Unione Cristiani Cattolici Razionalisti (UCCR)18 Dicembre 2025
Come rispondere alla famosa obiezione del relativismo religioso geografico o culturale? Siamo cattolici solo perché nati in ambito cattolico? Abbiamo individuato 5 importanti errori commessi da chi sostiene questa obiezione e vuole ridurre la fede cristiana a “una delle tante”.
La redazione
“Sei cattolico solo perché sei nato in Italia”.
Non te l’hanno mai detto? Impossibile, è un noto tentativo di ridurre la religione ad una estensione della cultura e della posizione geografica.
L’obiezione più completa suona più o meno così: «Credi che il cristianesimo sia vero semplicemente perché sei cresciuto in una cultura cristiana. Se fossi cresciuto in una cultura musulmana, ad esempio, crederesti che l’Islam fosse vero con la stessa passione e certezza».
Ecco come ha formulato l’argomento Richard Dawkins: «Quanto è premuroso Dio dal disporre le cose in modo che, ovunque tu sia nato, la tua religione locale si riveli essere quella vera».
Mentre è ovvio che le influenze culturali e geografiche favoriscono spesso un particolare punto di vista o un comportamento, abbiamo comunque individuato almeno cinque errori clamorosi commessi da chi generalizza questo elemento per negare la verità del cristianesimo.
Possiamo chiamarlo l’”argomento del relativismo religioso geografico“, oppure l’”obiezione del bias culturale”.
1) L’origine di una credenza non determina la sua verità Nella sua frase citate sopra, Dawkins lega l’argomento alla verità della propria religione.
E’ il primo errore importante del relativismo religioso geografico sostenere che l’origine in un determinato contesto culturale o area geografica influisca sul fatto che un’idea sia automaticamente vera o falsa.
In filosofia può essere definita una fallacia genetica, ovvero si giudica la verità di un’idea sulla base della sua origine piuttosto che dei suoi meriti.
Per fare un’analogia, se fossimo nati su un’isola deserta in cui gli abitanti fossero tutti estremamente convinti che la terra sia piatta, ciò non cambierebbe il fatto oggettivo che è rotonda.
La verità è indipendente dalle circostanze geografiche o culturali.
2) Nessuno divieto a contrastare la propria cultura
E’ vero che l’Occidente è un continente profondamente influenzato e segnato dal cristianesimo, vi sono milioni di persone che credono a tutt’altro.
Il secondo errore è trascurare che non c’è nessun obbligo ad aderire alla verità cristiana e non c’è nessun divieto a sposare altri convincimenti. C’è sempre un’interazione dinamica tra individuo e contesto geografico e culturale.
Questo vale per tutte le convinzioni che sono disallineate con la cultura d’origine.
Ecco tre esempi che contrastano l’assunto del determinismo culturale/geografico assoluto:
- Tantissimi arabi che si convertono al cristianesimo senza mai lasciare la loro terra d’origine;
- Nelle nazioni a regime comunista (come la Cina) moltissimi abbracciano idee capitalistiche o liberali, anche a rischio della vita;
- In società tradizionalmente conservatrici, molte persone scelgono stili di vita radicalmente progressisti…e viceversa;
Le persone non sono semplicemente “programmate” dal loro contesto culturale, ma hanno la capacità di esplorare, mettere in discussione e cambiare il loro punto di vista.
Lo dimostra anche l’indagine psicologica della fede, l’eminente psichiatra argentina Ana-María Rizzuto, docente di Psicologia della religione presso l’Università di Harvard, ha smentito infatti la riduzione storicistica che vorrebbe spiegare ogni scelta della persona in base all’ambiente o all’educazione ricevuta (1).
3) La fede si basa su ragioni esistenziali, non sulla cultura L’obiezione del relativismo religioso geografico presume che la fede sia semplicemente una questione di tradizione culturale.
Il terzo errore è confondere l’adesione formale e culturale al cristianesimo (in Italia esiste la categoria degli “atei devoti”, all’estero li chiamano “cristianisti” [2]) al credere nella sua verità.
Molte persone decidono di credere nel cristianesimo non solo perché influenzate da una cultura cristiana, ma perché vivono delle esperienze, degli incontri che le portano a convincersi che quanto è stato loro insegnato è effettivamente vero e corrispondente alla verità che cercano.
Lo stesso accade anche all’interno di culture non cristiane, la persona si imbatte in alcune circostanze (un incontro con un missionario, ad esempio) che la porta a dubitare delle convinzioni religiose apprese dalla cultura del suo Paese e decide di cambiare vita.
Inoltre, la fede cristiana si stabilizza e diventa convincente razionalmente nell’individuo anche attraverso argomenti filosofici, storici e morali, dipendenti certamente dalla cultura personale (curiosità intellettuale, perspicacia conoscitiva, livello d’istruzione ecc.) ma totalmente indipendenti dal luogo geografico in cui il soggetto nasce.
Ecco come J. Warner Wallace, ex ateo americano, spiega l’inizio della sua conversione cristiana: «Non sono cresciuto in un ambiente cristiano. L’uomo che rispettavo più di chiunque altro (mio padre) è sempre stato un ateo convinto. Non ho conosciuto nessun cristiano dichiarato durante la mia crescita, e sono stato ostile alle affermazioni del cristianesimo fino all’età di 35 anni. Mentre avevo esaminato un certo numero di religioni orientali, il mormonismo, l’Islam e la fede Bahá’í, alla fine mi sono convinto grazie all’affidabilità storica del Nuovo Testamento. Sulla base di quei resoconti, ho iniziato un’indagine sul cristianesimo e sull’esistenza di Dio. Come tanti altri, sono arrivato a credere che il cristianesimo sia vero non a causa delle influenze che mi circondavano, ma sulla base della forza delle prove per stesso» (3)
Questo perché la diversità culturale non invalida la ricerca della verità.
Se il contesto culturale fosse l’unico determinante dei propri convincimenti, nessuno potrebbe cercare risposte migliori e confrontare diverse visioni del mondo per capire quale sia più plausibile.
4) Relativismo religioso non ha senso con il cristianesimo Il quarto errore è rivolgere quest’obiezione proprio al cristianesimo, non riconoscendone la diversità.
Come già detto, il relativismo religioso geografico/culturale non è un’assurdità e ci sono alcune prove a suo sostegno anche nello specifico caso religioso.
Infatti, circa il 96% dei musulmani vive in Medio Oriente, Africa e Asia meridionale, quasi il 90% dei buddisti vive in Asia orientale, quasi il 100% degli indù vive in India o Asia meridionale e il 76% degli atei vive in Asia e in Oceania (meno del 10% in altre aree) (4).
Un po’ meno vero per gli ebrei, suddivisi in maniera abbastanza equa tra Israele (il 43%) e gli Stati Uniti (39%).
L’unica religione che non segue questa tendenza è proprio il cristianesimo.
Esso infatti è diffuso praticamente ovunque con percentuali superiori al 70% della popolazione totale in Nord America (USA e Canada), America Latina e Caraibi, Australia e Nuova Zelanda, Europa occidentale e centrale e orientale. Percentuali attorno al 50% sono presenti nell’Africa sub-sahariana e tra il 5 e il 20% nell’Africa settentrionale, nell’Asia orientale e sud-orientale e nell’Asia centrale e meridionale.
Nel libro Whose Religion is Christianity? (Eerdmans 2003), Lamin Sanneh della Yale Divinity School, ha proprio sostenuto i vari motivi per cui la fede cristiana si differenzia dalle altre, citando tra le altre anche il non rispetto dei confini geografici.
5) Il relativismo religioso si contraddice immediatamente Il quinto errore è non accorgersi della contraddizione.
Chi pronuncia tale argomento infatti non si rende conto di auto-contraddirsi non appena ha terminato la frase.
Se è un non credente cresciuto in un ambiente secolarizzato, allora il suo scetticismo sarebbe altrettanto “programmato” quanto la fede di un credente. Come può negare il fatto che sta solo praticando il sistema culturale appreso nel suo paese o nel suo ambiente?
Se è un non credente cresciuto in un ambiente cristiano, o comunque non secolarizzato, è lui stesso la prova vivente del fallimento del suo argomento.
Questo secondo caso è proprio quello, ad esempio, del biologo ateo Richard Dawkins, cresciuto nell’Inghilterra anglicana ed il primo a non ritenere vera la sua religione locale.
Tutto questo implica che la nostra visione del mondo può essere influenzata dal contesto culturale/geografico, ma non è sufficiente per negare la verità del cristianesimo o ridurlo a una religione tra le tante.
Come ha osservato lo scrittore Vittorio Messori: «Non siamo cattolici perché questa è la tradizione che abbiano trovato dove siamo nati, perché non conosciamo altro. No, invece: conosciamo, confrontiamo e valutiamo. E forse è proprio per questo siamo grati di essere come siamo». (5)
Note
1) A. Rizzuto, The Psychological Foundations of Belief in God, 1980, p. 126
2) R. Brague, E. Grimi, Contro il cristianismo e l’umanismo, Cantagalli 2015
3) J.W. Wallace, Am I a Christian Simply Because I Was Raised in a Christian Culture?, Cold-Case Christianity 31/01/2008
4) WIN-Gallup International, Global Index of Religiosity and Atheism, 2012
5) V. Messori, M. Brambilla, Qualche ragione per credere, Ares 2008, p. 94
__________________________________________
Leggi anche: