Senatori a vita a rischio di oligarchia?

 Il Popolo settimanale della diocesi di Tortona del 09 novembre 2006

Siedono a Palazzo Madama come simbolo dell’unità nazionale

don Maurizio Ceriani

Quando i padri costituenti inserirono nel Parlamento della neonata Repubblica Italiana la figura dei senatori a vita non prevedevano certamente uno scenario come quello che si è delineato nel senato di questa legislatura. Possiamo interpretare – senza tema di smentita – la volontà di allora come desiderio di collocare nella camera alta della nazione veri e propri simboli di unità nazionale; uomini e donne che, con la sola loro presenza, ricordassero l’impegno del bene comune al di sopra dei particolarismi ideologici e partitici. Senatori a vita infatti sono tutti gli ex Presidenti della Repubblica; ad essi spetta poi il compito di designare a questa alta carica altri illustri personaggi che hanno onorato la nazione italiana nell’ambito della cultura, dell’arte, della scienza, della vita politica.

Proprio e solo nell’essere super partes può infatti risiedere la motivazione di un mandato che è a vita, per di più sottratto a quella deputazione da parte dei cittadini che costituisce l’irrinunciabile essenza di ogni democrazia. Nel senato uscito dalle ultime consultazioni elettorali non è più così, perché il voto dei senatori a vita, data l’attuale proporzione di forze tra maggioranza e opposizione, sta diventando determinante per ogni decisione. Si sta correndo il rischio di porre in mano ad una oligarchia – sia pur aristocratica nel miglior senso del termine – la decisione arbitrale della vita politica della nazione, modificando di fatto l’articolo primo della Costituzione stessa laddove afferma che: “l’Italia è una Repubblica democratica”.

Infatti i senatori a vita non sono in alcun modo espressione diretta della volontà popolare e, al di là di ogni volontà e previsione dell’assemblea costituente, potrebbero creare oggi un vulnus a quella democraticità che dovrebbero simbolicamente rappresentare. Così è stato fin dalle prime mosse dell’attuale senato, quando i “grandi vecchi” della politica italiana da Andreotti a Scalfaro a Cossiga sono stati i protagonisti dello scontro per la presidenza di Palazzo Madama, secondo logiche di schieramento, perdendo così  l’occasione di diventare fulcro di convergenze condivise.

Oggi, alla vigilia di una legge finanziaria travagliata e dai contorni ancora vaghi, i senatori a vita ritornano ad essere protagonisti nel peggiore dei modi possibile, cioè nella caccia ad accaparrarsi i loro voti decisivi per la tenuta o la crisi dell’attuale governo. Sarebbe invece auspicabile, visto il calibro dei personaggi, il loro grande passato istituzionale, la stessa natura del ruolo che ricoprono, che i senatori a vita si trasformassero nei garanti di un serio e responsabile confronto parlamentare, che abbia di vista non le logiche dei contrapposti schieramenti, ma il bene della Repubblica e della sua tormentata ripresa economica.  Almeno in Senato ci sarebbero le condizioni per la formulazione di una finanziaria con l’apporto costruttivo di tutte le forze politiche, garantita proprio dalla pattuglia dei senatori a vita, che potrebbero trasformarsi nei tessitori di larghe e condivise intese.

Siamo infatti certi che, anche attraverso l’istituto dei senatori a vita, i padri costituenti abbiano voluto dare una chiara indicazione che la nazione si governa creando ampie convergenze d’intesa e non aspre conflittualità; sicuramente non era neppure remotamente loro intenzione consegnare l’assise di Palazzo Madama all’arbitrato di pochi “non eletti”, di un oligarchia non uscita dal responso delle urne. Alla saggezza e alla rettitudine dei senatori a vita tocca oggi un grande e arduo compito: quello di non creare nell’opinione pubblica nemmeno l’impressione di uno “scippo” alla democratica gestione della “Res publica”. Sarebbe infatti una ferita dolorosa e un’ulteriore occasione per suscitare tra i cittadini sfiducia nelle istituzioni.