A 40 anni dalla legge sull’aborto l’Inghilterra ci ripensa
di Annalena Benini
La biondina si era resa conto di essere incinta circa all’ottava settimana, ma non aveva il coraggio di dirlo alla madre. Le settimane passavano. Non sapeva che fare, aveva già programmato di andare al college, e il suo ragazzo allora le ha detto: sono con te, qualunque cosa farai. Alla fine ha deciso di abortire in segreto, ma le madri scoprono sempre tutto e sua madre le ha preso l’appuntamento dal medico.
L’aborto della biondina da noi è illegale, sedici settimane sono troppe, e a ventiquattro un bambino potrebbe perfino sopravvivere (a venti sente il dolore, dicono i medici). Ma in Gran Bretagna la legge è la stessa di quarant’anni fa: era l’ottobre del 1967 quando a Londra si stabilì che una gravidanza indesiderata si può interrompere fino a ventiquattro settimane (sei mesi).
Così, su duecentomila aborti l’anno, circa ventimila avvengono tardi, molto tardi, e sono soprattutto le biondine sedicenni a farli. Perché non sapevo di essere incinta, perché il mio ragazzo non mi voleva accompagnare, perché pensavo che se andavo molto in motorino poi abortivo senza accorgermene.
“Cosa succede veramente durante l’aborto”, è una lunga inchiesta del Daily Mail, e la biondina ha detto che non lo sa, che ha guardato su Internet ma poi “era quello che dovevo fare, tanto valeva non darsi pena”. Il primario della clinica Marie Stopes, John Spencer, dice che “difficilmente le donne chiedono i dettagli”. Soprattutto quando i giorni passano e la pancia cresce.
Così la biondina entra, e in dodici minuti di anestesia totale è tutto fatto. Quello che i medici chiamano “il prodotto del concepimento” viene velocemente fatto sparire in un sacchetto di plastica giallo. Dopo un paio d’ore la biondina, un po’ intontita esce dalla clinica e torna a casa in macchina con la madre, va verso il resto della sua vita.
Il fatto è che nemmeno i medici completamente pro choice ne possono più, ha scritto il Daily Mail. Il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists ha appena denunciato la penuria di medici disposti a eseguire aborti. “Penso che ognuno abbia il suo punto limite. Non è scientifico, è solo personale, ed è la grandezza del feto”, ha detto la dottoressa Kate Guthrie, che si è rifiutata di effettuare aborti oltre la ventesima settimana: “Ha troppo di un bambino, penso che sia per questo”.
Non serve essere pro life per vedere un bambino dove c’è un bambino, non serve essere pro life per chiedere una restrizione della legge inglese sull’aborto.
“Penso che sia completamente barbarico che una feto di ventiquattro settimane venga abortito al secondo piano di un ospedale, mentre al piano di sopra, nel reparto di cura neonatale, provano a salvare la vita di un altro della stessa età”, ha detto il dottor Trevor Stammers, a Wimbledon, e il Daily Mail ricorda che l’ultima discussione parlamentare sull’aborto risale al 1990: da allora molte cose sono cambiate, la medicina e la scienza hanno fatto giganteschi passi avanti.
E a Liverpool lo scorso luglio è nata una femmina di ventitré settimane, l’hanno chiamata Hope, Speranza, e messa in incubatrice: aveva una settimana in meno del termine in cui sua madre avrebbe potuto legalmente abortirla, e tre settimane dopo si attaccava alla vita con le dita minuscole. Perché attaccarsi alla vita con le dita è tutto quello che possono fare, e persino il cinico, fichissimo, scorretto dottor House (la serie americana di grandioso successo) ci si è trovato davanti e si è sconvolto.
Continuava a dire alla sua paziente di interrompere la gravidanza, di eliminare “il feto” che la stava uccidendo. Si rifiutava di chiamarlo bambino. Fino a che quel feto gli ha stretto un dito, durante una spettacolare operazione di chirurgia fiction prenatale (tutto è andato alla grande, poi, la fiction è meravigliosa per questo: madre e bambino salvi, il dottor House sul divano, da solo, a imbottirsi di analgesici e a riguardarsi il dito).
(A.C. Valdera)