Articolo publicato su Libero settimanale
il 21 agosto 2000
Il filosofo Josè Ortega y Gasset è stato uno dei più lucidi testimoni della modernità. Ma ha avuto il torto, agli occhi dell’intellighenzia di mettere in discussione l’autore del «Contratto sociale», considerato l’intoccabile fondatore del moderno ordine politico. Ha pagato questo affronto con l’emarginazione culturale
di Rino Cammileri
Il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset (1883-1955) è stato una delle intelligenze più acute del nostro tempo, ma proprio la stia lucidità senza peli sulla lingua è sempre stata tenuta in poco conto dall’intellettualità dominante. Lo si è emarginato come «in odore di destra», perché non ha salvato nessuno dei miti su cui si fonda il mondo moderno e contemporaneo.
Frase inquietante
In una conferenza tenuta a Berlino nel 1949, il filosofo ebbe modo di esporre una sua «meditazione sull’Europa» (è con tale titolo che è stata ripresa da Luciano Pellicani in una collina da lui diretta per la Seam), di cui il Corriere della Sera ha pubblicato uno stralcio nel luglio scorso. In detta conferenza c’è una frase agghiacciante, che da sola basta a spiegare la sorte dell’Ortega y Gassetpensiero fino ai nostri giorni. Eccola: «Uno dei più gravi errori del pensiero “moderno” è stato di confondere la società con l’associazione, che è approssimativamente il contrario di quella».
Questa frase demolisce il pilastro portante dell’ideologia politica planetaria odierna, la chiave di volta che sostiene il mondo. Si demolisce Rousseau e la sua teoria «contrattuale» della società. Secondo l’intellettuale ginevrino padre teorico della Rivoluzione francese e di tutto quel che seguì, dallo «stato di natura» l’uomo uscì il giorno in cui stipulò il «contratto sociale» con i suoi simili.
Jean-Jacques Rousseau era uno che, nel suo Discours sur l’inegalité parmi les hommes, esordiva così: «Cominciamo col togliere di mezzo tutti i fatti e ragioniamo per astrazioni». La cosa venne portata alla sua logica conseguenza dal filosofo marxista Ernst Bloch, il quale affermava: «Quando i fatti contraddicono la teoria, tanto peggio per i fatti». Prassi che, dai giacobini a Lenin e i suoi epigoni, fu sempre applicata alla lettera.
Un altro grande spagnolo, lo storico Marcelino Menéndez Pelayo, nella sua Historia de las Ideas Estéticas en Espainìa, dava questo giudizio su Rousseau: «Fu il patriarca di una legione di nevropatici, egoisti, malinconici e superbi, inabili all’azione, miseramente consumati dal proprio fuoco». Questo «misantropo incorreggibile e grossolano» che «passò pazzo la maggior parte della vita, concentrato di aspirazioni ideali e di bassezze innominabili», divenne stranamente l’idolo di un certo milieu alla moda, un milieu che ebbe di lì a poco la forza e la ventura di sconvolgere il mondo per sempre.
«Quel che a noi sembra declamazione insensata, sentimentalismo, paralogismo e cattiva retorica, fu per i contemporanei un torrente di lava furibondo. Questi libri, che oggi ci cadono dalle mani, ebbero la forza di scardinare l’ordine sociale antico, cambiare il sistema di educazione, alterare tutte le relazioni della vita, creare un nuovo tipo di uomo che durò per due o tre generazioni e non so se sia interamente scomparso. Perché Rousseau ha avuto una fortuna singolare, in questo sopravvivere a se stesso; quando non trionfa come socialista livellatore e tirannico, trionfa come individualista anarchico e feroce».
Equivoco nocivo
No, non è scomparso. Anzi, quel «nuovo tipo di uomo» non solo non è scomparso, ma oggi domina e permea, insegna e influenza, comanda e divulga. E vero, il patriarca dei giacobini, dei nazionalisti, dei socialisti, dei nazisti, dei comunisti, degli anarchici, degli edonisti, degli ecologisti e dei radicali è lui. Rousseau, padre comune dei liberali e dei libertari, dei totalitari e degli statolatri, degli animalisti e degli egualitari, dei buonisti e dei forcaioli. Senza di lui, il mondo quale lo conosciamo non sarebbe esistito.
Ebbene, Ortega y Gasset punta il dito proprio contro il suo dogma principale: «Una società non si costituisce per accordo delle volontà. Al contrario, ogni accordo di volontà presuppone l’esistenza di una società di genti che convivono, e l’accordo non può consistere che nel precisare l’una e l’altra forma di questa convivenza».
Morale: «l’idea della società come riunione contrattuale, pertanto giuridica, è il più insensato tentativo che sia stato fatto di mettere il carro davanti ai buoi. Perché il diritto, la realtà “diritto” – non le idee su di esso del filosofo, del giurista o del demagogo – è, se mi è concessa l’espressione, secrezione spontanea della società, e non può essere altra cosa».
Se ne era già accorto, a suo tempo, Joseph De Maistre, che provava a immaginare, senza riuscirci, un appuntamento collettivo primordiale, con i cavernicoli che, stufi di vivere nello «stato di natura», si concentrano in una piana per stendere la prima costituzione della storia.
Nozioni arcaiche
Il risultato del prevalere storico della visuale rousseauniana è stigmatizzato da Ortega y Gasset come «una delle massime disgrazie». Infatti gli uomini dell’Occidente, posti di fronte a eventi sempre più terrificanti, «si sono ritrovati dotati di utensili arcaici e goffe nozioni su ciò che è società, collettività, individuo, usi, leggi. giustizia, rivoluzione, eccetera».
La cosa è terribile, se si pensa che, nel contempo, le nozioni scientifiche si sono dilatate e sofisticate a dismisura. Il filosofo spagnolo sottolinea l’«incongruenza tra la perfezione delle nostre idee sui fenomeni fisici e l’arretratezza scandalosa delle “scienze morali”. Il ministro, il professore, il fisico illustre e il romanziere sogliono avere di queste cose concetti degni di un barbiere di periferia».
Con tutto il rispetto per il barbiere di periferia, al quale forse è rimasto, unico, almeno un po’ di buonsenso. Infatti, sui temi come l’eutanasia, l’ingegneria genetica, i figli in provetta, i trapianti, la donazione (ma anche l’omosessualità, l’uso di droghe, il diritto penale, le fonti di energia, la stessa libertà) oggi come oggi il barbiere di periferia sembra avere opinioni più sensate di quelle di parecchi premi Nobel, governanti e, perché no, qualche prete.