L’ateismo perde colpi: la Cina «scopre» la fede
Un sondaggio rivela che sono almeno 300 milioni i cinesi aderenti a qualche religione. E ben il 34,5 per cento della popolazione sopra i 16 anni si definisce «credente». Il cristianesimo in forte ascesa: ora i fedeli sono 40 milioni. Fra questi membri del Partito comunista
di Bernardo Cervellera
Tong Shijun e Liu Zhongyu, i due professori, hanno svolto la ricerca su 4500 persone, rivelando che il 31,4% della popolazione sopra i 16 anni si definisce credente. Da anni gli esperti della Cina parlano di una rinascita religiosa, sebbene il governo abbia sempre favorito l’ateismo. Il sondaggio mostra che le religioni più diffuse sono quelle tradizionali: circa 200 milioni di cinesi sono «buddisti, taoisti, oppure seguaci di religioni ancestrali». Ma la religione cresciuta di più è il cristianesimo: il 12% degli intervistati, e cioè 40 milioni di persone, si sono dichiarati cristiani.
Nel 2005, Pechino aveva stimato i cristiani a 16 milioni, mentre alla fine degli anni ’90 – sempre secondo dati governativi – essi erano poco più di 10 milioni. Il punto è che Pechino nei suoi calcoli, ha sempre considerato solo i membri delle religioni ufficiali. È probabile invece che il sondaggio abbia preso in considerazione solo il credere, includendo di fatto sia membri delle comunità ufficiali che sotterranee.
Questo dimostra che la maggior parte dei cinesi credenti vive la fede superando le strettoie e i veti della polizia e delle Associazioni patriottiche. Del resto, fra coloro che frequentano le comunità sotterranee vi sono proprio i membri del Partito comunista cinese (Pcc) che si convertono. Secondo un documento segreto del Pcc, almeno un terzo (circa 20 milioni) dei membri del Partito hanno aderito a una qualche fede religiosa.
Il Pcc, correndo ai ripari, ha proibito loro di manifestare in pubblico la loro fede e così essi militano nelle comunità sotterranee. II sondaggio getta luce anche sui motivi del risveglio religioso. Il 24,1 % degli intervistati ha risposto che la religione «mostra la vera direzione della vita»; per il 28% essa» aiuta a curare la malattia, evitare disastri ed assicurarsi una vita migliore».
Quest’ultima motivazione è molto forte fra i poveri e fra i contadini, dove l’impegno dello Stato per la sanità è assente. E infatti, secondo il professor Liu, le zone rurali sono al centro del fenomeno di rinascita religiosa. Egli fa notare però che alla fine, «non è la povertà la molla che spinge i nuovi credenti, dato che la maggior parte di loro proviene dalle regioni costiere, ricche e sviluppate».
Secondo fonti di AsiaNews, l’incremento più significativo del cristianesimo (circa il 10% all’anno) avviene proprio nelle città. Esso interessa intellettuali, professori universitari, studenti, professionisti. Questi sono spinti alla fede cristiana dal visibile fallimento del marxismo in Cina, dal vuoto del consumismo e dalla ragionevolezza del cristianesimo, religione storica capace di affrontare la modernità e la scienza, diversa dalle religioni tradizionali, che si fondano su racconti mitici e spesso risibili agli occhi della scienza moderna.
L’inchiesta mostra che sono soprattutto i giovani a credere: circa i due terzo degli intervistati rientra fra i 16 ed i 35 anni di età; solo il 9,6% ha 55 anni o più. Inoltre, secondo Liu, alla fine degli anni ’90 il numero dei credenti di mezza età è cresciuto in modo enorme: «Essi – dice – erano atei negli anni ’50, ma diventando vecchi si sono rivolti a qualche religione».
La scoperta di una Cina religiosa anche al di fuori dei canali ufficiali, segna il fallimento della politica del Pcc – da Mao in poi – che ha sempre lavorato per lo sradicamento delle religioni. Essa potrebbe essere la base per una maggiore libertà di religione. Ma nel governo vi sono ancora frange staliniste che potrebbero usare il sondaggio per rendere più accurata la persecuzione.