23 settembre 2015
di Massimo Introvigne
Il 22 settembre 2015 Papa Francesco, portandosi la mano sul cuore, ha salutato Cuba all’aeroporto di L’Avana ed è volato negli Stati Uniti, dove arriverà nella tarda serata di martedì alla Andrews Air Force Base di Washington. La sua ultima giornata cubana è stata dedicata alla devozione mariana, che – ha detto – ha salvato la fede a Cuba in anni drammatici, e alla difesa della famiglia, che i poteri forti di questo mondo attaccano perché gli individui isolati, senza famiglia, sono più «facili da manipolare».
Gli ultimi due incontri cubani del Papa sono stati a Santiago, dove si trova il Santuario della Madonna della Carità del Cobre, patrona di Cuba, e dove Francesco ha celebrato la Messa e ha incontrato le famiglie. Nell’omelia il Papa è partito dal Vangelo, che presentava la visita di Maria a Santa Elisabetta. Una pagina che Francesco ama molto, perché «ci mette di fronte alla dinamica che il Signore genera ogni volta che ci visita: ci fa uscire da casa. Sono immagini che più volte siamo invitati a contemplare. La presenza di Dio nella nostra vita non ci lascia mai tranquilli, ci spinge sempre a muoverci. Quando Dio ci visita, sempre ci tira fuori di casa. Visitati per visitare, incontrati per incontrare, amati per amare».
Maria è una ragazza «tra i 15 e i 17 anni, che in un villaggio della Palestina è stata visitata dal Signore che le annunciava che sarebbe diventata la madre del Salvatore. Lungi dal credersi chissà chi e dal pensare che tutti sarebbero venuti ad assisterla o servirla, lei esce di casa e va a servire» Elisabetta. Non è una curiosità, è una lezione fondamentale su cui Francesco torna spesso. «La gioia che scaturisce dal sapere che Dio è con noi, con la nostra gente, risveglia il cuore, mette in movimento le nostre gambe, “ci tira fuori”, ci porta a condividere la gioia ricevuta». Il Vangelo precisa che «Maria uscì in fretta, passo lento ma costante, passi che sanno dove andare; passi che non corrono per “arrivare” troppo rapidamente o vanno troppo lenti come per non “arrivare” mai». Senza essere «né agitata né addormentata, Maria va di fretta». Visitata da Dio, va a visitare la cugina Elisabetta, che è incinta. E da allora non si è più fermata. «Ha saputo visitare e accompagnare nelle drammatiche gestazioni di molti dei nostri popoli; ha protetto la lotta di tutti coloro che hanno sofferto per difendere i diritti dei loro figli». E continua a farlo ancora oggi.
Anche Cuba è stata visitata da Maria. «La patria cubana è nata e cresciuta nel calore della devozione alla Vergine della Carità». Cento anni fa, ha ricordato Francesco, nel 1915, i cubani scrissero a Benedetto XV chiedendo di proclamare la Vergine della Carità del Cobre Patrona di Cuba. Si rivolsero al Papa di allora con queste parole: «Né le disgrazie e né le privazioni riuscirono a ‘spegnere’ la fede e l’amore che il nostro popolo cattolico professa a questa Vergine, ma anzi, nelle più grandi vicissitudini della vita, quando era più vicina la morte o prossima la disperazione, sempre è sorta come luce che dissipa ogni pericolo, come rugiada consolatrice … la visione di questa Vergine benedetta, cubana per eccellenza … perché così l’hanno amata le nostre indimenticabili madri, così la benedicono le nostre spose».
Parole, ha detto Papa Francesco, che sembrano scritte per i nostri giorni. Dal santuario del Cobre, Maria «custodisce le nostre radici, la nostra identità, perché non ci perdiamo su vie di disperazione». I drammi di Cuba «non sono riusciti a spegnere la fede; quella fede che si è mantenuta viva grazie a tante nonne che hanno continuato a render possibile, nella quotidianità domestica, la presenza viva di Dio»: «nonne, madri, e tanti altri» che «hanno tenuto aperta una fessura, piccola come un granello di senape, attraverso la quale lo Spirito Santo ha continuato ad accompagnare il palpitare di questo popolo».
Ora Cuba, ha detto il Papa, ha bisogno di una rivoluzione: ma è «la rivoluzione della tenerezza», la rivoluzione di Maria. «La nostra rivoluzione passa attraverso la tenerezza, attraverso la gioia che diventa sempre prossimità, che si fa sempre compassione – che non è pietismo, è patire-con, per liberare – e ci porta a coinvolgerci, per servire, nella vita degli altri. La nostra fede ci fa uscire di casa e andare incontro agli altri per condividere gioie e dolori, speranze e frustrazioni. La nostra fede ci porta fuori di casa per visitare il malato, il prigioniero, chi piange e sa anche ridere con chi ride, gioire con le gioie dei vicini». Francesco vuole una Chiesa «che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità di un popolo nobile e dignitoso».
Maria, ha detto il Papa nel successivo incontro con le famiglie, ha difeso Cuba difendendo la famiglia. Dove la famiglia è minacciata, come «accade in molte culture al giorno d’oggi», lì «tutto tende a separarsi, isolarsi», nella «divisione e massificazione». Perché i padroni di questo mondo attaccano la famiglia? Perché, ha spiegato Francesco, dove viene meno la famiglia «le persone si trasformano in individui isolati, e dunque – spiega – facili da manipolare e governare».
In famiglia, invece, «non c’è posto per le maschere, siamo quello che siamo e siamo chiamati a cercare il meglio per gli altri». «Quando viviamo bene in famiglia, gli egoismi diventano piccoli: esistono, perché tutti noi abbiamo qualcosa di egoistico… Però quando non si vive una vita di famiglia, si vanno ingrandendo queste personalità che possiamo chiamare cosi: “Io, me, con me, per me”. Totalmente centrati in se stessi, che non conoscono la solidarietà, la fraternità, il lavoro insieme, l’amore, la discussione».
Il futuro del mondo, ha ribadito il Pontefice, passa per le famiglie. «In una casa vuota non di persone ma vuota di relazioni, vuota di contatti umani non si sa aspettare, non si sa chiedere permesso, non si sa chiedere scusa, non si sa dire grazie». Le famiglie vanno dunque difese come «veri spazi di libertà», senza i quali «si perdono le relazioni che ci costituiscono come persone, che ci insegnano ad essere persone».
Qualcuno potrebbe obiettare che oggi in tante famiglie la vita non è idilliaca. Il Papa risponde che «è in casa che sperimentiamo il perdono». In ogni famiglia «può capitare di assistere a qualche discussione, a qualche litigata tra il marito e la moglie»: «non bisogna averne paura», e Francesco confida di avere «più paura di alcuni matrimoni in cui mi dicono che mai, mai hanno avuto una discussione…». Forse questi sposi non discutono perché non si parlano più.
Alle famiglie in difficoltà, Francesco propone l’Eucarestia, «la cena della famiglia di Gesù». Gesù – è il pensiero che il Papa lascia alle famiglie, invitandole a pregare per l’Incontro mondiale di Filadelfia e per il Sinodo – «vuole essere sempre presente nutrendoci con il suo amore, sostenendoci con la sua fede, aiutandoci a camminare con la sua speranza».