L’Occidentale mercoledì 18 Marzo 2020
di Renato Tamburrini
Nella grande guerra del Coronavirus i campi di battaglia sono molto affollati: il teatro principale resta saldamente quello della medicina e dell’epidemiologia, ma attorno si muovono attori sociali e politici a cui è bene guardare con attenzione. Se ci limitiamo solo al panorama italiano assistiamo quotidianamente a una frattura tra poteri centrali e poteri regionali sulle scelte degli uomini chiave, sulla tempistica e sul coordinamento degli interventi.
E poi, appena fuori, la scena è occupata dalle decisioni di Boris Johnson, dall’atteggiamento di Christine Lagarde e dei paesi UE e dall’enigma tedesco, su cui è intervenuto Giulio Sapelli con un articolo illuminante. Ma il grande gioco resta quello della contesa sull’egemonia mondiale, il cui esito potrebbe porre fine alla lunga fase di incertezza subentrata al bipolarismo russo-americano. Quando l’epidemia avrà mollato la sua presa, o piuttosto – come pensano alcuni – la bestia sarà stata addomesticata con un vaccino o comunque con un depotenziamento dell’aggressività del virus, si tireranno anche alcune somme geo-politiche.
Fatto sta che il “cigno nero” del Coronavirus è piombato in mezzo a una guerra che era già in corso e in un primo tempo ha messo nell’angolo mediatico uno degli attori principali: la Cina. Infatti lo scoppio dell’epidemia era stato accompagnato da voci sulla “fuga” di un virus da un laboratorio militare nel Wuhan: una notizia mai dimostrata, ma giudicata plausibile anche da un’agenzia seria come Asianews, espressione del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere).
Comunque in un primo tempo le autorità cinesi avevano tentato di nascondere l’epidemia, al punto di minacciare e punire i medici che ne parlavano: la situazione era nota probabilmente dal novembre 2019, ma ancora tra il 12 e il 17 gennaio i funzionari locali avevano continuato a sostenere che nella città non c’era alcuna infezione.
L’annuncio ufficiale è venuto solo il 18 gennaio, e la quarantena è stata decretata il 23 gennaio. Nel frattempo non erano stati bloccati i primi rientri dal Capodanno cinese di residenti all’estero. Un quadro davvero sconcertante, che i commentatori hanno immediatamente assimilato all’atteggiamento sovietico nella vicenda di Chernobyl; immediata anche la deduzione che i regimi totalitari non sono in grado di gestire le emergenze gravi perché tentano di nasconderle e sono lenti e burocratici nella risposta.
Qualcuno si è spinto subito a pronosticare l’inevitabile collasso della potenza cinese proprio sulla base dell’effetto Chernobyl. Ma che fosse un po’ troppo presto per dirlo, si è visto quasi subito. A partire dal 18 gennaio, il regime ha scelto la via della pubblicità e della dimostrazione davanti al mondo della capacità reattiva del popolo cinese, guidato con sicurezza dal partito comunista.
Le severe misure di quarantena messe in atto nel Wuhan e negli altri focolai minori, aiutate non poco dalla capacità repressiva del regime, hanno consentito un cambiamento del modulo comunicativo con effetti quasi immediati, come ci ha puntualmente ricordato Roberto Arditti in un articolo su Huffington Post di cui abbiamo parlato anche noi dell’Occidentale.: “Pechino ha messo in campo un piano eccezionale d’intervento mostrando al mondo intero di disporre del potere assoluto (fino a quello di vita e morte) sui propri cittadini e sulle loro relazioni sociali, economiche e familiari” … “la battaglia contro il Coronavirus si è combattuta con ampio utilizzo di tecnologia e big data… tutto è stato usato per sconfiggere il Virus, tutto è nelle mani dello Stato (che d’ora in poi potrà farne ciò che vuole)”.
Il 9 marzo hanno dichiarato la fine dell’emergenza ed è cominciata una nuova fase, una cavalcata propagandistica senza precedenti per velocità e indice di successo. Forti dei risultati sul fronte dell’epidemia (almeno, di quelli proclamati) si sono dati da fare per portare il loro aiuto ai paesi colpiti dal virus cinese, in termini di competenze acquisite e di attrezzature mediche. In questa operazione, in cui i prodotti venduti sono stati rapidamente trasformati in doni generosi, come pure le restituzioni della Croce Rossa, hanno trovato un supporto caloroso nei loro tradizionali estimatori italiani.
Spiccano il ministro degli esteri Di Maio, il vice-ministro della salute Silieri, ma non sono isolati. Ce lo racconta Mattia Soldi su Formiche: “…l’annuncio in pompa magna, sulla pagina ufficiale del Movimento Cinque Stelle, primo partito della maggioranza di governo. ‘L’amicizia e la solidarietà reciproca pagano’ recita il post pentastellato, con tanto di dettagli e numeri sul carico made in China. O meglio, recitava il post. Perché, nel giro di pochi minuti, è scomparso nel nulla.
Forse qualcuno ha fatto notare che, contemporaneamente, le agenzie battevano la stessa notizia, spiegando però che l’Italia si presta ad “acquistare”, non a ricevere, i ventilatori. Contemporaneamente, un post dell’ambasciata cinese su facebook riscuoteva grande successo. Stessa notizia, con una premessa: “La Cina è pronta a fare la sua parte in segno di profondo ringraziamento verso l’Italia”.
Sotto, per ora, si contano più di 13.000 commenti. Un profluvio di ringraziamenti, ma anche di insulti, all’Europa, “fuori subito!”, agli Stati Uniti, perfino al Vaticano. Effetto voluto? Difficile che dispiaccia.” Segue a ruota una pessima sortita della Presidente della BCE Christine Lagarde sulle responsabilità dello spread, che non solo ci butta nel baratro la borsa, ma consente il lancio di un trend propagandistico basato sull’opposizione Europa cattiva/Cina buona: una conferenza capitata davvero a fagiolo, proprio come l’infelice fermo tedesco del materiale sanitario ordinato dall’Italia, poi per fortuna sbloccato.
A questo punto l’operazione di “de-sinizzazione” del virus e della gestione iniziale dell’epidemia (cancellato dall’immaginario anche il contesto igienico del famoso mercato di Wuhan) è compiuta, al punto che in alcuni comunicati cinesi si parla di “virus italiano”: il paradigma si è completamente rovesciato, ora è il resto del mondo che deve ringraziare la Cina.
Di più, sentendosi forti e al riparo dell’applauso universale, per bocca di un portavoce del ministero degli esteri, Zhao Lijian, provano a ribaltare – con non molta fortuna per ora – la storia dell’origine dell’epidemia, attribuendola a 172 soldati americani che avevano stazionato a ottobre nel Wuhan per i Military world games. Ci sono tutte le premesse di una vera e propria vittoria culturale del modello cinese, che diventa tragicamente appetibile di fronte al disordine e alla meschinità delle democrazie occidentali.
Il modello è un mix di poliziesca efficienza centralizzata, capitalismo quanto basta, e comunismo con una buona dose di retroterra simbolico e messianico. La stessa formulazione del Chinese Dream non è casuale, ma nasce da una precisa scelta propagandistica e da una visione a suo modo millenaristica del compito della Cina nella storia mondiale.
È interessante seguirne il percorso nel blog dello storico Arnaldo Testi: “Nel novembre 2012 comincia a essere usata da colui che ne diventerà il più noto profeta in patria, l’allora nuovissimo Segretario generale del partito comunista e poi Presidente della repubblica cinese Xi Jinping. …Il sogno cinese ricorre con frequenza nei discorsi di Xi fra la fine del 2012 e l’inizio del 2013. Da lì si diffonde nel linguaggio politico e giornalistico fino ad atterrare nel novembre 2013, in versione militaresca, sulla tolda della prima portaerei del paese. Nella retorica del leader configura una profezia: ‘Il sogno cinese riguarda la prosperità del paese, il ringiovanimento della nazione, la felicità del popolo’… È qualcosa di più di uno slogan, è la visione di una società che, se il popolo seguirà le indicazioni del partito, se tutti daranno il loro contributo, arriverà a maturazione a metà del secolo – per la precisione nell’anno 2049, il centenario della vittoriosa rivoluzione comunista. Da allora, dice la promessa, la Cina sarà una società forte e “armoniosa”, si sarà lasciata alle spalle la povertà e la corruzione, e avrà un posto al sole nel mondo.