Un anno fa l’incidente nucleare di Fukushima che ha tenuto il mondo con il fiato sospeso . Ma solo in Italia l’impatto emotivo ha provocato scelte energetiche controproducenti che sono andate ad aggravare una situazione già fortemente critica
di Riccardo Cascioli
Giusto un anno fa, l’11 marzo del 2011, un terremoto senza precedenti colpiva il Giappone provocando uno tsunami che, oltre a portare devastazione e morte, ha provocato un incidente nucleare a Fukushima che per mesi ha lasciato l’opinione pubblica mondiale con il fiato sospeso.
In realtà i danni reali provocati dalle fuoriuscite di sostanze radioattive dai reattori nucleari di Fukushima sono stati sostanzialmente limitati, e circoscritti all’area immediatamente circostante la centrale, ma l’impatto psicologico dell’incidente è stato invece dirompente a livello mondiale.
Anche qui bisogna però precisare che la realtà è ben diversa da quella raccontata dai giornali, che hanno dato l’impressione di uno stop globale alle centrali nucleari nel mondo per mancanza di sicurezza. In effetti non è così: certamente quanto accaduto a Fukushima ha imposto una revisione dei criteri di sicurezza delle centrali in tutto il mondo; è vero che il governo giapponese ha annunciato di voler cambiare strada e puntare all’energia da fonti rinnovabili; è vero anche che altri paesi hanno espresso analoga intenzione, i non è affatto vero che ci sia un generale abbandono del nucleare e comunque anche per i paesi che hanno questa intenzione bisogna andare a verificare la situazione reale in cui si trovano quanto ad approvvigionamento energetico.
Perché quando si parla di energia non si può ridurre il tutto a questioni di tifoseria per una fonte o per l’altra. La disponibilità di energia, abbondante e a basso costo, è elemento fondamentale per garantire lo sviluppo umano integrale secondo quanto più volte sostenuto dal Magistero. Per capire questo passaggio, dobbiamo essere consapevoli che nel mondo ci sono circa due miliardi di persone che non hanno accesso all’energia elettrica, e sono le stesse persone che vivono in povertà e sottosviluppo.
Senza accesso all’energia è impensabile garantire quello sviluppo umano integrale che è la vocazione dell’uomo e il fine dell’attività politica, come spiega l’enciclica Carìtas in Ventate. Cerchiamo dunque di capire intanto com’è la situazione.
Attualmente in tutto il mondo ci sono 433 reattori nucleari, più ce ne sono altri 62 in costruzione. A questi poi vanno aggiunti altri 150 reattori “ordinati”, ovvero di cui è stata decisa la costruzione ma i cui lavori non sono ancora stati iniziati. Da questo punto dì vista l’incidente di Fukushima non ha cambiato il quadro della situazione. Interessante notare comunque che dei 62 reattori in costruzione il grosso riguarda la Cina (26), seguita da Russia (10), India (6) e Corea del Sud (5), paesi dunque fortemente impegnati a sostenere lo sviluppo.
Nei Paesi occidentali che avevano invece già raggiunto la quota ottimale di energia nucleare le situazioni sono differenziate. Gli Stati Uniti hanno già progettato due nuove centrali (ma ci sono già 104 reattori funzionanti), la Francia – che è il massimo produttore di nucleare in Europa – non ha mutato politica, il Regno Unito ripropone il nucleare in chiave di lotta ai cambiamenti climatici; solo la Germania ha annunciato l’intenzione di portare gradualmente a chiusura le sue centrali.
Tutti questi paesi, però, hanno in comune il fatto di avere un piano energetico nazionale che fa sì che le singole scelte siano parte di una strategia più ampia volta a soddisfare le esigenze di sviluppo. Vale a dire che ogni paese, considerate le proprie risorse e le proprie disponibilità, sceglie un mix di fonti energetiche che garantisca sia la sicurezza dell’accesso a tali fonti sia il loro basso costo.
Non bisogna dimenticare infatti che fonti energetiche come il petrolio e il gas provengono per la quasi totalità da paesi politicamente pericolosi o a rischio, come i paesi arabi (per il petrolio), il Nordafrica (per il gas) e la Russia.
È per questo che in Europa c’è un ricorso importante al nucleare (circa il 30% del fabbisogno di energia elettrica dell’Unione Europea è coperto da questa fonte). E se è vero che la Germania intende ridurre drasticamente la produzione delle centrali nucleari, non bisogna dimenticare che oggi il 40% del fabbisogno energetico nazionale è soddisfatto dal carbone, di cui il paese è ricco. Assolutamente anomala è invece la situazione dell’Italia, che sembra l’unico paese davvero investito dal ciclone Fukushima.
Così come accadde nel 1986 subito dopo l’incidente di Chernobyl (ma allora fu più un problema di comunismo che non di insicurezza del nucleare) anche nel 2011, subito dopo l’incidente di Fukushima, un referendum popolare ha chiuso la possibilità all’Italia di tornare ad aprire le centrali nucleari. Ma il vero problema del nostro paese è che questa scelta avviene nella totale assenza di un piano strategico nazionale.
Anzi, come si è visto negli scorsi mesi, si prendono decisioni di politica internazionale in chiaro contrasto con l’esigenza di garantirsi le necessarie fonti energetiche, come è avvenuto per la guerra sciagurata (non solo per i problemi dell’energia) dichiarata alla Libia, nostro principale fornitore di gas e petrolio (tra le fonti primarie di energia per il nostro paese il petrolio conta per il 42% e il gas per il 40%, quota quest’ultima che sale al 50% per il solo fabbisogno di energia elettrica).
Quanto alle fonti rinnovabili di energia – ad esclusione dell’idroelettrico, per cui abbiamo già raggiunto il massimo di produttività – è in atto una massiccia campagna di incentivi allo sviluppo di queste fonti, ma anche qui sull’onda dell’emotività e senza una strategia precisa che faccia i conti con i limiti di produzione e distribuzione di queste fonti energetiche. In sintesi, un’operazione costosissima a bassa resa.
L’Italia quindi è allo stato attuale destinata a veder crescere esponenzialmente il costo dell’energia – che è già il più alto in Europa – e allo stesso tempo veder diminuita la propria sicurezza nell’approvvigionamento, data l’incertezza politica che caratterizza i principali paesi fornitori di fonti primarie. A questo si deve poi aggiungere lo stato a dir poco deficitario delle infrastrutture energetiche.
Una mancanza di una chiara strategia nazionale in materia di energia, dunque, costituisce un macigno enorme sul futuro del nostro paese, un segnale inquietante dì disinteresse verso il bene comune.