da La Nuova Bussola quotidiana
14 Febbraio 2019
Chi si converte al cattolicesimo dall’islam spesso è costretto a una vita da fantasma diversamente dalle bandiere della modernità che hanno scelto il percorso inverso. Rischiano la vita, vittime dell’accusa di apostasia di un islam che in Occidente si mostra tollerante solo per taqiyya, dissimulazione. Eppure i convertiti non cedono. Non si lamentano al punto di mollare se a casa sono osteggiati e nel mondo ecclesiastico poco considerati. Il nostro viaggio-inchiesta sui convertiti parte però da chi non ce l’ha fatta. Come Rachida, uccisa a martellate dal marito che aveva scoperto la sua nuova fede.
di Lorenza Formicola
Chi si converte al cattolicesimo dall’islam spesso è costretto a una vita da fantasma. Nascondersi da Allah non è mai semplice, ma quando si è costretti ad indossare maschere nelle famiglie di origine e persino nella Chiesa, il peso risulta inquietante. Eppure i convertiti non cedono. Non si lamentano al punto di mollare se a casa sono osteggiati e nel mondo ecclesiastico poco considerati. Sanno bene che le differenze esistono, e infatti hanno scelto una strada diversa. Però nel tentativo di annacquare ed eliminare ogni differenza, la nostra società li ha esposti ad un pericolo che non si può ignorare. Così come non si può ignorare la loro forza, il coraggio di scappare da Allah per Dio.
Nel nostro Paese sono tantissime le storie di convertiti che trovano consolazione in Cristo e in qualche pastore che trova il coraggio di seguirli. Siamo nell’ordine delle migliaia, ed è facile capire perché un censimento più preciso sia impensabile.
Il nostro viaggio in Italia per dare spazio e farvi sentire la voce di chi scappa da Allah vogliamo iniziarlo ricordando la storia di chi non ce l’ha fatta.
Quella di Rachida (in foto) è una delle ultime storie di apostasia ambientate in Italia, emblematica quanto sconosciuta.
Rachida era una mamma trentacinquenne di due bambine. Quando il marito ha intuito che si stava per convertire l’ha aspettata a casa e l’ha uccisa a martellate. Un’infinità di colpi in viso e sulla testa perché di quella donna che aveva scelto di abbandonare l’islam per la libertà, che la giovane aveva riconosciuto nel cattolicesimo, restasse un viso senza identità. Rachida aveva iniziato a frequentare, a piccoli passi, una parrocchia vicino casa a Brescello (RE).
Qualcosa doveva averla attirata in un luogo dove le campane suonano a festa e si era ritrovata a confessare il suo disagio al parroco, come scoprirà la polizia. Il sacerdote aveva iniziato a seguirla spiritualmente e Rachida, pur di entrare in quella chiesa, s’era messa a fare le pulizie tra le panche una volta a settimana. Ma era stata una mossa troppo azzardata per una musulmana, e l’ha pagata con la vita, lasciando orfane le sue figlie. Uccisa a colpi di martello dal padre musulmano delle sue bimbe.
Perché è questo il trattamento che l’islam riserva a chi tradisce e rinnega Allah. All’islam non piace tenere per mano il cattolicesimo e non riesce a concepire l’amicizia con gli infedeli.
Il termine arabo per definire la situazione di un musulmano che rinnega l’islam è riddah. Chi si rende responsabile di questa scelta è chiamato murtadd, apostata. Nella sua gran parte l’islam ritiene che l’apostata meriti la morte. Convinzione radicata nei secoli al punto tale che, spesso, per poter giustificare l’eliminazione di qualcuno, lo si accusava – e si accusa – di apostasia. Oggi è un fenomeno sempre più diffuso e temuto in Occidente, non solo perché i musulmani hanno riabilitato questa pena, ma anche perché esiste una realtà poco conosciuta e, spesso, tutta Occidentale, che racconta di tanti convertiti al cattolicesimo. Motivo per cui, mentre troppi straparlano d’islam, ci sono schiere di ex musulmani che sono costretti a tornare nelle catacombe anche solo per salvaguardare le proprie famiglie.
E la pena è riservata anche a quanti sono solo accusati di tradimento della religione musulmana.
L’apostasia è un reato nel quadro dell’interpretazione tradizionale dell’islam, fondata sul Corano e sulla sunna. Per tanti si tratta di una norma presente nel Corano stesso e negli hadith (i detti del profeta), metterla in discussione equivarrebbe ad arrecare un’offesa al valore assoluto del Corano, qualcosa che governa in toto la vita del credente. Nell’economia del problema poco importa, oggi, infilarci nel dibattito di quanti vogliono il reato di apostasia come una sanzione fondata su una lunga tradizione nell’islam e vi trovano fondamento nel Corano e nella sunna, e quanti, invece, ritengono sia una mera invenzione dei giuristi musulmani promossa per motivi politici. Ad oggi è una realtà importante, una spada di Damocle dispettosa e vigliacca che pende sulle teste dei convertiti.
Un destino strano, spesso beffardo. Specie se si pensa l’onore e la gloria concessi a chi si converte all’islam. Nuove bandiere della modernità e fini intellettuali sono diventati in breve personaggi come Sinéad O’Connor o Mario Scialoja. Ma per il percorso inverso c’è solo una vita di nascondimento e paura che tanto mortifica, raccontano gli ex musulmani, l’ossessione all’ecumenismo forzato.
Negli occhi che abbiamo incontrato c’è la gioia insieme a una recondita solitudine che racconta come sia difficile spiegarsi e sentirsi così fraintesi. In una società che spesso non dà il giusto peso alla loro scelta, ma a consolarli c’è un amore nuovo che li riempie di coraggio. E spesso gli basta.
Ci tengono, però, quasi tutti, a mettere i puntini sulle ‘i’. E insistono su questioni fraintese, “se possiamo, lo diciamo”.
Allah non assomiglia a Dio che nel cattolicesimo è Trinità nella sua essenza. Allah è inaccessibile, Dio è Amore che si comunica tra Padre, Figlio e Spirito. Ribadiscono con forza. Dio è Misericordia che si china per innalzare il povero di spirito al Suo livello, Allah la concede solo a chi vuole – “Dio fa entrare nella Sua misericordia chi Egli vuole” (Corano 48:25).
Rispetto al ripetere che c’è anche Gesù nel Corano, non aggiungono che non è vero che il Corano s’ispiri ai racconti dei Vangeli apocrifi, ma solo che non dà ad essi senso teologico. Anzi, tutto ciò che di Gesù si dice nel Corano è l’opposto degli insegnamenti cristiani. Non è il figlio di Dio, ma un profeta e basta. Nel Corano, poi, è negata la Redenzione e che Cristo sia morto in croce. E’ stato crocifisso un suo sosia: “Non l’hanno ucciso, non l’hanno crocifisso, ma è sembrato loro” (Corano 4:157). Nel Corano quindi sono negate la Trinità, l’Incarnazione e la Redenzione. E guai a paragonare il digiuno cattolico con il Ramadan, non la prendono bene.
Sorridono amaramente quando gli si chiede se il vero islam sia contrario ad ogni violenza. La violenza islamica è nel Corano e non lo si può negare.
E quando ci è capitato di citare la “taqiyya” è stato possibile tracciare il fossato che divide Dio da Allah. Il concetto islamico di taqiyya è stato pensato per infiltrarsi nei paesi kafir e conquistarli. Secondo la taqiyya, ai musulmani viene concessa la possibilità di infiltrarsi nel Dar-al-Harb (la “casa della guerra”, ovvero i territori non islamici), fingendosi moderati per insediarsi nelle città e nei luoghi vitali dei nemici, al fine di aprire la strada all’islam. I dissimulatori agiscono spesso per conto delle autorità musulmane, e di conseguenza non sono da considerarsi apostati o nemici dell’ortodossia islamica. “Tattica” che ha in sè la natura di una religione che è anche un progetto politico.
I dissimulatori sono legittimi mujaheddin, o anche imam che “vengono in pace”, la cui missione è quella di fiaccare la resistenza del nemico, anche psicologica. Uno dei principali obiettivi è quello di causare divisioni tra gli avversari, sminuendo le responsabilità dell’islam.
La taqiyya è infatti la pratica di mentire nell’interesse dell’islam. L’obiettivo è quello di ingannare i miscredenti, convincendoli della bonarietà dell’islam attraverso l’eliminazione di dubbi e preoccupazioni su questa religione. La taqiyya è alla base della propaganda musulmana oggi in Occidente. Presentarla come una religione innocua, densa di libertà e diritti, è tra gli argomenti principali della taqiyya.
Mentire e rinnegare il proprio Dio, come in un qualsiasi travestimento militare, non ha niente di sano, niente di simile al cattolicesimo, ci raccontano ancora i neo convertiti. Ed è di loro, delle loro storie, dei drammi e della loro speranza cristiana che nei prossimi giorni racconteremo per sollevare il velo su questi nostri fratelli fantasmi due volte: in casa e in quella Chiesa che li ha accolti, ma oggi rischia di esporli alla solitudine e all’emarginazione.