Studi Cattolici n. 574 dicembre 2008
di Pietro Sormani
È possibile che il cristianesimo si sia installato in Cina non nel VII secolo, com’era fin qui generalmente accettato, ma nel I secolo, cioè nello stesso periodo in cui s’installò nel bacino del Mediterraneo e a Roma? Ed è possibile che vi sia stato introdotto addirittura da uno degli apostoli, il dubbioso (ma energico) Tommaso?
Sì, è possibile, anzi è certo, secondo due ricercatori francesi, che hanno pubblicato recentemente un libro a sostegno della loro tesi (Pierre Terrier – Xavier Walter, Thomas fonde l’Eglise en Chine, Editions du Jubilé, 2008, pp. 318, euro 22).
Bisogna riconoscere che gli argomenti portati dagli autori, entrambi specialisti della Cina e del cristianesimo delle origini, sono convincenti; ma non spetta certo a noi esprimere un giudizio, che dovrà essere affidato agli esperti in materia. I quali non mancano, né in Francia, né in Italia o in altri Paesi: ci limiteremo a ricordarne due, dei quali ci siano occupati recentemente in questa rivista, Jean Charbonnier, autore di una celebre storia dei cristiani in Cina, ed Etienne Ducornet, il cui libro sulla Chiesa e la Cina è stato i mesi scorsi pubblicato in italiano dalla Jaca Book.
Il tema è di estrema importanza. Perché, se venisse accettata la tesi che, per semplicità, chiameremo «di san Tommaso», non soltanto la storia del cristianesimo cinese, ma la sua stessa natura andrebbero completamente riviste.
E non basta: anche le nostre concezioni sul cristianesimo delle origini andrebbero forse corrette o quanto meno integrate. Non a caso, recensendo il libro, la rivista France catholique (una specie di Famiglia cristiana oltremontana) lo definisce «una bomba», destinata a sconvolgere l’attuale panorama scientifico (senza che manchi il consueto pizzico di gallicanesimo, là dove si denuncia l’atteggiamento romanocentrico che caratterizzerebbe la Chiesa cattolica).
Vediamo di riassumere la situazione. Fino a ora si credeva che i primi cristiani fossero entrati in Cina dalla Mesopotamia, seguendo la «via della seta», all’epoca della dinastia Tang. Una stele di pietra, attualmente conservata a Xian, segnala l’arrivo nella capitale Chang’an del vescovo nestoriano Abraham (in cinese Alopen), che fu autorizzato a costruire chiese e monasteri.
La diffusione del cristianesimo continuò tra alti e bassi nei secoli successivi, raggiungendo le sue punte più alte durante la dominazione mongola: in quel periodo (siamo nel XII secolo), oltre ai viaggi di Marco Polo, si ebbero le prime missioni ufficiali di monaci francescani e domenicani: ricordiamo quella infelice di Giovanni da Pian del Carpine e quella invece più positiva di Giovanni da Montecorvino, che fu nominato arcivescovo di Pechino. Ma dopo la scomparsa dell’impero mongolo e l’ascesa al potere degli Han, il cristianesimo fu dichiarato religione straniera e messo al bando.
Bisognerà attendere l’arrivo dei gesuiti, nel XVI secolo, perché potesse riattecchire. Molti considerano ancor oggi Matteo Ricci come il vero fondatore del cattolicesimo cinese; tuttavia, malgrado la grande stima che lui e i suoi confratelli godevano a Corte, i successi si rivelarono effimeri.
Le incomprensioni con il potere locale, i contrasti tra le nazioni cattoliche e tra queste e il Papato, lo scoppio della «controversia dei riti», danneggiarono l’opera di evangelizzazione è introdussero un nuovo periodo di persecuzioni, che durerà fino alla metà del 1800. A quell’epoca, la decadenza del sistema politico cinese e l’avvento del colonialismo europeo porteranno benefici alla Chiesa, danneggiando però la sua immagine: la condanna inflittale dal regime comunista il secolo scorso ha motivazioni nazionali-stiche oltre che ideologiche.
Circolavano strane voci
Che cosa c’entra san Tommaso in tutto questo? Nulla. La tradizione vuole che si sia recato in India e che abbia predicato lungo le sue coste meridionali e orientali, costruendovi chiese e ordinando sacerdoti. Egli avrebbe subito il martirio nell’anno 70 (o 72) dell’era cristiana e il suo corpo sarebbe stato inumato in una chiesa di Madras (oggi Chennai), a lui dedicata: si dice che poi sia stato portato a Edessa, nell’attuale Turchia.
La presenza di Tommaso in India sarebbe del resto confermata dalle presenza ancor oggi di numerose chiese di rito siriano, che usavano fino a pochi anni fa la lingua aramaica, che è la lingua di Gesù. La Chiesa siro-malabarica e quella siro-malancarica rappresentano circa un quarto dei cattolici indiani: il resto è di rito latino, introdotto in India a metà del 1500 da Francesco Saverio.
Questo per quanto riguarda l’India. Nessuno però aveva mai collegato Tommaso con la Cina, almeno non ufficialmente. Circolavano tuttavia strane voci nella «Chiesa clandestina» cinese, cioè quella non riconosciuta dal regime comunista: voci che parlavano della presenza di simboli cristiani su una parete rocciosa di Kong Wang, una località non lontana da Jinan, capoluogo della regione settentrionale dello Shan Dong.
Esse raccontavano di una serie di bassorilievi, che gli archeologi cinesi avevano cominciato a esplorare una trentina di anni fa, liberandoli dalle sterpaglie che li ricoprivano: la loro opinione era che si trattasse di segni e figure buddhiste, risalenti al II secolo della nostra era. Interessanti, ma non dissimili dagli altri esistenti in gran numero in Cina.
Le voci però erano nel frattempo giunte alle orecchie di Pierre Perrier, che si è recato sul posto, ha visto e fotografato i bassorilievi, ne ha discusso con vari esperti in Cina e in Francia; e ha allargato la sua inchiesta, insieme con il collega Xavier Walter, agli aspetti storici e cristologici del problema. I risultati sono spiegati nel libro appena pubblicato: e sono stupefacenti. Perché tra le centinaia di bassorilievi, la maggior parte in effetti di natura buddhista, ve ne sarebbe uno che raffigura san Tommaso e un altro che rappresenta la Madonna col bambino Gesù. In Cina, a migliaia di chilometri da Gerusalemme; e fatti appena una trentina d’anni dopo la morte del Salvatore!
Ecco come gli autori del libro ricostruiscono quello che sarebbe successo. Dopo la risurrezione di Gesù, gli apostoli si riunirono a Gerusalemme per decidere sui modi in cui portare il suo insegnamento «in tutti gli angoli della terra». Paolo si incarica del bacino mediterraneo, Pietro va a Roma, Giacomo in Spagna; Tommaso si reca dapprima in Mesopotamia e quindi, da Nini ve (l’attuale Mosul, nel Kurdistan iracheno) parte verso l’Oriente, accompagnato per un tratto di strada da Bartolomeo. Arriva a Herat, in Afghanistan, si dirige verso l’India: bloccato dalle guerre che coinvolgono l’impero kouchan e quello persiano, rientra a Gerusalemme, dove nel 51 (secondo la tradizione) muore la Vergine Maria. Ma ben presto si rimette in viaggio verso est, questa volta utilizzando le rotte marittime, essendo la «via della seta» interrotta per i disordini.
Approfittando della collaborazione dei mercanti ebraici, Tommaso arriva nell’India meridionale, dove si trattiene una diecina d’anni: sembra che nel 64 si trovasse a Meilapouram, nel Tamil Nadu, importante porto del commercio con la Cina. E proprio in quell’anno, a Luoyang, l’Imperatore cinese Mingdi fa un sogno profetico in cui (secondo quanto riportato dagli Annali degli Han posteriori) vede «un uomo biondo, grande, con la testa circondata di luce. Era alto quasi due metri e aveva la pelle dorata…». Non poteva trattarsi né di un cinese, né di un indiano. È troppo immaginare che fosse nientemeno che Gesù Cristo?
Un Vangelo «ante litteram»
Come che sia, mentre l’Imperatore fa compiere ricerche al di là dei mari per trovare una spiegazione al suo sogno, san Tommaso si reca nel 65 in Cina, non si sa se per sua iniziativa o per invito imperiale, viaggia lungo le coste, battezza, fonda chiese, assecondato dal principe Ying, fratello di Mingi. Lo accompagna un collaboratore-interprete, Shofarlan, rappresentato nei bassorilievi di Kong Wang con un rotolo, su cui erano presumibilmente trascritti gli atti e le parole di Gesù (una sorta di Vangelo ante luterani). L’apostolo si sarebbe trattenuto in Cina due o tre anni, poi, dopo aver visitato il Giappone e Ceylon, sarebbe tornato in India, dove trovò la morte.
Fantasie? Ipotesi campate in aria, forse suggerite da una fede troppo esuberante? Ma ci sono anche fatti, date, circostanze che vanno interpretati, spiegati, collegati fra loro; ci sono monumenti che vanno rivisitati, reperti archeologici che vanno studiati. I due ricercatori francesi sono soltanto l’avanguardia di un’operazione che deve coinvolgere esponenti di vari Paesi e di varie discipline. E devono essere coinvolti in primo luogo gli studiosi cattolici: perché è della loro storia che si tratta, del loro passato, dei personaggi della loro fede.
Se fosse accertato, al di là di ogni ragionevole dubbio (e, trattandosi di un maestro del dubbio, l’esigenza è legittima), che l’apostolo Tommaso è stato in Cina, molte cose cambierebbero per la nostra religione. A cominciare dalla Chiesa cinese, che potrebbe, letteralmente, fregiarsi del titolo di «apostolica»; e che non sarebbe più concepita come straniera e imposta dalle potenze straniere, ma come una Chiesa autoctona, cresciuta in parallelo con quella sviluppatasi in Europa e che ha a Roma il suo centro. I rapporti tra la Santa Sede e il governo di Pechino ne verrebbero necessariamente influenzati, aprendo la strada a soluzioni oggi impensabili.
Nella sua lettera dell’anno scorso ai cattolici cinesi, Benedetto XVI aveva scritto fra l’altro: «Nella Chiesa cattolica in Cina è presente la Chiesa universale, la Chiesa di Cristo, che nel Credo noi proclamiamo una, santa, cattolica e apostolica». Dopo la scoperta dei bassorilievi di Kong Wang, queste parole acquistano un nuovo significato, diventano ancora più pertinenti. Speriamo che anche a Pechino se ne rendano conto e che le autorità cinesi rispondano finalmente in modo positivo, e concreto, all’appello di dialogo rivolto loro dal Pontefice: dall’altra parte del mondo, ma dall’interno della stessa Chiesa, apostolica e universale.