Il Foglio, 29 dicembre 2007
Al direttore
Vivo giorni solitari, sereni, dedito alla cura di una vecchia madre, alle incombenze quotidiane; la lettura del Foglio è il mio contatto con il contemporaneo e ne sono grato, ma queste cose lei le sa perché mi onora della sua stima.
Non ho mai sottoscritto un appello. Non che non creda alla lotta delle idee, alla sua necessità, ma per me fa fede la parola e l’operare di ogni giorno e poi sono troppo montanaro cavallante per apporre la firma in apposito spazio. La signatura con croce sarebbe più adeguata.
Il suo appello per una “nuova (doppia) moratoria” mi interroga e mi restituisce a un travaglio di pensieri a lungo pensati in situazioni diverse.
Anni fa venni pubblicamente attaccato su Radio Popolare per un’intervista in cui esprimevo un’opinione sulla pena di morte non consona al moralismo vigente, tanto alternativo che conformista. Venni tacciato di fascismo, venne richiesta abiura in pubblico dibattito pena l’esclusione di CCCP/CSI dalla programmazione musicale.
Scrissi una breve lettera al direttore in cui ribadivo che ognuno risponde per le proprie opinioni ed è responsabile delle proprie azioni; io ero libero di non accettare il dibattito loro di radiarmi. Mi rispose con gentilezza e tutto finì senza conseguenze. Semplifico un po’ per dare l’idea. Io non ho mai pensato che l’abolizione della pena di morte sia cosa giusta.
Non lo è perché è una resa simbolica al male e confonde bontà con l’accettazione dell’inaccettabile. Ci sono crimini che sgomentano per ferocia e crudeltà, per l’innocenza e l’impotenza delle vittime, e la pena di morte può essere una forma molto imperfetta di tensione alla giustizia.
Giustizia non è il perdono che la sublima e vanifica. Il perdono è solo della vittima, non si può perdonare per interposta persona. Nel codice penale deve esistere la grazia ma deve essere concessa da una funzione altra, non da chi amministra la giustizia. La grazia, nella complessità della convivenza civile, è indispensabile perché la giustizia deve equilibrarsi con la misericordia ma non può confondersi con l’ignavia.
La giustizia non è degli uomini ma la tensione alla giustizia è doverosa. La confessione come sacramento del perdono non ha valenza civile, non salva dalla legge ma la richiede. Comunque credo che amore e giustizia siano per l’uomo fonte di insolvibile contraddizione, solo in Dio coincidono.
Tutto questo non significa che mi metterò a raccogliere firme per la reintroduzione della pena di morte, è che non concordo con le motivazioni e soprattutto con l’aura di superiorità morale e perfezione democratica che sottende la moratoria.
7Mi pare il sussulto in mondo visione di una cattiva coscienza laica e religiosa che abiura ai propri doveri e se ne fa vanto. Non è la stessa cosa prevedere la pena di morte per un massacro efferato, un reato di opinione, un comportamento ritenuto non consono. Il farne tutt’uno è un atto malvagio, un supplemento di pena imposto alle vittime e scontato ai carnefici.
La soddisfazione che traspare nei protagonisti per tanto traguardo mi ricorda la giunta di Napoli che assicura ai propri cittadini il livello più infimo, nel mondo occidentale, di gestione dei rifiuti unito al più alto tasso di criminalità ma impone il divieto di fumo nei giardini pubblici perché nocivo alla salute.
Di procurata morte, splatter, gratuita, si nutre la letteratura, il cinema, l’arte. La morte spettacolare copre la cronaca del mondo occidentale. La morte inflitta per motivi politici, religiosi, sessuali, racconta ogni giorno la deriva del mondo musulmano ed è merce d’esportazione. La criminalità ne fa il suo punto di forza. L’organizzazione economica l’accetta come inevitabile. Che colpo di teatro decretarne la moratoria in quanto pena. Applausi.
A proposito dell’aborto sottoscrivo ogni sua parola, ogni considerazione, ne percepisco la tensione. E’ una questione privata, anche. Quando mio padre morì, d’improvviso, e mia madre si trovò gravida di nuova vita, qualcuno, per buoni sentimenti tra cui la sua salute psicofisica, il rischio per la salute del nascituro, la situazione economica più che precaria, le consigliò di abortire.
Qualcuno per meno nobili sentimenti di cui uno coercitivo: – non si deve è peccato mortale – si raccomandò che non lo facesse. Molti le mostrarono compassione. Mia nonna condivise la sua pena e sono nato io. Abortire è uccidere. Un’uccisione di cui non saprei commisurare la pena. Voglio pensare che avrei perdonato mia madre, nel caso.
Non vorrei mai, per questo motivo, vedere una donna, che coadiuva il Creatore nel generare la vita, in tribunale tra avvocati e codicilli, ma considerare l’aborto un diritto sanitario mutuabile, questa è la realtà, comporta organizzazione e ottimizzazione scientifica burocratica economica di un crimine consumato quotidianamente nella rispettabilità del sistema sanitario pubblico e la cui colpa ricade sull’intera società. Ne nutre la disgregazione, lo sfacelo. Quanti se ne lamentano dovrebbero chiedersi di che si lamentano.
Il mondo in cui sono nato pone a suo fondamento la nascita di un bimbo, un bimbo che è Dio fatto uomo, Incarnato, e con lui tutti i bimbi. E’ il mio mondo è ciò che amo e difendo.
Mi incanta il suo fioretto per il tempo di Natale ma non la seguirò. Le chiedo venia. Non dispongo di tanta libertà nel comportamento, ne uscirebbe una quotidianità demenziale e non è il caso, non in casa, non durante il Santo Natale.
La abbraccio calorosamente, suo devoto
Ferretti Lindo Giovanni