Pietro De Marco
Dopo un trentennio di latenza, fors’anche di subalternità e marginalità nella sfera pubblica, appena risarcite da un pontificato di geniale respiro e grande coraggio, i cattolici italiani hanno da poco ripreso coscienza del loro ruolo pubblico. Ruolo cui non possono sottrarsi, e che non può risolversi nell’immersione in altri terreni, considerato che la politica si manifesta veramente nell’essere capaci di responsabilità di indirizzo nella vita del Paese. Senza questo orizzonte la “politicità” – non solo cattolica ma di chiunque – si fa declamatoria e moralistica, e nella sostanza diventa dipendente dagli altri.
Anzitutto nel dimenticare che l’articolazione cattolica della fede avviene in una tessitura razionale aperta ai saperi pratico-politici, e capace anche di fondarli; errore, poi, nel sottovalutare l’impianto antagonista al cristianesimo nelle culture politiche razionali-mondane cui si dava fiducia.
Non sono certo mancate al nostro interno le resistenze a tale deriva, e a queste va – tutto sommato – oggi espressa gratitudine; seppure in termini complessivi siamo stati a lungo incapaci di prendere in mano – da protagonisti – la nostra stessa condotta pubblica; e su questo fondamento ritrovare una certezza di ruolo pubblico nello scenario nazionale ed europeo, che non fosse fungibile da altre forze o ideologie.
Tale volontà si è finalmente manifestata in questi mesi nella mobilitazione oppositiva ai referendum. Non si è trattato, come evidentemente non poteva trattarsi di una semplice passeggiata, ma piuttosto di un parto faticoso.
Per fortuna però fin dal suo avvio, questa iniziativa ha inteso esprimersi come proposta di argomenti e obiettivi razionali, non “di fede”; esattamente come nei secoli scorsi erano stati capaci di rivelare i diversi cristianesimi costruttori di civiltà. È semplicemente un candido spiritualismo quello che ha portato i critici a stupirsi del fatto che non “per fede” (entro cioè un puro ragionamento “teologico” o forse “mitico”) ma con riferimento alle scienze, la Chiesa parlasse di vita umana e di diritti dell’innocente.
Eppure la tradizione maestra del cristianesimo è questa: con la teologia e il diritto razionali il cristianesimo ha creato l’Occidente, non con l’esoterismo di mondi paralleli. La Rivelazione parla dell’unica realtà. Finalmente la stessa volontà cattolica si è posta ora in termini pubblici, avendo individuato un «avversario» da cui non farsi umiliare. Tanto più che la sfida da questi lanciata era rivolta ad estendere il proprio monopolio ad ogni rilevante livello della vita del Paese. Ma non vi può essere abilità pubblica senza capacità di riconoscere le sfide ed affrontarle.
Non è un caso che questa risposta abbia preso forma su un suo terreno di elezione, quello dei fondamenti dell’antropologia dell’Occidente, di cui le culture cristiane sono naturali custodi. Ha preso forma, assumendosi la responsabilità di fare fronte, e meritare al proprio fianco il consenso e l’apporto di intelligenze laiche di qualità, di indicare a tutti – ecco la funzione pubblica – il bene da proteggere, il valore da perseguire e, non ultimo, di adottare una risposta efficace, non meramente dimostrativa, come deve avvenire quando la posta in gioco è alta e la qualità della risposta è fortemente connotata in termini civili.
Alla ricerca di nuovi modelli di testimonianza, la cultura cattolica deve apprendere da quest’ultima vicenda che, per esercitare un compito storico, ci vuole il coraggio di individuare gli obiettivi, e la duttilità di modulare il confronto in rapporto ai fini.