L’incontro con il male genera interrogativi profondi e terribili: perché c’è il male? Qual è la natura del male e qual è la sua causa? Se Dio c’è, come può permettere che esista il male? A causa della drammaticità della sofferenza talvolta la ribellione dei sentimenti prevale sulla visione obiettiva della realtà portando alla proclamazione di un ateismo che ha più le caratteristiche della rivalsa che del giudizio razionale.
di Laura Boccenti
Nel corso della vita l’uomo fa esperienza del male nelle sue molteplici manifestazioni; ogni esistenza sembra essere sottomessa all’opera distruttiva del dolore e della sofferenza. L’incontro con il male genera interrogativi profondi e terribili: perché c’è il male? Qual è la natura del male e qual è la sua causa? Se Dio c’è, come può permettere che esista il male? A causa della drammaticità della sofferenza talvolta la ribellione dei sentimenti prevale sulla visione obiettiva della realtà portando alla proclamazione di un ateismo che ha più le caratteristiche della rivalsa che del giudizio razionale.
Natura del male
Per tentare di comprendere il senso del male si può partire dalla riflessione sull’esperienza.
Il primo fatto che emerge è che il male non è mai sperimentato per primo, non si presenta come esperienza originaria, piuttosto esso viene percepito quando inizia a mancare il bene opposto: la malattia è il venir meno delta salute, la colpa il venir meno dell’innocenza, la morte il venir meno della vita. Questo fatto testimonia la natura negativa del male, il suo essere l’assenza di qualcosa e quindi di non esistere in modo autonomo. Si può quindi dire che il male per sua natura è privazione e rimozione del bene e non un’entità con una natura propria.
Se il male non è un’entità positiva con una capacità d’agire radicata nella propria natura come può operare la privazione del bene? San Tommaso dice che il male è distruttiva non in virtù di un’azione propria, ma per la corruzione della forma di una realtà esistente che si allontana dal suo fine per seguire un fine indebito. Ad esempio, l’intemperante non è tale perché vuole privarsi del bene della sobrietà, ma perché vuole i piaceri degli alimenti in modo disordinato, cioè in modo non conforme al giudizio di ragione.
Per questo motivo secondo san Tommaso la questione “se Dio esiste, da dove viene il male?” deve essere capovolta nell’affermazione “se esiste il male esiste Dio” infatti resistenza del male si manifesta come rimozione dell’ordine del bene e, se non esistesse Dio, non esisterebbe neppure tale ordine.
Causa del male
Certamente ogni male ha una causa però la capacità dl causare può essere attribuita solo a qualcosa che esiste, perché per poter agire una cosa deve prima di tutto essere, ma ogni cosa che esiste in quanto esiste è anche un bene. L’unico modo in cui il male può derivare da un ente è per un difetto nell’azione. Dio non può essere la causa del male perché la natura divina esclude qualsiasi imperfezione.
Gli enti che non hanno la libertà non possono essere causa del male in senso proprio, perché non possono agire se non secondo la finalità inscritta nella loro natura, così per esempio non si può dire che il fuoco è male perché ha bruciato la casa di un povero. Il male può essere causato solo da soggetti che siano liberi e che, pur partecipando dell’essere e quindi del bene, non s’identifichino con l’Essere e il Bene; solo un soggetto libero infatti può agire prescindendo dall’ordine e solo un ente limitato può compiere il male, non a causa del suo essere finito, ma in quanto agisce in modo manchevole: non è la libertà la causa del male, ma il suo esercizio manchevole e disordinato.
In alcuni casi i legame tra male e libertà è evidente, ad esempio nei delitti, nelle crudeltà, nelle maldicenze; in altri casi però tale legame rimane occulto come capita quando una malattia colpisce un innocente, soprattutto questo genere di male a provocare la sofferenza più grande, perché in questi casi sembra che il dolore sia ingiusto e senza senso.
Senso della sofferenza
Pur essendo un essere finito, l’uomo vive l’esperienza interiore del desiderio; egli infatti desidera conoscere e amare senza limiti e per questo vive desiderando di rendere la sua esistenza illimitata come il desiderio che esperimenta. La sofferenza è l’altra faccia del desiderio. Il patimento infatti si presenta ogni volta che la naturale tensione verso il raggiungimento di un bene viene impedita da una situazione su cui l’uomo non ha controllo e che non può dominare. L’uomo soffre ogni volta che un ostacolo si erige tra sé e il proprio compimento; la morte è l’ostacolo che scatena nell’uomo il massimo della sofferenza perché e l’evento che sembra negare totalmente e definitivamente il desiderio di illimitata realizzazione.
La mentalità materialistica che domina la cultura contemporanea è incapace di trarre significato dalla sofferenza, perché essa rappresenta il fallimento del progetto del totale benessere; l’uomo che riduce la realtà a materia manipolabile di fronte al male cade nell’angoscia, perché esso gli rivela la sua impotenza, oppure tenta di occultarne il senso riducendolo a dolore, problema affrontabile e risolvibile con la tecnica. Ma se la sofferenza nasce dal centro stesso dell’essere dell’uomo bisogna rifiutare ogni sua riduzione illusoria, intatti l’esperienza del male può, nonostante la sua asprezza, diventare una via di accesso e un principio d’interpretazione della realtà umana.
Ricorda:
“È significativo che s. Tommaso, prima dì esporre le sue cinque vie, si ponga l’obiezione della presenza del male nel mondo e va notato che, a proposito della quinta via, egli non parte da un supposto ordine universale, ma da quello di alcune cose (aliqua quae cognitione carent). Ascesi a Dio dal finalismo indubbio che, sia pure parzialmente, cogliamo nel mondo dell’esperienza, dobbiamo concluderne che Dio deve avere delle ragioni (per noi misteriose) per permettere il male. Addirittura s. Tommaso afferma, in modo icastico: ‘Se c’è il male, Dio esiste; perché il male suppone il bene e questo non esisterebbe, se non ci fosse un Creatore onnipotente e buono. In altre parole, il male prova la precarietà del reale che, quindi, non può essere l’Assoluto che si auto-spiega”.
Bibliografia:
Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, 1984.