Ai cristiani del tempo la “pax romana” appariva come un dono del Cielo: la terra e i mari erano sicuri, le città tranquille e prospere e si poteva passare dall’Oriente all’Occidente senza mai uscire dai “limes imperiali”
di Roberto Cavallo
Queste primordiali comunità si trovavano sparse dapprima nelle città costiere del Mediterraneo e, dopo pochi anni, già all’internodi vasti territori continentali. Tra la fine del primo e l’inizio del secondo secolo erano ormai fiorenti le comunità di Cartagine ed Alessandria in Africa; di Antiochia in Siria; di Smirne ed Efeso (dove, pare, la Madonna terminò la sua vita terrena) in Turchia; di Edessa nell’odierno Iraq; di Corinto e Salonicco in Grecia. Alcune di queste comunità si distinsero per l’abbondante produzione letteraria. Ma anche in Francia e in Germania i gruppi cristiani erano ben consolidati ed organizzati.
Secondo padre Hamman in Iraq si sarebbe avuta la prima famiglia regnate ufficialmente cristiana: quella del re Abgar IX (179-214), contemporaneo di Settimio Severo, che si convertì al cristianesimo e regnò a Osroene, piccolo Stato la cui capitale era Edessa.
Questo rapido estendersi del messaggio evangelico si poté verificare grazie alla “pax romana”. Non solo autori pagani ma pure cristiani tessono le lodi del sistema imperiale. Padre Hamman riporta le parole di Sant’Ireneo, vescovo di Lione ma originario del Medio Oriente: “La presenza di Roma ha dato l’unità al mondo.
Tutti gli uomini devono riconoscere i servigi che essa ha reso all’umanità facilitando le loro relazioni e permettendo loro di godere in comune dei vantaggi della pace”. Ai cristiani del tempo la “pax romana” appariva come un dono del Cielo: la terra e i mari erano sicuri, le città tranquille e prospere e si poteva passare dall’Oriente all’Occidente, dal Reno all’Eufrate e al Tigri senza mai uscire dai “limes” imperiali.
In questo senso, dunque, la nascita e la diffusione del cristianesimo avviene davvero “nella pienezza dei tempi”, come si legge nelle lettere agli Efesini e in quella agli Ebrei di S. Paolo. In tale “pienezza dei tempi” ha un suo posto anche il sistema imperiale romano, nei cui confronti si registra, come visto, il giudizio positivo dei cristiani del tempo. Questo veniva meno, ovviamente, soltanto quando Roma indulgeva a deviazioni e tentazioni di tipo orientaleggiante, e prime fra tutte quelle che pretendevano il culto dell’imperatore. Ma anche in tali circostanze i cristiani rispettavano il ruolo politico dell’impero.
Scrive in proposito Marta Sordi: “Le persecuzioni avvennero realmente, e i martiri furono numerosi, ma lo scontro non fu quasi mai a livello politico; né da parte dei cristiani, che continuarono per lo più ad affermare, anche a durante le persecuzioni, il loro lealismo verso lo stato romano e a proclamarsi buoni cittadini di tale stato; né da parte dell’impero, che non avvertì quasi mai nei cristiani un pericolo per la sua sicurezza e che si ridusse spesso ad essere il braccio secolare del fanatismo religioso delle folle e di una cultura intollerante” (“I cristiani e l’impero romano”, Jaca Book, Milano 1984, pag.10).
Il cristianesimo, comunque, non solo attinse dall’ordine imposto da Roma al mondo, ma ben presto fu in grado di offrire a sua volta il proprio contributo a sempre più frequenti ed intensi scambi culturali fra Oriente ed Occidente. Nella straordinaria rete di comunicazioni religiose, letterarie e artistiche che univano le comunità cristiane site sulle diverse sponde del Mediterraneo, venne, gradualmente, a costituirsi il nuovo primato di Roma, dove gli Apostoli Pietro e Paolo avevano trovato la morte.
Anche le Chiese orientali più lontane, infatti, si rivolgevano ai fratelli di Roma con straordinaria deferenza, tanto che ben presto si affermò una stretta relazione fra “cattolico” (che vuol dire universale) e “romano”. Si ponevano così lentamente le basi, con caratteristiche non necessariamente antitetiche, di quello che qualche secolo dopo sarebbe stato il nuovo impero: sacro e romano.