di Antonio Socci
Un miliardo di vite innocenti soppresse dall’aborto legalizzato nel mondo è un orrore su cui riflettere o una statistica da liquidare con indifferenza facendo spallucce? E i 4 milioni e 200mila aborti realizzati legalmente negli ospedali italiani dall’introduzione della legge fino al primo febbraio 2004 sono un fatto di cui rallegrarsi o una dolorosa tragedia che ci spinge a fare qualcosa?
Le donne dunque sanno bene, sulla propria pelle, che l’aborto è un male e sarebbe meglio non trovarsi a viverlo. Nessuna ha mai detto che è un bene. Per questo – che è il «vissuto» della donne – anche il cosiddetto fronte abortista ripete sempre, continuamente, che «l’aborto è un dramma», che non c’è nessun «movimento per la morte» e che nessuno è «per» l’aborto, ma solo «per la libertà di scelta».
Bene. La situazione nuova di oggi è dovuta alla posizione veramente laica (al contrario di tanti laici giacobini), pragmatica dei cattolici e della Chiesa che dicono: vi prendiamo in parola, crediamo a ciò che dichiarate, che cioè non volete la morte, ma la vita; lasciamo stare dunque l’antica diatriba sulla legge 194 e insieme diamoci da fare per attuare quelle parti della legge 194, oggi largamente disattese, che – proprio perché l’aborto è un dramma terribile – mettevano a disposizione delle donne in difficoltà aiuti e sostegni, finalizzati a evitare quella tragedia.
I cattolici hanno dalla loro parte uno straordinario argomento. Innanzitutto è la stessa legge 194 che proclama di essere «a tutela della maternità» e che invita le strutture pubbliche a tendere una mano alle donne in difficoltà. Per questo appare totalmente anacronistica e insensata la polemica di un certo fronte laicista che ripete – un po’ come un disco rotto – uno slogan di 25 anni fa: «La legge 194 non si tocca».
Così facendo non si rendono conto che i tempi sono cambiati: non c’è nessuno che chiede di abolire quella legge, ma al contrario si chiede di attuarla veramente. Questo tipo di laici si trova con le spalle al muro perché non ha di fronte dei cattolici che fanno un’astratta crociata di principio, ma piuttosto un interlocutore che chiede loro di essere conseguenti con il loro principio per cui «l’aborto è un dramma» e nessuno è «per» l’aborto, ma solo «per la libera scelta».
Se così stanno le cose – dicono i cattolici (e con loro sempre più laici umanisti) – diamo seriamente la possibilità a tante donne in difficoltà di scegliere davvero, evitiamo che si sentano in un vicolo cieco, obbligate all’aborto, diamo loro la possibilità di vincere quei problemi sotto i quali si sentono schiacciare fino a dover ricorrere all’aborto.
È il Movimento per la vita e lo splendido mondo di volontariato che ha attorno che veramente è «pro choice», che cioè vuole veramente che la donna scelga liberamente fra possibilità egualmente percorribili, senza essere sopraffatta da circostanze ostili e ricattata dalle difficoltà.
Infatti l’esperienza insegna che se una donna non viene lasciata sola, se viene aiutata, sostenuta con aiuti concreti, anche di amore e di comprensione, tenderà a evitare l’aborto. Lo insegna proprio il lavoro eroico e silenzioso che migliaia di persone legate ai «Centri di aiuto alla vita» e al Movimento per la vita hanno realizzato in questi tre decenni: in 27 anni di attività più di 70mila bambini (ripeto: settantamila) sono nati grazie all’aiuto che questa gente ha dato ad altrettante donne in sofferenza.
Settantamila persone sotto i 30 anni oggi vivono fra noi (forse ignorandolo loro stessi) grazie a tanti volontari sconosciuti che alle loro madri hanno donato le proprie energie, il proprio amore, le proprie case. Spesso ricavandone sberleffi e disprezzo sui giornali dove cinici intellettuali o politici sprezzanti ironizzano, dal basso della propria indifferenza, su queste persone come se fossero «militanti» ottusi o donne e uomini di serie B.
Sono invece i silenziosi e invisibili eroi del nostro tempo. Sono i giusti – come diceva Solzenicyn – grazie ai quali il villaggio non si è autodistrutto e vive ancora. Ma la loro – e quella della Chiesa – è anche l’unica posizione veramente laica e «pro choice». Perché consegna al passato lo scontro sulla legge 194 e, chiedendo di attuarla per intero, tende la mano a tutti coloro che non sono «per la morte», chiedendo di unire le forze per evitare il male (la soppressione di una vita umana innocente) e fare il bene (aiutare concretamente donne e bambini).
Naturalmente ciò non significa che la 194 in sé sia moralmente benemerita. Si cita questa legge come se, con la legalizzazione, avesse ridotto il numero degli aborti. Chi enuclea queste statistiche dovrebbe innanzitutto riconoscere le incredibili menzogne che furono propalate negli anni Settanta sul numero di aborti clandestini.
E dovrebbe poi considerare nella statistica anche altri tipi di aborti non chirurgici. Ma soprattutto – se vogliamo fare un’analisi sociologica seria – dovrebbe rispondere alla seguente domanda: perché l’Italia è l’unico fra i Paesi dell’Europa occidentale in cui, dopo l’introduzione di una legge abortista, si è registrata una leggera flessione degli aborti legalmente praticati in tre decenni?
C’è chi risponde che lo si deve alla legge che legalizza l’aborto. È un controsenso logico, ma prendiamolo per buono.
Se fosse così lo stesso fenomeno si sarebbe dovuto verificare anche negli altri Paesi dell’Europa occidentale dopo l’introduzione di leggi abortiste. Invece lì è accaduto il contrario. Allora come si spiega? L’ipotesi seria è un’altra: perché in Italia, in questi tre decenni, è cresciuta nell’opinione pubblica una forte convinzione che l’aborto sia un male, un dramma moralmente e umanamente devastante.
Questo trend dell’opinione pubblica è dimostrato clamorosamente sia dai periodici sondaggi dei giornali nel corso degli anni (ricordo quello clamoroso di Repubblica di un anno fa), sia dalle ricerche sociologiche (come «La sfida dei valori» di Loredana Sciolla). È naturale pensare che sia stata la presenza della Chiesa a indurre gli italiani, nella loro coscienza, a maturare queste convinzioni che ci hanno portato molto lontano dall’indifferenza morale degli anni Settanta, come ha dimostrato clamorosamente il referendum sulla legge 40.
La prova definitiva e incontestabile è fornita dagli stessi che sbandierano questi dati. Se infatti loro stessi, per primi, esaltano come positivo il dato della diminuzione degli aborti (sia pure attribuendone il merito alla 194) significa che quello è anche il loro giudizio di valore (meno aborti si fanno meglio è) e dunque che questo è l’obiettivo a cui puntare, tutti insieme, volontariato e istituzioni, laici e cattolici.
Perché tutti sentiamo come drammaticamente vere le parole di Gandhi: «Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l’aborto è un crimine». Di fronte al quale nessuno di noi può sentirsi innocente e quindi indifferente.