Pubblicato su Antidoti l’8 aprile 2005
Sat 2000 intervista a Rino Cammilleri
D.: Karol Wojtyla ha innalzato agli onori degli altari più santi e beati di tutti i suoi predecessori. Quale messaggio lascia questa volontà di proclamare un numero così elevato di testimoni della fede?
R.: Direi che il papa è stato in qualche modo obbligato, visto che il XX secolo appena trascorso ha fatto più martiri di tutti gli altri. Non solo, ma è noto che dove abbonda il male Dio fa abbondare anche la Grazia: da qui i moltissimi santi e beati degli ultimi due secoli (che, dall’Illuminismo in poi, hanno registrato un distacco organizzato e militante dal cristianesimo: lo fa notare il papa anche nel suo libro Memoria e identità). Il “messaggio”, infine, è questo: la «verità» del Vangelo non la si vede tanto nell’organizzazione della Chiesa quanto nei santi. Questi hanno applicato alla lettera quel «manuale di manutenzione di noi stessi» che è il Vangelo dimostrando che quel che vi è scritto è vero. Il santo è, insomma, il segno tangibile della verità del cristianesimo.
D.: E’ stata anche proclamata la santità di due bambini, di una coppia di sposi e di numerosi laici. Non solo religiosi dunque. Quale lettura si può fare di questa scelta?
R.: Il Concilio Vaticano II ha insistito sul «ruolo dei laici». Ecco qua. La sensibilità degli ultimi secoli, come abbiamo detto, va nel senso della laicità, spesso scaduta nel laicismo. Ebbene, proprio la santità dei laici contraddice questo assunto. Certo, negli «istituti di perfezione» teoricamente dovrebbe essere più facile, visto che che chi vi entra (monasteri, conventi, congregazioni) si concentra sui «consigli evangelici» (come dice Cristo al “giovane ricco” del Vangelo: «…se vuoi essere perfetto, va’, vendi ogni cosa…») per non farsi distrarre dalla vita secolare. Ma non credo che da parte della Chiesa ci sia stata una «scelta» tra beatificandi e canonizzandi: semplicemente, il ruolo di testimonial sta passando di mano. D’altra parte, il santo a questo serve: oltre ad intercedere, deve anche essere un esempio.
D.: E’ possibile individuare una caratteristica comune e generale della fede testimoniata dai santi voluti da Giovanni Paolo II?
R.: Credo che anche qui bisognerà chiarire un punto: non è la Chiesa che “fa” i santi, bensì li dichiara. Se un defunto si mette a far miracoli a chi glieli chiede è chiaro che è in Paradiso e, dunque è Beato. La Chiesa non fa altro che certificarlo autorevolmente dopo aver indagato in ogni modo la vita del defunto in questione. Cosa c’è in comune tra un carabiniere come Salvo D’Acquisto e un pastorello analfabeta come Francisco Marto? Niente. Solo, l’aver applicato il Vangelo alla lettera, scommettendoci la propria vita. Se un messaggio si vuole, eccolo: si può fare, è tutto vero, c’è tanta gente di ogni condizione che l’ha dimostrato, non abbiate paura, aprite le porte a Cristo (sto parafrasando il programma di questo pontificato); gente del Terzo Millennio edonista, volete essere felici? Ecco come si fa, ed è l’unica via, il resto è puro inganno.
D.: Qual è il santo che, secondo lei, per qualità umane e carismi spirituali può essere considerato il più vicino a Giovanni Paolo II?
R.: A mio avviso, don Bosco: a un tempo, mistico e uomo d’azione.
D.: Santi d’altri tempi come Padre Pio o Daniele Comboni e santi dei nostri giorni come Alberto Marvelli o la stessa Madre Teresa. Elevati insieme sugli altari. E’ una scelta contraddittoria? Se non lo è quale significato assume questa eterogeneità?
R.: Credo di aver già risposto al punto 3. Ma, per esempio, Padre Pio non mi pare tanto “d’altri tempi”, visto che lo si ritrova sugli orologi, nei poster e nei calendari in vendita nelle edicole. Ricordiamoci che, anche quando era vivo, la sua faccia batteva le pin-up sulle copertine dei rotocalchi. Non credo che l’uomo d’oggi, quando ha un problema di quelli che “non si sa a che santo rivolgersi”, si metta a pregare il Comboni o il Marvelli. Bensì, Padre Pio.
D.: La santità non come privilegio ma come impegno costante nella vita quotidiana. Che significato assume e quali i riflessi di questa impostazione nel magistero di Giovanni Paolo II?
R.: Più che di magistero parlerei di esempio personale, in questo papa (vedi la sua “malattia in diretta”). Credo che sappia bene che la gente oggi legge solo i titoli dei giornali (i documenti del magistero non so se li leggono neanche i preti).