Tra la Russia e i paesi dell’ex Urss è in corso una strana guerra.
da Mosca Fabrizio Rossi
Ricordando e interpretando a modo proprio la storia del secolo scorso, che (tra rivoluzioni, colpi di Stato, guerre mondiali, totalitarismi e stermini di massa) ha lasciato «ferite profonde e mai rimarginate nella memoria di tutti i paesi dell’Europa Orientale e Centrale», ogni popolo – denuncia l’appello – si è costruito un suo XX secolo. Il dibattito sulla storia si è così trasformato in un «conflitto delle memorie», che non coinvolge solo studiosi o addetti ai lavori ma anche politici in cerca di facili strumentalizzazioni.
Basti pensare a Katyn’, appena presentato a Cannes dal regista Andrzej Wajda, che sta suscitando numerose polemiche in Russia; il film prende il nome da uno dei luoghi in cui, nella primavera del 1940, la polizia segreta di Stalin fucilò oltre 20.000 soldati polacchi. Una pagina tragica della seconda guerra mondiale, sempre negata dall’Urss (fino agli anni ’90 ne addossava la colpa ai nazisti), che oggi potrebbe costare caro alla Russia: il 5 giugno il tribunale ‘Chamovniki’ di Mosca stabilirà se riabilitare i polacchi trucidati, consentendo così ai parenti di richiedere un risarcimento (che, secondo alcune indiscrezioni, potrebbe raggiungere anche un milione di dollari per ogni vittima).
Gli incidenti scoppiati a Tallinn nella primavera 2007, per la decisione di rimuovere dal centro il monumento al soldato sovietico, sono un altro caso esemplare di memorie in conflitto: ciò che per i russi rappresenta la liberazione, nel 1944, dei Paesi Baltici dai nazisti, agli estoni ricorda invece la riannessione del loro paese all’Urss e una nuova occupazione. Hanno diritto alla memoria i soldati dell’Armata Rossa che hanno sparso il sangue combattendo contro il nazismo?
Nessuno può negarlo. Allo stesso modo, però, hanno diritto a una propria memoria anche i lituani, lettoni ed estoni che furono mandati in lager o fucilati dai ‘liberatori’ sovietici. Entrambe le memorie sono ugualmente valide, di qui lo scontro.
In altri casi, sembrano valere due pesi e due misure. Per esempio, mentre appena un anno fa la Russia accusava le autorità di Tallinn di violare i resti dei caduti trasferendo il monumento, oggi è più pronta a chiudere un occhio se le ossa di altri «militi ignoti» dell’Armata Rossa si trovano sul tracciato di un suo gasdotto come il Nord Stream (che collegherà Russia e Germania passando per il fondale del Mar Baltico).
Qui e, in particolare, nel Golfo di Finlandia nel 1941 la flotta sovietica si è scontrata più volte con quella nazista, tanto che queste acque sono state definite da alcuni storici «il più grande cimitero navale del mondo».
Ciononostante gli interessi sono interessi e i lavori si faranno ugualmente, alla faccia del tributo della memoria ai caduti.
Così, mentre i paesi dell’ex Urss s’illudono di chiudere i conti col passato semplicemente additando tutte le proprie sofferenze all’attuale Russia, quest’ultima – osserva l’appello di ‘Memorial’ – non ha trovato niente di meglio che alimentare «il mito patriottico-imperialista sovietico» (come si è visto nella parata in pompa magna dello scorso 9 maggio), rivisitando la propria storia come «una serie di gloriose ed eroiche conquiste».
Non è un caso che Putin, alla vigilia del passaggio di testimone, abbia disposto la pubblicazione di una monumentale Storia della seconda guerra mondiale (commissionata, guarda un po’, all’attuale ministro della Difesa Anatolij Serdjukov), né che Medvedev abbia da subito dedicato tanta attenzione proprio ai veterani della guerra, promettendo l’alloggio gratuito.
Il potere pensa che solo così potrà compattare una società sempre più ignorante rispetto al proprio passato (come denuncia anche un recente sondaggio del Centro russo Vciom); dal canto suo, con maggior senso critico ‘Memorial’ mette in guardia: «Non le grandi conquiste o le grandi catastrofi in quanto tali, ma proprio la responsabilità civile per la propria storia rende un popolo una nazione».
Anziché limitarsi alla ricerca dei colpevoli, quindi, ‘Memorial’ invita a «una seria presa di coscienza del passato», annunciando la nascita di un Forum storico internazionale: «una sorta di piattaforma di discussione» (aperta a organizzazioni sociali, centri di ricerca, enti culturali e singoli studiosi) per promuovere «un permanente scambio di opinioni intorno agli avvenimenti storici conflittuali del XX secolo».
Non si tratta di cedere al relativismo, rinunciando alla propria memoria. Ma di comprendere la verità altrui «per completare e arricchire la propria visione del passato», senza puntare il dito.