquarantacinque minuti di proiezione scorrono via piacevolmente, lasciando comunque significativi messaggi: il valore del sacrificio e della lealtà, il senso dell’amicizia, la potenza del perdono, il significato della misericordia.
Ma la parola fine chiude solo un capitolo, perché la Disney ha già avviato la realizzazione del terzo episodio, Il viaggio del veliero. Il regista stavolta sarà diverso, ma si tornerà in quella terra “governata da una più grande magia, che distingue il bene dal male e determina il nostro destino”.
(A.C. Valdera)