La Verità giovedi 20 febbraio 2025
Dagli Usa è partita una rivoluzione contro la democrazia che si fa totalitaria.
La riedizione del saggio di Talmon riconduce al Terrore francese l’origine della democrazia. Il woke di oggi ne è la conseguenza.
di Francesco Borgonovo
Da quando Donald Trump è ritornato alla Casa Bianca e – assieme a J.D. Vance e Elon Musk – ha lanciato una potente offensiva contro la cosiddetta cultura woke quasi quotidianamente dal versante liberal-progressista giungono dichiarazioni allarmate. Fior di intellettuali e commentatori politici si affannano a ripetere che il trumpismo costituisce un «pericolo per la democrazia».
Già così è piuttosto evidente il paradosso: come può una amministrazione democraticamente eletta costituire un pericolo per la democrazia, soprattutto nel momento in cui si oppone al controllo del linguaggio, alle limitazioni della libertà di opinione e alle censure imposte dal politicamente corretto?
Tutto si spiega se si comprende quale idea di democrazia esprimano (non da oggi) i liberal di entrambi i versanti dell’Oceano. E per comprenderlo è fondamentale la lettura di un testo pubblicato nel 1967 da Jacob L. Talmon, storico dell’Università di Gerusalemme nato in Polonia nel 1916 e morto in Israele nel 1980. Si intitola Le origini della democrazia totalitaria e da troppo tempo mancava dagli scaffali delle librerie italiane. Torna ora, con una presentazione di Carlo Galli, grazie a il Mulino che ne pubblicò un’edizione un quarto di secolo fa.
Talmon esplicita alcune cristalline verità. Prima di tutto, come nota Galli, egli «riconosce che il totalitarismo ha la propria origine all’interno della ragione occidentale, benché oggi sia separato e ostile rispetto alla civiltà occidentale». Per Talmon, «il totalitarismo è terrorismo scaturito da una volontà di bene: discriminazione e esclusione generate dalla ricerca dell’uguaglianza».
Esiste dunque una democrazia totalitaria la quale si basa, spiega Talmon, «sull’asserzione di una sola e assoluta verità politica. Esso può essere definito messianismo politico in quanto postula un insieme di cose preordinato, armonioso e perfetto, verso il quale gli uomini sono irresistibilmente spinti e al quale devono necessariamente giungere, e riconosce infime un solo piano di esistenza, la politica.
Tale orientamento estende l’ambito della politica sino ad abbracciare l’intera sfera dell’esistenza umana; considera tutti i pensieri e le azioni umane dotati di significato sociale, e quindi inclusi nell’orbita delle azioni politiche. Le sue opinioni politiche non sono un insieme di precetti dogmatici o un corpo di espedienti applicabili a un particolare ramo dell’attività umana. Esse sono parte integrale di una filosofia onnicomprensiva e coerente. La politica viene definita come l’arte di applicare questa filosofia all’organizzazione della società e il fine ultimo della politica si raggiunge solo quando tale filosofia regna».
La nascita di questo messianismo politico -seguendo gli studi di autori come Gershom Scholem, Norman Cohn e Erie Voegelin– si può far risalire ai movimenti ereticali del medioevo, ma probabilmente si può risalire ancora più indietro fino alle sette gnostiche del IV e V secolo dopo Cristo.
Talmon, tuttavia, si sofferma su un particolare e determinante momento storico ovvero la Rivoluzione francese. Secondo lo studioso ebreo, «il mutamento più importante che si verificò nel Diciottesimo secolo fu la peculiare disposizione d’animo che dominò incontrastata nella seconda metà del secolo. Gli uomini furono attratti dall’idea secondo cui le condizioni, frutto di fede, di tempo e di consuetudini, nelle quali essi e i loro antenati erano vissuti, erano innaturali e dovevano essere completamente sostituite da ideali uniformi progettati deliberatamente.
Questo fu il risultato del declino dell’ordinamento tradizionale in Europa: la religione perse il suo ascendente sia intellettuale che emotivo; il feudalismo gerarchico si disgregò all’urto con fattori sociali ed economici; e l’antica concezione della società fondata sullo status fu sostituita dall’idea dell’uomo astratto e individuale. Il razionalismo sostituì alla tradizione il principio dell’utilità sociale come criterio fondamentale su cui si basano le istituzioni e i valori sociali. Esso propose anche una forma di determinismo sociale, al quale gli uomini sono irresistibilmente spinti e che essi un giorno dovranno accettare, postulando cosi un unico sistema valido, che entrasse nell’esistenza quando tutto ciò che non trovava giustificazione nella ragione e nell’utilità fosse stato eliminato.
Tale idea doveva ovviamente scontrarsi con l’inveterata irrazionalità delle abitudini dell’uomo, con le sue attrazioni e simpatie».
In buona sostanza, la Rivoluzione francese e le sue più estreme conseguenze hanno spezzato l’ordine tradizionale. Venuta a mancare la religione, occorreva trovare – anzi creare – una nuova fede. «Il declino dell’autorità religiosa non solo implicò, la liberazione della coscienza dell’uomo, ma comportò anche altre conseguenze», scrive Talmon. «L’etica religiosa dovette essere prontamente sostituita dalla moralità sociale e laica; con la nega-zione della Chiesa, e della giustizia trascendentale, lo stato rimase l’unica fonte e garanzia di moralità. Fu questo un mutamento di grande importanza, in un’epoca in cui la politica era considerata inscindibile dall’etica».
Il risultato fu appunto la produzione di una sorta di paradiso artificiale a cui i nuovi messia avrebbero condotto le masse ignoranti, a patto che esse rispettassero i comandamenti del nuovo culto politico. In questo quadro il dissenso non è e non può essere ammesso. L’umanità deve per forza essere informata: «E proprio delle dottrine che postulano ideali universali e astratti di essere schematiche e senza luce. Esse mancano del calore, della limpidezza e della ricchezza che si devono reperire nei tessuti di uomini viventi e delle nazioni».
Non può non derivarne una feroce limitazione della libertà: «La promessa di uno stato di libertà perfettamente armonioso che verrà dopo la vittoria totale della dittatura rivoluzionaria provvisoria rappresenta una contraddizione in termini. […I L’implicazione fondamentale della democrazia totalitaria, secondo cui la libertà non può essere concessa finché c’è da temere un’opposizione, rende la libertà promessa priva di significato.
La libertà sarà accordata quando non ci sarà più nessuno a opporsi o a dissentire: in altre parole quando non servirà più. La libertà non ha senso senza il diritto di opporsi e la possibilità di dissentire. L’errore o l’illusione democratico-totalitaria su questo punto consiste nella reductio ad absurdum dell’uomo del secolo; un’idea falsa nata dalla convinzione irrazionale che gli elementi irrazionali della natura umana e anche le diverse esperienze di vita costituiscono un cattivo accidente, uno sfortunato residuo, un’aberrazione temporanea, che cesseranno per dar luogo -a suo tempo e sotto influenze salutari- a un comportamento uniformemente razionale in una società integrata».
La verità è che «il regno della dottrina esclusiva e tuttavia omni-risolutiva della democrazia totalitaria si oppone agli insegnamenti della natura e della storia. La natura e la storia mostrano la civiltà come l’evoluzione di una molteplicità di gruppi dovuti all’esistenza sociale e a tentativi sociali comuni formati storicamente e pragmaticamente, e non come la realizzazione dell’uomo astratto su un unico piano di esistenza».
Purtroppo, il messianismo politico esercita una fortissima attrazione che risiede non tanto «nella sua promessa di sicurezza sociale, ma nel fatto che esso è diventato una religione che risponde a bisogni spirituali profondamente ancorati». La dimostrazione è la facilita con cui, negli ultimi decenni, è andata imponendosi la democrazia totalitaria, che di recente ha assunto la forma del wokismo: è esattamente questo tipo di democrazia quello che i nostri progressisti difendono strenuamente.
Ora è possibile smantellarlo, possibilmente evitando la tentazione di riprodurne uno analogo di segno opposto.
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