Cristianità n. 44 – 30 Dicembre 1978
Un esempio per i cattolici contro-rivoluzionari del secolo XX
di Massimo Introvigne
Un grande apostolo di eccezionale attualità, perché impegnato nella lotta contro alcuni degli errori che ancora oggi imperversano nella società: la massoneria, dal santo definita «la primogenita di Satana», contro la quale fondò una Lega Antimassonica che si estese in tutta Italia, e il comunismo, contro il quale ammonì i cattolici italiani con profetica chiaroveggenza. Un esempio di fedeltà alla dottrina tradizionale: tomista in filosofia contro le deviazioni di Rosmini e Gioberti, e seguace di sant’Alfonso in morale, contro l’errore giansenista.
INTRODUZIONE
Torino e il Piemonte sono generalmente citati, nella storiografia culturale e filosofica ufficiale d’Italia, come l’ambiente dove via via maturarono le novità e le vittorie decisive della Rivoluzione italiana. Il Piemonte riformista ed eretico, giansenista e gallicano, arruolata finalmente nelle sue fila la casa reale, diventa Piemonte rivoluzionario e si pone alla testa del Risorgimento. Più tardi, il vigore di questa spinta rivoluzionaria piemontese sarà ancora tanto forte da manifestarsi in quella «scuola di Torino» che va da Gobetti a Gramsci e da cui derivano – dal liberal-socialismo gobettiano alla riconosciuta paternità gramsciana del cosiddetto eurocomunismo – le caratteristiche più salienti della sinistra italiana nel secondo dopoguerra (1).
Ignorata dai più è, viceversa, la esistenza di un puntuale rovescio della medaglia: in contrapposizione a questo filone rivoluzionario nasce e si sviluppa in Piemonte e nella Savoia una ricca cultura cattolica, un’autentica cultura della Contro-Rivoluzione, la cui storia, in gran parte, non è ancora stata scritta. La scuola cattolica savoiardo-piemontese si richiama al magistero di san Francesco di Sales e all’esempio dell’apostolo di Torino, il beato Sebastiano Valfré (2).
Essa conosce una prima vigorosa manifestazione nella critica all’illuminismo del cardinale savoiardo Giacinto Sigismondo Gerdil (3); si esprime poi, nel periodo intorno alla Rivoluzione francese, nella fioritura delle Amicizie, società segrete contro-rivoluzionarie, la prima delle quali fu fondata tra il 1779 e il 1780 a Torino da padre Nikolaus Albert von Diessbach (4). Le Amicizie ebbero il loro santo animatore nel venerabile Pio Brunone Lanteri, poi fondatore degli Oblati di Maria Vergine (5), il loro filosofo in Joseph de Maistre, più tardi il loro erede politico nel conte Clemente Solaro della Margarita.
Da questo ambiente nasce, nella Torino cattolica dell’Ottocento, una eccezionale fioritura di santità, di cultura, di azione civica, nonché di opere caritative sull’esempio illustre di san Giuseppe Benedetto Cottolengo. Il Convitto Ecclesiastico di Torino, fondato da Lanteri e dal teologo Luigi Guala (6), diventa il centro di un’opera di restaurazione cattolica in funzione antigiansenista e antiliberale, di cui diverrà ben presto animatore san Giuseppe Cafasso. Cafasso, con la direzione del Convitto e con i suoi esercizi spirituali al clero e al laicato tenuti al santuario di sant’Ignazio sopra Lanzo (7) educa una intera generazione, in cui saranno numerosi i santi.
Per non citare che coloro di cui la Chiesa ha già riconosciuto l’eroicità delle virtù, è sufficiente fare i nomi dei santi della famiglia salesiana (san Giovanni Bosco, san Domenico Savio, santa Maria Domenica Mazzarello, il beato Michele Rua), delle beate Anna Michelotti e Maria Enrica Dominici, dei venerabili Francesco Faà di Bruno, Clemente Marchisio, Federico Albert (8). Anche tra i laici non mancano campioni della causa cattolica, come il conte Emiliano Avogadro della Motta, valente scrittore politico antisocialista ed antiliberale, nonché autore di pregevoli opere ascetiche (9).
Fra le luci di questo quadro magnifico brilla in modo tutto particolare san Leonardo Murialdo, forse il massimo protagonista dell’apostolato civico e sociale dell’Ottocento torinese. Mentre si celebra la felice ricorrenza del 150º anniversario della sua nascita – avvenuta il 26 ottobre del 1828, nell’anno stesso in cui Cottolengo fondava la Piccola Casa della Divina Provvidenza – sembra opportuno contribuire a fare conoscere questa grande figura di santo, a molti purtroppo ancora pressoché ignota, invocando insieme dal cielo la sua potente intercessione per tutti coloro che, con un’azione culturale e politica cattolica, ne continuano in qualche modo l’opera di vero apostolo della restaurazione sociale.
PROFILO BIOGRAFICO DEL SANTO
San Leonardo Murialdo respira l’atmosfera della scuola cattolica savoiardo-piemontese fin dai primordi della giovinezza, trascorsa nel settecentesco palazzo Balbo Bertone di Sambuy a Torino. Il padre, Leonardo Francesco Murialdo, di antica nobiltà di origine ligure, era attivo militante della Amicizia Cattolica di Lanteri; la madre, Teresa Rho di Revigliasco, si segnalava come zelante propagatrice in Torino della devozione a san Francesco di Sales (10).
Allievo nell’adolescenza degli Scolopi di Savona, si forma nelle scienze ecclesiastiche presso la facoltà teologica di Torino, teatro, allora, di accese dispute tra giansenisti e liguoriani, di fronte alle quali il giovane Murialdo sa schierarsi subito e decisamente per la morale di sant’Alfonso, con il Magistero della Chiesa ma contro il clima allora dominante in Piemonte (11).
Coltiva nel frattempo la sua vita interiore presso due dei grandi centri della spiritualità torinese: la chiesa di Santa Maria di Piazza, centro di apostolato eucaristico e liturgico, e la chiesa della Visitazione, dei preti della Missione, dove diventa rettore dell’associazione di giovani ecclesiastici Compagnia di san Tommaso d’Aquino.
Al servo di Dio Marcantonio Durando, superiore dei lazzaristi di Torino, che fu detto «il san Vincenzo de’ Paoli d’Italia», egli fa la sua confessione generale prima di essere ordinato sacerdote il 20 settembre 1851 presso la stessa chiesa della Visitazione (12). Giovane prete, si dedica alla predicazione, al catechismo, all’assistenza ai poveri e agli ammalati. Conosce personalmente san Giuseppe Cafasso: inizia a frequentare il santuario di Sant’Ignazio e alla scuola del santo che fu definito «il flagello dei giansenisti» approfondisce ulteriormente lo studio della morale alfonsiana.
Un’altra grande amicizia di Murialdo è quella con san Giovanni Bosco, che gli affida nel 1857 l’impegnativo incarico di direttore dell’oratorio torinese di San Luigi, dove Leonardo è coadiuvato dal beato Michele Rua. Pellegrini a Roma il 6 aprile 1858 don Bosco, don Murialdo e don Rua sono ricevuti da Papa Pio IX in una udienza privata indimenticabile.
Desideroso di approfondire la sua cultura e la sua formazione sacerdotale san Leonardo si reca nel 1865 a Parigi, dove trascorre un intero anno nel seminario di San Sulpizio, studiando la spiritualità di Olier e la dottrina civica e sociale della fiorente scuola cattolica francese. Rientrato a Torino nel 1865 accetta la direzione del Collegio Artigianelli; nel 1873 fonda la sua congregazione religiosa, la Pia Società Torinese di San Giuseppe (giuseppini) (13).
Da allora, sarà questo il suo posto: ma dal Collegio Artigianelli Murialdo diverrà di volta in volta fondatore, animatore, presidente di decine di opere, associazioni, iniziative per la riscossa cattolica in campo educativo, caritativo, assistenziale, apologetico, sociale, politico, mentre la sua presenza ai grandi congressi cattolici italiani e francesi gli permetterà di dare dimensione nazionale ed europea alla sua azione.
Entra così in amichevoli relazioni con le più notevoli figure del cattolicesimo del suo tempo: tra gli altri, a Torino il venerabile Faà di Bruno e il servo di Dio Allamano (14); in Francia il cardinale Pie, Le Play, La Tour du Pin, Albert de Mun, padre d’Alzon. Prosegue ininterrotta anche la sua ascesa spirituale, nutrita da un’ardente devozione a san Giuseppe e da frequenti, devotissimi pellegrinaggi ai grandi centri della spiritualità europea: Roma, Loreto, Lourdes, La Salette, Paray-le-Monial, Nostra Signora del Sacro Cuore di Issoudun e molti altri.
Dopo lunga malattia, san Leonardo muore a Torino il 30 marzo 1900. «È morto un Santo», esclama, appresa la notizia, il cardinale Sarto, futuro san Pio X, amico e protettore di Murialdo negli ultimi anni della sua vita (15). Giovanni XXIII lo dichiara venerabile nel 1961, Paolo VI lo proclama beato nel 1963 e santo il 3 maggio 1970.
DOTTRINA E AZIONE
1.Filosofia, teologia, morale: alla scuola dei maestri di sempre
I grandi maestri torinesi di Murialdo, e più ancora l’innato, profondo sensus Ecclesiae proprio dei santi, lo portarono in tutti i rami della dottrina ad affidarsi ai maestri di sempre: san Tommaso d’Aquino, sant’Alfonso de’ Liguori. «Quella di San Tommaso – scrive il principale biografo di Murialdo – rimarrà sempre la sua filosofia, la sua teologia, e l’Angelico Dottore […] resterà in ogni questione la sua guida e il suo maestro» (16): scelta significativa, e tutt’altro che scontata, mentre a Torino si moltiplicavano le adesioni ai sistemi di Rosmini e di Gioberti e perfino un arcivescovo, monsignor Gastaldi, tenterà di imporre per via autoritativa la filosofia rosminiana.
In morale come già si è visto, fu liguoriano e antigiansenista fin dalla giovinezza, pure trascorsa in un ambiente dove i giansenisti erano numerosi: egli chiama sant’Alfonso «il mio maestro e il mio dottore» (17) e nel 1858 vorrà portarsi in pellegrinaggio sulla sua tomba a Nocera de’ Pagani. Di sant’Alfonso, Murialdo fece sue, con la opposizione al giansenismo, tutte le grandi battaglie teologiche e pastorali: per la devozione al Sacro Cuore, che definiva «l’amore perfetto verso Gesù Cristo» (18), per una grande e teologica pietà verso la Madonna, di cui sostenne la Immacolata Concezione e la Mediazione Universale, per una precisa definizione del primato del Pontefice. Lettore attento e appassionato del Du Pape del «dottissimo de Maistre», come lo chiamava, fece voto, partecipando a Roma nel 1867 alle feste centenarie del martirio dei santi Pietro e Paolo, di difendere usque ad effusionem sanguinis la dottrina della infallibilità pontificia.
2. Contro i nemici della Chiesa
La vita di fede di san Leonardo Murialdo doveva necessariamente assumere una tonalità alternativa e drammatica, mentre il suo secolo era teatro di uno scontro cruento e decisivo tra la Chiesa e la Rivoluzione. Così Murialdo dipingeva nel 1876 la situazione politica e religiosa: «Dio non solo non è amato, ma ignorato, negletto, anzi negato, bestemmiato, perseguitato.
Una società diabolica, possente, è organizzata a propagare il male, a combattere la religione e la Chiesa e Gesù Cristo, a perdere le anime. Gesù Cristo è bandito dalle leggi, dai monumenti, dalle case, dalle scuole, dalle officine; perseguitato nei discorsi, nei libri, nei giornali, nel Papa, e nei suoi sacerdoti, nella sua persona» (19). ù
«Danni e pericoli – aggiungeva al Congresso Cattolico di Bordeaux – minacciano la Chiesa e la società. La Rivoluzione scaccia Dio e il suo Cristo dappertutto e si sforza di colpire a morte la Chiesa» (20). Contro questa «lega antidivina», questa «internazionale del male» è allora necessario reagire, «preservare e tutelare la fede contro i nemici della religione […] opponendo propaganda a propaganda» (24). L’azione dì Murialdo si svolse in tre direzioni: contro il protestantesimo, contro la massoneria, contro il socialismo.
La Torino del secolo scorso vedeva dispiegarsi una massiccia propaganda valdese ed evangelica, finanziata dai protestanti inglesi e svizzeri e incoraggiata da Cavour: le autorità liberali e massoniche del Piemonte risorgimentale cercavano di servirsi delle sette protestanti per estirpare il cattolicesimo presso i ceti popolari (22).
Fu don Bosco a chiamare Murialdo in prima linea nell’azione antiprotestantica quando lo nominò direttore dell’oratorio di San Luigi, posto nelle immediate vicinanze del tempio valdese di Torino, i cui frequentatori sovente assalivano gli alunni dell’oratorio con sassaiole. Non solo: «si giunse persino – narra lo storico dell’oratorio San Luigi, il salesiano Caviglia – a sparare dalla finestra della sacrestia due colpi di pistola contro il Teologo Borel e il Carpano, che si apparavano per le funzioni, e fu un miracolo se ne uscirono illesi» (23).
San Leonardo seppe rispondere con energia. Così, in una predica del 1860, egli denunciava l’avanzata protestante: «Vedete quel tempio dalle svelte e lanciate volte, che si erge sulle nostre contrade, udite gli astuti ammaestramenti che si insinuano nell’educazione, nei ginnasi […] tutto vi dirà che il protestantesimo nel nostro paese è cresciuto gigante, che il denaro venuto d’Oltralpe diede morbi in queste belle e pacifiche regioni e spirò il suo alito mortale».
E concludeva: «O no, fratelli, non lasciamo partire la fede dal nostro suolo. Non lasciamo che lo straniero ci rapisca il più prezioso dono dei nostri avi. Sorgete, o Torinesi, dal vostro letargo, vedete chi strappa dal vostro seno i vostri figli per renderli infelici! La nostra città si noma del SS. Sacramento: in Lui riponete fiducia» (24).
Per tutta la vita Murialdo «considerò sempre il pericolo protestante una minaccia diretta non solo contro la fede ma anche contro l’unità morale e spirituale della patria» (25): sempre sollecito della propaganda e dell’azione, fu tra i promotori più ardenti della Associazione San Francesco di Sales per l’azione antiprotestantica, e impegnò le varie leghe della buona stampa da lui create a diffondere presso il popolo pubblicazioni dirette a confutare gli errori delle diverse sette.
Molto presto, tuttavia, l’azione apostolica di Murialdo dovette rivolgersi contro un nuovo formidabile nemico, contro quella che egli chiama «la Lega anticlericale e antidivina»: la massoneria. «I frammassoni – scrive sinteticamente san Leonardo – sono gli autori di tutti i mali temporali, religiosi e sociali che affliggono la nostra Italia». Per il santo la massoneria è «la primogenita di Satana, la scimmia di Dio e della Chiesa»: essa «è criminale nella sua organizzazione segreta, immorale nei suoi principi, empia nella sua dottrina, irrazionale e perversa nella sua azione», è una setta diabolica che «manovra Re, parlamenti e governi al servizio di Satana, seminando vittime al suo passaggio» (26).
L’azione antimassonica di Murialdo fu, come scrive Castellani, «quotidiana»: egli percepì il suo come un tempo di «gigantesca lotta fra il bene e il male», e con ogni sforzo si studiò di suscitare «un’armata cristiana», un «esercito di San Michele», una «lega immensa di azione e di preghiera contro le società massoniche» (27).
San Leonardo studiò e fece studiare le classiche opere di Barruel, C. Jannet, Crétineau-Joly; raccolse un piccolo archivio di notizie e documenti sulla massoneria italiana; scrisse negli organi di stampa da lui creati decine di articoli antimassonici (28); promosse l’organizzazione a Torino di un congresso di universitari antimassonici, «esclusivamente dedicato ad opporre al pensiero di Satana il pensiero di Cristo» (29); fondò nel 1886 una Lega Antimassonica, che conobbe in Piemonte un notevole sviluppo e si estese in tutta Italia, promuovendo poi, nel 1896, il Congresso Antimassonico Internazionale di Trento.
Della lega fecero parte sacerdoti santi, ma anche laici combattivi e decisi, che non temettero di affrontare la repressione di governi – come li definì l’alter ego di Murialdo, con Reffo – «ribelli alla Chiesa e servi alla Massoneria» (30). La Voce dell’Operaio, il giornale di Murialdo, subì numerosi sequestri e quattro processi penali: nel 1895 i responsabili del periodico, Allisiardi e Giraud, furono condannati al carcere per un articolo dal titolo I portacoda della Massoneria, in un processo-farsa orchestrato dalla setta. Accolsero la sentenza gridando: «Viva Gesù Cristo! Viva il Papa!» (31).
Nell’ultimo periodo della sua vita Murialdo indicò ai cattolici, non senza una profetica chiaroveggenza, il pericolo costituito dalla nuova forza sovversiva e anticristiana che si andava organizzando: il comunismo. Furono soprattutto gli orrori della Comune di Parigi del 1871, in cui il Murialdo vedeva un castigo di Dio per i peccati sociali della Francia, a presentare al santo l’urgenza di una reazione cattolica contro i progressi dell’Internazionale Comunista e a riproporre la necessità di un apostolato presso gli operai che, scristianizzati dalla propaganda liberal-massonica, divenivano poi facile preda dell’attivismo marxista.
«Se non si contrappone un argine alle idee sovversive ed atee dell’Internazionale – dichiarava Murialdo in un discorso del 1882 – la Rivoluzione con i suoi eccidi e le sue rovine potrebbe prevalere anche nella nostra Patria» (32).
3. In difesa della libertà della Chiesa: le grandi battaglie
L’azione concentrata delle forze denunciate da Murialdo sottoponeva i cattolici italiani a una continua pressione oppressiva e soffocante. Al Congresso Cattolico di Le Mans del 1881 il santo dichiarava: «La lotta in Italia non è meno accanita e violenta che in Francia. Un piccolo numero di audaci e di frammassoni si è imposto al paese e, mentre copre di vergogna e di infamia questa figlia privilegiata del Cielo agli occhi degli stranieri, accumula rovine su rovine e tenta di strappare la fede dal cuore del popolo» (33). San Leonardo sarà in prima linea, nelle grandi battaglie dei cattolici per difendere i diritti della Chiesa e i diritti di Dio.
La sua battaglia principale, per la quale Murialdo «sarebbe stato disposto a dare la vita» (34) fu quella per Roma e per il Papa. San Leonardo, piemontese e nobile, visse certo in modo particolarmente drammatico, il cosiddetto «caso di coscienza del Risorgimento», nel contrasto tra la fedeltà al suo re e quella alla Chiesa e al Pontefice. Non corrispondono però al vero le affermazioni di qualche articolista moderno secondo le quali egli tenne un atteggiamento «moderato» e «conciliante» a proposito della questione romana.
Già nel 1861, di fronte a un pubblico di laici torinesi, il santo dichiarava senza equivoci che «il vero cattolico obbedisce e serve prima alle leggi di Dio e poi a quelle degli uomini» e che «quando sono in causa i diritti della Chiesa, quando sono in giuoco gli interessi delle anime, come nel presente tempo di lotta e di calamità, e nella spinosa questione romana, questa fedeltà si dimostra con il sacrificio di tutte le vedute umane e personali, senza timore dei rischi […] con uno zelo fattivo nel difendere il Papa e la sua libertà». «Propugnamo e difendiamo il potere temporale per obbedienza e per convinzione», concludeva Murialdo; e aggiungeva: «Come non accorgersi che le società segrete, i rivoluzionari, i nuovi giacobini, i sovversivi, che dicono di volere compiere l’unità della patria, attaccano il Papa nel suo potere temporale per arrivare a colpire il suo potere spirituale, al fine di distruggere la Chiesa, il Cattolicesimo, il Papato?» (35).
Certo, prima e dopo il 1870, Murialdo non si lascerà mai contagiare da atteggiamenti fatalistici o dimissionari. Alle violenze rivoluzionarie egli rispose potenziando il carattere intransigente e romano delle proprie iniziative, e moltiplicando i pellegrinaggi a Roma di sacerdoti e soprattutto di laici piemontesi come testimonianza di indefettibile fedeltà. Il nome e la bandiera – che ancora si conserva a Torino, presso il Collegio Artigianelli – di una delle sue associazioni, l’Unione del coraggio cattolico, bene esprimono i sentimenti e le intenzioni del santo.
Per la difesa cattolica la massoneria e i governi da questa controllati aprivano continuamente nuovi fronti, abili – secondo l’espressione di Murialdo – «a tessere sottilmente giorno per giorno una fitta rete di leggi contro il diritto e la libertà per sottrarre il popolo e la gioventù a Dio e alla Chiesa» (36). Tra questi attacchi i più iniqui e pericolosi furono forse quelli contro le scuole cattoliche e contro l’insegnamento del catechismo nelle scuole elementari, mossi da forze consapevoli, per usare ancora parole di Murialdo, che «l’insegnamento cattolico [è] la barriera più forte contro l’ateismo, l’indifferenza religiosa e la sovversione sociale» e che, ovunque è liberamente propagato, «il Catechismo, questo Vangelo del fanciullo e del popolo, sarebbe allora quel sassolino che abbatterebbe il gigante della Rivoluzione, per quanto grande e potente» (37).
Il santo reagì con il consueto vigore: denunciando, organizzando, contrattaccando. «Una grave minaccia – affermava nel 1880 – incombe sulla Chiesa, sulla società e sulla nostra patria, la più grave e pericolosa: l’assassinio delle anime dei giovani, perpetrato per mezzo della scuola laica, grazie ad una legislazione anticlericale, settaria ed ipocrita, e da insegnanti senza religione, armati di programmi senza Dio» (38). E nel 1889, commentando una circolare del Gran Maestro della massoneria Lemmi, che definiva la laicizzazione della scuola «opera eminentemente massonica»,
Murialdo commentava: «noi rispondiamo: “Non vendiamo l’anima dei nostri giovani né allo Stato né alla Massoneria!”. […] Non intendiamo che la nostra gioventù sia pervertita da insegnanti miscredenti» (39). Ai genitori cattolici san Leonardo ricordava che non è lecito inviare i figli alle scuole laiche «senza Dio e senza morale»: di fronte alla scuola anticattolica dovere dei padri è educare i figli in casa o di «unirsi insieme vari padri di famiglia e scegliersi un maestro» (40).
Contro la laicizzazione dell’insegnamento Murialdo proponeva pure un articolato programma di azione: «petizioni ai poteri dello Stato, azione giuridica nei tribunali, conferenze, assemblee popolari, stampe, assistenza ad Istituti privati di educazione e agli aspiranti alle patenti di maestro, ecc.» (41). A questo scopo fu tra gli animatori della Lega O’Connell per la libertà dell’insegnamento in Italia, sorta nel 1875, e poi della sezione Istruzione ed Educazione dell’opera dei Congressi.
Queste iniziative di Murialdo mostrano quanto sollecito egli fosse di un’azione civica e sociale efficace e coraggiosa. La lotta contro gli «Stati laici e laicizzatori» era per lui «la crociata del XIX secolo»: «Dio lo vuole! Dio è con noi!» (42).
4. L’azione educativa e sociale
Se fine dello Stato laicista e massonico è «separare il popolo da Dio», il fine della riscossa cattolica propugnata da san Leonardo è riportare il popolo a Dio e alla Chiesa. Così Murialdo non si limita a combattere la laicizzazione della scuola: ma fonda e organizza un grande numero di nuove scuole private e collegi, privilegiando specialmente gli istituti di formazione professionale per avvicinare i giovani dei ceti più popolari, particolarmente minacciati dal contagio delle idee rivoluzionarie e anticristiane.
«Il regnante Leone XIII – dichiarava al Congresso Cattolico di Le Mans – ci ripete la parola d’ordine: Opponete scuola a scuola. Nell’ora attuale noi cattolici dobbiamo saperci imporre dei grandi sacrifici per fondare sempre nuove scuole, perché la scuola senza Dio è, per le anime dei giovani, la morte, e la scuola cristiana la vita» (43).
Per tutti i giovani, poi, e particolarmente per gli universitari, san Leonardo fondò e animò – in speciale modo dopo il 1870 – associazioni di apostolato militante per la riscossa cattolica, prima tra tutti la Società giovanile San Giuseppe, che fu poi assorbita nel Circolo della Gioventù Cattolica Sebastiano Valfré, uno dei nuclei e delle scuole dell’intransigentismo torinese. Dalle associazioni giovanili Murialdo passò poi ad associazioni estese anche agli adulti con la Società Promotrice Cattolica Torinese delle Buone Opere; animò quindi, per anni, le sezioni piemontesi dell’Opera dei Congressi.
Una delle preoccupazioni fondamentali di san Leonardo, come già del venerabile Lanteri, fu quella della buona stampa. «La Rivoluzione – diceva – spadroneggia oggi il mondo: sì, ma perché si è impossessata della stampa quotidiana, che forma il cibo quotidiano di tutti i cittadini» (44). La stampa «liberale, ossia anticattolica» domina; «la stampa è l’arma della Rivoluzione, dell’incredulità, dell’errore, della framassoneria» (45).
Come reagire? Occorre, affermava il santo, «portarci dove il nemico ha messo le tende, combatterlo con le sue stesse armi e non dare tregua alla setta» (46): opporre alla stampa liberal-massonica una stampa cattolica. Nacque così l’Associazione San Carlo Borromeo per la diffusione della buona stampa che, seguendo il programma che già era stato delle Amicizie lanteriane, e sull’esempio di analoghe iniziative francesi degli assunzionisti di padre d’Alzon, animate dal servo di Dio Vincent de Paul Bailly, diffuse capillarmente presso tutti i ceti sociali migliaia di volumi.
Le benemerenze acquisite in questo campo da Murialdo fecero sì che fosse più tardi nominato presidente della sezione stampa dell’Opera dei Congressi. Nell’apostolato librario impegnò anche le spose e le madri cristiane, affinché in questo senso operassero anzitutto nelle loro famiglie, creando un Movimento femminile della buona stampa. Organizzò pure, in modo sistematico, la diffusione dei giornali cattolici, privilegiando le pubblicazioni più intransigenti: i giornali del teologo Margotti (L’Armonia, prima, L’Unità Cattolica, poi), su cui scriveva il suo più fidato collaboratore, don Reffo, e La Civiltà Cattolica, allora sinonimo di sicura e pontificia ortodossia. San Leonardo considerò sempre il giornalismo come un vero apostolato, importante e necessario: e sognava «giornalisti cattolici» che fossero «i nuovi crociati e cavalieri dell’epoca moderna» (47).
Tra i giornali da lui fondati Murialdo predilesse forse La Voce dell’Operaio, creata nel 1833, la prima pubblicazione politico-religiosa cattolica italiana destinata ai ceti popolari. Essa ebbe amplissima diffusione, non solo nel Settentrione ma in tutta Italia, fino in Sicilia e in Puglia. Su La Voce dell’Operaio difendevano, in modo assai energico, la dottrina religiosa e sociale cattolica duri ed efficaci polemisti; giornalisti talora santi, tanto che di due tra essi è in corso la causa di beatificazione: il citato don Eugenio Reffo e il laico Paolo Pio Perazzo, terziario francescano e capoufficio in Torino delle Ferrovie dello Stato (48).
Attorno alla Voce san Leonardo consolidò le associazioni operaie cattoliche da lui fondate come «società cristiane d’operai che si contrappongano alle società settarie aggregate alla Internazionale», benemerite iniziative lodate da Leone XIII e poi da san Pio X e attaccate dalla stampa filomassonica come «società operaie gesuitiche», «covi di nemici della Patria», «cellule papiste e clericali» (49). La Voce dell’operaio divenne pure il punto di riferimento di combattive associazioni di agricoltori cattolici, così numerose e influenti da trasformare le zone rurali delle provincie di Torino e Cuneo in quella che lo storico comunista Paolo Spriano ha chiamato «una Vandea d’Italia» (50).
Le associazioni operaie di Murialdo, nelle quali lavoravano fianco a fianco imprenditori e dipendenti, si ricollegavano esplicitamente alle corporazioni medioevali. L’analisi storica di san Leonardo, esposta in una importante serie di conferenze, muove – sulla scia della scuola contro-rivoluzionaria francese – da un sicuro riferimento al «tempo delle Corporazioni», in cui «non v’era l’antagonismo fra padroni e operai, non diffidenza ma pace, mutuo aiuto».
Allora «il lavoro era organizzato all’ombra della Croce e sotto il patronato della Chiesa e dei Santi. Fino a quando l’organizzazione cristiana del lavoro ha continuato, il pauperismo non penetrò nella classe operaia in maniera insanabile, l’antagonismo tutto moderno tra il padrone e l’operaio e la decadenza crescente delle professioni, la ostilità e la noia contro il lavoro non esistevano».
Viceversa, «ora la Rivoluzione ha soppresso le libertà concesse dalla Chiesa al popolo», e l’operaio «è divorato dalla miseria, che non conosceva quando festeggiava i santi patroni e i protettori del suo mestiere». Oggi, mentre «il socialismo reca danni maggiori alle già tristi condizioni dell’operaio», propone rimedi peggiori dei mali, «viola i diritti che la natura, il diritto civile e il Vangelo danno all’uomo, dà allo Stato diritti e competenze che non ha, scompiglia la società civile e genera il disordine», si tratterà allora, mediante le società operaie cattoliche, di «far rinascere lo spirito che aveva creato ed alimentato le Corporazioni di Arti e Mestieri e riprodurre l’organizzazione cristiana del lavoro con istituzioni consone alla società moderna» (51).
CONCLUSIONE
San Leonardo Murialdo, per testimonianza unanime di chi lo conobbe, ebbe lo stile raffinato e cortese della vecchia nobiltà sabauda, con un tocco di tristezza nell’aspetto perfettamente corrispondente ai tempi (52). Fu, certamente, «un uomo mite e gentile» (53): ma non fu, in alcun modo, un moderato, nonostante le inesattezze e gli equivoci di certa pubblicistica moderna. Al contrario, egli lavorò a formare in Torino i nuclei più compatti dell’intransigentismo italiano, collaborando operosamente, per anni, con uno dei capi e delle bandiere del movimento intransigente, il teologo Giacomo Margotti, che definiva «benemerito del nostro paese, dell’Italia nostra, della Chiesa e della religione», lodandone «la vita intera consacrata a difendere i principi religiosi e i sani principi politici» (54).
Se c’è chi ha studiato «i tempi e gli uomini che prepararono la Rerum Novarum», se la storia del cattolicesimo controrivoluzionario dell’Ottocento è la storia dei tempi e degli uomini che prepararono il Sillabo, san Leonardo Murialdo, zelantissimo nel diffondere e nel praticare la dottrina sociale della Chiesa, può essere definito il significativo preparatore del motu proprio di san Pio X Fin dalla prima, contenente un Ordinamento fondamentale dell’azione popolare cristiana che «non è eccessivo definire il Sillabo sociale» (55).
Il nome e le opere di Murialdo furono sempre, in Piemonte, sinonimo di ortodossia e di ferma adesione al Magistero immutabile della Chiesa. Dopo la sua morte, il magistero di san Leonardo fu continuato con fedeltà dal suo primo successore alla guida dei giuseppini, il servo di Dio don Eugenio Reffo, già più volte citato, di cui è sufficiente ricordare qui l’intransigente polemica antimodernista e l’interpretazione della prima guerra mondiale come castigo di Dio per le nazioni infedeli alla sua legge (56).
Certo, anche le associazioni di Murialdo, così forti ed efficaci sul piano religioso e sociale, soffrirono in una certa misura di quella «debolezza politica» e «carenza di modello statale» (57) caratteristiche di tutto il movimento cattolico italiano dell’Ottocento: e tanto più di quello piemontese, disorientato dal drammatico e repentino divorzio della dinastia dalla Chiesa.
Tuttavia san Leonardo, con la ferma denuncia degli avversari e la non velleitaria indicazione di importanti obiettivi da conseguire, tracciò con chiarezza una via: il fatto che questa via non sia stata più tardi seguita spiega forse la sottovalutazione e l’oblio in cui la figura di Murialdo venne a cadere presso la maggioranza dei cattolici «impegnati in politica», nonostante il corso rapido e sicuro dei processi di beatificazione.
Ma giacché esistono, in politica come in morale, princìpi e verità che, derivando dalla stessa natura dell’uomo sociale, permangono immutabili nel mutare della storia, il programma di san Leonardo Murialdo può ancora costituire un punto di riferimento significativo per ogni cattolico di buona volontà. E con questo spirito che va riletto oggi il solenne Appello del Consiglio Centrale delle Unioni Operaie Cattoliche, vero manifesto programmatico dell’apostolato murialdiano, diretto – di fronte all’aggressione anticattolica del democratismo moderno – non solo agli operai, ma a tutta la società.
«La democrazia più o meno moderata fa sforzi erculei per propagare e far prevalere, specialmente nelle masse operaie, le sue teorie sovversive, i suoi principi criminosi; la guerra feroce mossa alla Chiesa cattolica e all’Augusto suo Capo dall’odierno liberalismo disgraziatamente giova in modo efficacissimo a eccitare nel cuore dell’operaio cristiano l’indifferentismo religioso ed il disprezzo verso le Autorità Civili ed Ecclesiastiche; e finalmente la più sfrenata licenza ed ogni massimo disordine sono la naturale conseguenza dell’empia rivolta a Dio, che uomini scellerati vanno inculcando e propagando con tutti i mezzi nei popoli cristiani con grave pericolo della stessa civile società. Le cronache quotidiane parlano chiaro. Quale sarà il rimedio a tanto male? Uno solo! Il trionfo dei princìpi cristiani nella società, il ritorno sicuro del popolo alla Chiesa; qui sta la salute del presente e la speranza dell’avvenire» (58).
NOTE
(1) Sulla «scuola di Torino» e sulla sua contrapposizione alla scuola cattolica savoiardo-piemontese cfr. ora A. DEL NOCE, Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano 1978, pp. 19-121. Per un commento alla tesi di Del Noce cfr. ROBERTO DE MATTEI, Noventa e la cultura torinese, in Nuova Antologia, fasc. 2076, dicembre 1973, pp. 584-92.
(2) Sul beato Valfré (1629-1710), missionario, catechista, confessore, consigliere del duca di Savoia Vittorio Amedeo II, cfr. l’opera classica di P. CAPELLO, Della vita del Beato Sebastiano Valfré, Marietti, Torino 1872, e la più recente tesi di laurea di G. OLGIATI, Il Beato Sebastiano Valfré d. O. Sua azione sociale e politica, Oratorio di San Filippo Neri, Torino 1966.
(3) Di Gerdil è stata recentemente ripubblicata in traduzione italiana la fondamentale opera pedagogica antirousseauiana L’Anti-Emilio, a cura di R. Mazzetti, Beta, Salerno 1974.
(4) Cfr. C. BONA I. M. C., Le «Amicizie». Società segrete e rinascita religiosa (1770-1830), Deputazione subalpina di storia patria, Torino 1962.
(5) Su Lanteri cfr. ROBERTO DE MATTEI, Il ven. Pio Brunone Lanteri (1759-1830) in Cristianità, n. 23, marzo 1977, pp. 8.9. Alla bibliografia ivi indicata (cfr. particolarmente, dello stesso Roberto de Mattei, la introduzione al volume di PIO BRUNONE LANTERI, Direttorio e altri scritti, Edizioni Cantagalli, Siena 1975), va ora aggiunta l’importante pubblicazione, a cura degli Oblati di Maria Vergine, dei Manoscritti del fondatore, di cui sono finora apparsi cinque volumi.
(6) Cfr. G. USSEGLIO, Il teologo Guala e il Convitto Ecclesiastico di Torino, SEI, Torino 1948.
(7) Su Cafasso resta essenziale l’opera di L. NICOLIS DI ROBILANT, San Giuseppe Cafasso, II ed. riveduta da J. Cottino, Santuario della Consolata, Torino 1960. Il santuario di Sant’Ignazio sopra Lanzo, sorto dopo la miracolosa liberazione della località dai lupi nel 1628 e una successiva apparizione del santo nel 1629, riaperto dopo la Rivoluzione francese da Lanteri e da Guala, ebbe il felice destino di accogliere per gli esercizi spirituali tutti i santi piemontesi dell’Ottocento, compreso Murialdo.
(8) La diocesi di Torino vanta, dall’Ottocento in poi, il maggiore numero di cause di beatificazione tra le diocesi del mondo: si tratta di un fenomeno eccezionale sul quale l’attenzione degli storici e dei fedeli non è stata sufficientemente attirata.
(9) Su questa interessante figura manca fino a oggi un lavoro completo. Per indicazioni bibliografiche su Avogadro, cfr. E. PASSERIN D’ENTREVES, Bibliografia dell’età del Risorgimento, Firenze 1971, vol. I, p. 133.
(10) Per queste e molte delle successive notizie cfr. A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, Tipografia San Pio X, Roma 1966-67, 2 voll. (Un progettato terzo volume non uscì per la morte dell’autore). La monumentale opera è una fonte ricchissima di informazioni su Murialdo: meno sicura si dimostra talora nel giudizio storico globale (l’opera delle sette viene nel complesso sottovalutata e traspaiono indulgenze e simpatie verso esponenti cattolico-liberali). Gli scritti di Murialdo raccolti nei volumi (inediti) dell’archivio della Postulazione della Causa (Roma) saranno citati direttamente; quelli, pure inediti, conservati in altri archivi, con riferimento alla citazione nei volumi di Castellani. Edito è invece l’Epistolario di Murialdo, a cura di A. Marengo, Libreria Editrice Murialdina, Roma 1970-73, 5 voll.
(11) Su queste dispute confronta G. CACCIATORE, S. Alfonso de’ Liguori e il Giansenismo, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1944, e l’Introduzione di P. Calliari al Carteggio del ven. Lanteri, Lanteriana, Torino 1976, vol. I.
(12) Su Durando, che fu pure cofondatore con la veggente Luigia Borgiotti, favorita da interessanti rivelazioni private, delle Suore Nazzarene, cfr. F. MARTINENGO, Il P. Durando: vita, opere, virtù, Torino 1888.
(13) Sulla storia dei giuseppini è documento essenziale la Cronistoria della pia società torinese di San Giuseppe dalla fondazione 1873, Tipografia di San Pio X, Roma 1950.
(14) Su F. Faà di Bruno, magnifica figura di ex-ufficiale, scienziato, sacerdote, cfr. ora Francesco Faà di Bruno (1825-1888), Miscellanea, Bottega d’Erasmo, Torino 1977. Su Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata, L. SALES, Compendio della vita di Giuseppe Allamano, Marietti, Torino 1944.
(15) E. REFFO, Vita del Servo di Dio Leonardo Murialdo, V ed., Casa Generalizia dei PP. Giuseppini, Roma 1956, p. 333.
(16) A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. I, p. 193.
(17) S. L. MURIALDO, Epistolario, cit., vol. I, p. 18.
(18) A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. I, p. 114.
(19) S. L. MURIALDO, in Archivio della Postulazione, vol. XXVI, doc. 1053-54.
(20) Ibid., vol. XXVII, doc. 1091.
(21) Ibid., vol. XXVII, doc. 1128/c.
(22) Cfr. U. MARCELLI, Cavour e i metodisti inglesi, in Rassegna di storia italiana, 1956, pp. 217-225.
(23) A. CAVIGLIA, L’Oratorio S. Luigi dal 1847 al 1922, Torino 1922, p. 10. Assicura Caviglia che gli alunni di Murialdo non subirono passivamente le provocazioni ma mossero «veri contrattacchi». Fu così che cessarono le sassaiole.
(24) S . L. MURIALDO, in Archivio della Postulazione, vol. XVIII, doc. 701.
(25) A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. I , p. 573.
(26) S. L. MURIALDO, in Archivio della Postulazione, vol. XXX, doc. 1212: e in A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. II, p. 363.
(27) Ibid., pp. 362-378.
(28) Alcuni titoli e slogans apparsi su la La Buona Stampa danno un’idea dello stile antimassonico del Murialdo: La Massoneria ipocrita: ecco il nemico; La Frammassoneria: ecco il principio di ogni male; Occhio al serpente verde; Smascheriamo la setta infernale!; No! La mala bestia non avrà le nostre anime, la nostra libertà; Combattiamo pro aris et focis.
(29) S. L. MURIALDO, in A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. II, p. 371.
(30) E. REFFO, Vita del Servo di Dio Leonardo Murialdo, cit., p. 74.
(31) A. CASTELLANL, Leonardo Murialdo, cit., vol. II, p. 377.
(32) S. L. MURIALDO, Discorso in occasione del collocamento della pietra fondamentale dell’Oratorio festivo del S. Cuore in Rivoli, Tip. Artigianelli, Torino 1883, p. 8.
(33) S. L. MURIALDO, in Archivio della Postulazione, vol. XXVII, doc. 1128.
(34) A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. I, p. 584.
(35) S. L. MURIALDO, in Archivio della Postulazione, vol. XXVII, doc. 1128/c.
(36) S . L. MURIALDO, in A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. II, p. 339.
(37) Ibid., vol. II, pp. 346-348.
(38) Ibid., vol. II, p. 336.
(39) Ibid., vol. II, p. 337.
(40) Ibid., vol. II, p. 333.
(41) S. L. MURIALDO, in Archivio della Postulazione, vol. XXVII, doc. 1120/21.
(42) S . L. MURIALDO, in A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. II, pp. 336-37. Prima del non expedit, e più tardi nei limiti di questo, san Leonardo promosse pure comitati elettorali per il sostegno ai candidati cattolici ove ve ne fossero, e ovunque per l’indizione di pubbliche preghiere alla Madonna Consolata e al beato Valfrè per il felice esito delle elezioni.
(43) S. L. MURIALDO, in A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. II. p. 339.
(44) S. L. MURIALDO, in Archivio della Postulazione, vol. XXVII, doc. 1095.
(45) S. L. MURIALDO, La Buona Stampa, in La Buona Stampa, n. 3, 1884, p. 56.
(46) S. L. MURIALDO, in A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. II, p. 368.
(47) S . L. MURIALDO, Gli scrittori cattolici, in La Buona Stampa, n. 9, 1884, p. 10.
(48) Su don Eugenio Reffo cfr. L. CASARIL, Don Eugenio Reffo, Casa Generalizia dei PP. Giuseppini, Roma 1966. Tre le sue opere edite meritano di essere ricordate la raccolta di articoli Luci e tenebre, Tip. Artigianelli, Torino 1920, 2 voll., e l’autobiografia Quello che ricordo…, Centro S. Antonio, Roma 1963. Su Paolo Pio Perazzo cfr. M. MANNI O.F.M., Il Servo di Dio Paolo Pio Perazzo, Parr. S. Tomaso, Torino 1929. La biografia mette in luce la vita di terziario francescano di Perazzo e l’opera di apostolo dell’Adorazione Quotidiana; documenta le sue relazioni con le serve di Dio sorelle Comoglio, anch’esse terziarie francescane a Torino, e l’influsso che ebbero su di lui le rivelazioni private di cui furono favorite queste ultime. È però singolare documento dell’oblìo in cui cadde per anni san Leonardo, che con Perazzo fu in relazione quotidiana e che non è neppure nominato nell’opera.
(49) Cfr. A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. II, pp. 346-48.
(50) P. SPRIANO, Socialismo e classe operaia a Torino dal 1892 al 1913, Einaudi, Torino 1958, p. 71.
(51) S. L. MURIALDO, in Archivio della Postulazione, vol. VII, doc. 675 e vol. XXVII. doc. 1125. Tra le battaglie in cui si impegnarono le associazioni operaie di Murialdo va segnalata quella per il riposo festivo e la santificazione delle feste.
(52) Cfr. le testimonianze nei processi di beatificazione, riportate nei citati volumi di Castellani.
(53) Così S. S. PAOLO VI nel discorso di beatificazione del 3-11-1963.
(54) S. L. MURIALDO, in Archivio della Postulazione, vol. XXVIII, doc. 1150. Cfr. pure l’apologia del teologo Margotti nell’autobiografia di don E. REFFO, Quello che ricordo …, cit., pp. 38-43. La leggenda di Murialdo «moderato» è stata diffusa appoggiandosi su citazioni «positive» di san Leonardo di opere di Lacordaire e di mons. Dupanloup. Murialdo lesse moltissimo, e amava citare autori disparati. Di Lacordaire apprezzò l’eloquenza, di Dupanloup qualche frase brillante: tutto quanto si è esposto mostra che di nessuno dei due condivise gli orientamenti liberaleggianti. Aveva, del resto, più che venerazione, un «amore come a un Santo» per la persona e il magistero di Pio IX (Castellani, Leonardo Murialdo, cit., vol. I, p. 610).
(55) G. CANTONI, Saggio introduttivo a P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, p. 18. Il fondamentale documento di san Pio X è stato ripubblicato su Cristianità n. 2, novembre-dicembre 1973, pp. 6-8. Sulle condizioni alle quali è lecito ai cattolici associarsi usando il nome di Democrazia Cristiana la corrispondenza con le indicazioni date da Murialdo negli ultimi anni della sua vita è quasi letterale (cfr. A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. II, pp. 726 segg.).
(56) «I peccati degli individui o si cancellano con la penitenza o si puniscono con l’eternità; ma i peccati delle nazioni Dio li punisce in questo modo, perché nell’eternità le nazioni più non esistono. Alle colpe sociali castighi sociali; per tenere questi lontani, non v’è altro mezzo che un ritorno sociale a Dio» (E. REFFO, cit. in L. CASARIL, Don Eugenio Reffo, cit., p. 144). Si noti la congruenza di queste parole, scritte nel 1914, con il messaggio di Fatima del 1917.
(57) G. CANTONI, Saggio introduttivo, cit., p. 17.
(58) Cit. in A. CASTELLANI, Leonardo Murialdo, cit., vol. II, p. 437.