La Croce quotidiano 23 dicembre 2017
Siccome arriva proprio nell’ultimo giorno di lavoro della Camera dei deputati e della carriera politica della presidente Rosy Bindi dovrebbero lasciare molto a riflettere gli spunti e gli «incroci tra Cosa nostra e logge» denunciati ieri dalla Commissione parlamentare Antimafia. «Una relazione choc», l’ha definita il palermitano Riccardo Nuti, membro M5S della medesima commissione
di Giuseppe Brienza
Ultimo giorno di lavoro alla Camera dei deputati e ultimo giorno di carriera politica. Chissà perché l’On. Rosy Bindi ha scelto proprio il 22 dicembre per licenziare la relazione della Commissione parlamentare Antimafia da lei presieduta sullo scottante tema dei rapporti cosche/massoneria. Una «relazione shock» l’ha giustamente definita il palermitano Riccardo Nuti, membro pentastellato della stessa commissione e tra i pochissimi deputati M5s ad avere avuto un lavoro prima di entrare rocambolescamente nella XVII legislatura (è perito tecnico informatico).
«Il lavoro di indagine che abbiamo svolto in commissione Antimafia – ha dichiarato Nuti – e che ha portato alla relazione su “Mafia e massoneria” ha fatto emergere qualcosa di impressionante: non solo si può, ma si deve parlare di mafia e massoneria di Stato, contro cui bisogna agire immediatamente». Giustissimo, anche se la formula “massoneria di Stato” è una contraddizione in termini, oltre che una imprecisione. Infatti, come documentano gli atti parlamentari, dei circa 17 mila iscritti alle quattro “obbedienze” presenti in Italia la gran parte di massoni appartiene al mondo delle professioni (medici, avvocati, ingegneri, commercialisti).
Dal dossier prodotto dalla Commissione Bindi, che proprio perché agli sgoccioli della sua carriera politica – ulteriore esempio di impossibilità del “connubio” tra cattolici e sinistre – ha probabilmente avuto più libertà nel dire e nel documentare quanto più possibile che se fosse ancora inquadrata in un partito come il Pd, emerge che dal 1990 a fine 2016 tra gli affiliati alle logge massoniche di Sicilia e Calabria ci sono stati ben 193 soggetti, tutti indicati dalla DnAA (Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo), con precedenti penali per fatti di mafia. In questi elenchi risultano iscritti alla massoneria molti professionisti ma anche persone che “lavorano” dentro i tribunali, le Forze dell’ordine e le Forze armate.
In particolare, nella relazione presentata ieri a Roma si evidenzia il caso di un magistrato onorario che, nel 2010, aveva denunciato solo in ambito massonico di aver subito pressioni ad opera di due confratelli perché si adoperasse per intervenire sul giudice monocratico del tribunale di Locri al fine di ottenere, in favore dei figli di uno dei due sottoposto a procedimento penale per ricettazione, la derubricazione del reato. Nel 2012 il magistrato fu ulteriormente sollecitato da un altro dei suoi fratelli di loggia, affinché intervenisse presso i magistrati della procura distrettuale di Reggio Calabria per perorare la causa di un terzo massone, già consigliere della Regione Calabria, avendo questi saputo che, nell’ambito di una indagine antimafia coperta da segreto, si stava vagliando la sua posizione.
C’è un particolare poi che non deve assolutamente sfuggire dalla relazione Bindi e che è indicatore inquietante della questione: dei 193 iscritti, la gran parte sono persone con alle spalle sentenze archiviate o assoluzioni. Di due l’una: o le varie procure hanno preso un abbaglio con questi soggetti oppure, cosa ben più probabile, la loggia di appartenenza è riuscita ad “indirizzare” le sentenze di alcuni dei rispettivi giudici.
«Ora tutti cercheranno di nascondere queste conclusioni sotto il tappeto – ha sottolineato l’On. Nuti – troppo scomode a fine legislatura e con la campagna elettorale alle porte. In un Paese normale ci dovremmo fermare tutti e dire: ora, ci occupiamo solo di questo, con norme chiare che obbligano queste associazioni ad avere elenchi pubblici, consegnati in prefettura; bisogna poter controllare chi c’è lì dentro: questa gente non può aver nulla a che fare con l’amministrazione pubblica». Anche su questo sottoscriviamo in pieno quanto dichiarato dal deputato pentastellato.
«Cosa Nostra siciliana e la ‘ndrangheta calabrese da tempo immemorabile e costantemente fino ai nostri giorni nutrono e coltivano un accentuato interesse nei confronti della massoneria», scrive ancora la Commissione Antimafia. «Da parte delle associazioni massoniche si è registrata una sorta di arrendevolezza nei confronti della mafia. Sono i casi, certamente i più ricorrenti, in cui si riscontra una forma di mera tolleranza che si rivelano i più preoccupanti», aggiunge la relazione utilizzando una parola assai ambigua (e probabilmente forzata da qualcuno) come «arrendevolezza». Se c’è un persistente «interesse delle associazioni mafiose verso la massoneria fino a lasciare ritenere a taluno che le due entità siano divenute una cosa sola», afferma l’Antimafia, non sarebbe stata più veritiera una parola come “sinergia” fra massoneria e mafia?
Oltretutto, scrivono nella relazione i parlamentari, «non è stato possibile venire in possesso degli elenchi effettivi degli iscritti perché presso le sedi ufficiali forse neanche ci sono» o, comunque, «non consentono di conoscere un’alta percentuale di iscritti, occulti grazie a generalità incomplete, inconsistenti o generiche». Come spesso capita, allora, dobbiamo dire che “volano gli stracci”? A quando un intervento deciso e a 360 gradi delle Istituzioni nei confronti delle logge?
Una proposta che si legge nella relazione e che ci trova ulteriormente d’accordo, poi, è quella di «modernizzare la legge Spadolini-Anselmi», chiarendo che le associazioni segrete, come aggiunge l’Antimafia, «anche quando perseguono fini leciti, sono vietate in quanto tali perché pericolose per la realizzazione dei principi di democrazia». Anche se diremmo che, piuttosto, questi fini sono pericolosi per l’attuazione della giustizia e del bene comune, condividiamo quanto conclude la Commissione sul punto e, cioè, che «una norma del genere attuerebbe, finalmente, la volontà dei costituenti finora rimasta ignorata anche dalla legge Spadolini-Anselmi».
In effetti, anche se la Commissione Antimafia enfatizza in diversi passaggi della relazione la segretezza che permea il mondo massonico (e quello mafioso), il punto non è solo i “modi” ma le “finalità” che le massonerie perseguono. Non è solo il segreto che costituisce pericolo, ma proprio l’azione deviata di organizzazioni strutturate contro e “in alternativa” alla comunità politica. Non è solo questo «senso di riservatezza a dir poco esasperato» a far problema, come scrivono i parlamentari, ma l’inquinamento tout court della vita dello Stato.
Non a caso l’azione massonica viene altrove qualificata nella relazione come «suggellata da una sorta di supremazia riconosciuta alle leggi massoniche rispetto a quelle dello Stato». Non è niente di nuovo, per carità, ma è importante che se ne parli nuovamente dopo quasi quarant’anni dalle risultanze della Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2 (detta comunemente “Commissione P2”) e lo sgretolamento delle sovranità politica ed economica nazionale che si è avuto nel frattempo.
Per concludere, segnaliamo un ulteriore e interessante passaggio della relazione Bindi su una delle logge che, persino nei media, è trattato con indulgenza se non malcelato vezzeggiamento. Parliamo di una delle quattro “obbedienze” citate, vale a dire il Goi, il “Grande oriente d’Italia”, il cui “giuramento” mette in qualche modo “sotto tutela” la Costituzione repubblicana, come afferma la Commissione, «quasi si riservi un giudizio di legittimità costituzionale massonico sulle leggi che dunque non sono da rispettare sic et simpliciter ma solo se da essi ritenute conformi al dettato costituzionale».
Una frase che, a fronte dei tanti disastri e danni di questa XVII legislatura, meriterebbe senz’altro di essere messa fra i suoi meriti. E colta per un’azione politica e legislativa insieme che, fra le altre, annienti una volta per tutte quella che appare la più odiosa delle “tare” della nostra democrazia.